Nell’augurarvi una serena e gioiosa Pasqua, piena di luce e speranza, voglio offrirvi un sermone capitolare concepito dal Priore Generale Dom Andrè Poisson rivolto alla sua comunità nel giorno di Pasqua del 1984. Un testo alquanto lungo, ma davvero delizioso, che è destinato al coincidente rinnovo dei voti di alcuni confratelli. Parole semplici ma edificanti per il nostro spirito.
CONFIDARE IN DIO
“Se uno è inCristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio,… E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,17-19)
Era nei vostri desideri che il rinnovamento dei voti avesse luogo lo stesso giorno di Pasqua, come era già accaduto al tempo della vostra prima professione. Così, volete sottolineare quanto il vostro impegno, nella vita monastica, sia una maniera d’assumere, nella vostra esistenza, il mistero pasquale il più pienamente possibile. Il testo che ho appena citato, mostra che per San Paolo, come per tutta la tradizione, la Pasqua del Signore è innanzitutto un dono di Dio: dono ricevuto attraverso Gesù dalle mani del Padre; dono che, a sua volta, ci trasforma nella misura in cui noi ci rendiamo disponibili ad accoglierlo. Io vorrei riflettere con voi su questi temi.
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Le poche parole raccolte dalla bocca di Gesù, durante la Passione, dopo il Getsemani fino al suo ultimo sospiro, ci forniscono dei punti di riferimento sicuri grazie ai quali noi possiamo ritrovare il movimento profondo del suo cuore, mentre Egli si offre in sacrificio. La preghiera nel giardino degli ulivi ci mostra il Signore annientato dalla prospettiva del calice che gli è offerto. La sua prima reazione è quella di domandare di esserne liberato. E’ veramente troppo! Poi, in un secondo tempo si riprende e accetta la volontà del Padre. Niente di stoico o di rigido in questo atteggiamento: si tratta esclusivamente di fiducia nel Padre e di amore per Lui. Nessun dubbio: è il Padre che dona al suo Figlio amato il calice da bere. E’ il Padre che ha inviato il suo Unico sulla terra a bere il calice. Ritroviamo una successione di sentimenti analoghi in Gesù, negli ultimi istanti che precedono la sua morte, ma essi s’esprimono allora con un’intensità spaventosa: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Poi, al termine di un silenzio drammatico, spirando, Egli gridò a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.” (Lc 23,46). Non siamo noi là, al centro di questo dramma d’amore che è il mistero Pasquale? Gesù è l’Agnello caricato del peccato del mondo: Egli è il Servitore trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità, poiché Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (cf. Is 53,5 e 4). Ancor di più, per riprendere le parole di San Paolo:” Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5,21). Il Figlio dell’Uomo è identificato con il peccato: ciò significa che Egli è stato stabilito nemico di Dio. Osiamo appena dire “il nemico totale di Dio”, poiché la pienezza del peccato del mondo è sopra di Lui. Ma, tuttavia, non è ciò che spiega il grido di angoscia quando si é sentito abbandonato dal Padre? Il Verbo fatto carne é andato fino alla fine della sua corsa: “per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra”, (Col 1,16) tutto ciò fa totalmente corpo con Lui. E nel silenzio schiacciante, che segue l’appello disperato del Crocifisso, si compie il mistero della salvezza, nel cuore stesso di Dio. Al di là di tutte le iniquità e di tutti i peccati, il Padre ama il Figlio, con la stessa dilezione che era prima della creazione del mondo. Gesù riceve la sicurezza invincibile di potersi abbandonare, in tutta fiducia, nelle braccia del Padre. E in questa certezza Egli spira: Egli consegna il suo Spirito. Tutto si trova ormai “riconciliato da Lui e per mezzo di Lui, sulla terra e nei cieli, poiché Egli ha stabilito la pace con il sangue della sua croce” (Col 1,20). Visto in questa prospettiva, il mistero pasquale è la manifestazione della tenerezza infinita del Padre che si piega spontaneamente verso il suo Figlio Prediletto, oppresso dal peso della morte, che è il peccato del mondo, ma un Figlio di cui il cuore è sempre rimasto trasparente alla Volontà divina. Gesù ha ricevuto, come dono perfettamente gratuito, questa tenerezza eterna, accordata dal Padre in eredità a suo Figlio fatto carne e a tutti coloro che fino alla fine dei tempi erediteranno la pienezza della sua vita.
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Noi tutti qui presenti facciamo parte di coloro che, in maniera ben esplicita, hanno ricevuto l’appello ad ereditare, ogni giorno della loro esistenza terrestre, il mistero della Pasqua del Signore, del suo Passaggio al Padre, ricevuto come un dono della sua tenerezza. Noi dobbiamo viverlo come battezzati, ma ad un titolo più preciso e più completo, come consacrati a Dio attraverso la professione monastica. Ancora oggi voglio ricorrere a San Bruno affinché ci aiuti a comprendere l’appello che ci indirizza lo Spirito Santo e ci aiuti a lasciarci trasformare da Lui. Il pensiero del nostro beato Padre si modella, in effetti, meravigliosamente sulla maniera in cui noi abbiamo contemplato il mistero della Pasqua: è questo mistero che costituisce l’essenziale della nostra vocazione, l’accoglienza dell’Amore del Signore nel silenzio e nella solitudine. I due cantici di rendimento di grazie di Bruno, il quale scrive ai suoi fratelli della Certosa, hanno precisamente per oggetto la proclamazione della sua allegrezza davanti alla bontà del Signore nei loro confronti. “Rallegratevi, miei carissimi fratelli, della vostra beata sorte e dell’abbondanza di grazie che Dio vi ha prodigato” (1.3). E continua spiegando loro che questa beata sorte consiste “nell’essere entrati in possesso del riposo e della sicurezza, poiché essi hanno potuto gettare l’ancora nel porto più nascosto” (id.). E questo appare come un dono puramente gratuito dell’Altissimo, dal momento che tutti coloro che moltiplicano gli sforzi per giungere al medesimo fine “non vi sono ammessi poiché ad ognuno di loro il cielo non l’ha accordato” (1.4). Essere ammessi ad impegnarsi in maniera definitiva a seguire Bruno nel deserto è veramente una generosità gratuita del Signore. E’ allo stesso modo, in un senso rigoroso, un dono pasquale, un passaggio dalla morte alla vita, una liberazione dal peccato per incontrare la tenerezza del Padre. E’ sorprendente, in effetti, veder Bruno riprendere, nella sua lettera a Raoul, i termini che egli impiegava scrivendo ai suoi fratelli: “sfuggire ai flutti agitati del mondo per passare al riposo e alla sicurezza del porto” (cf.1.3 e A Raoul 9). Ciò che egli presenta ai suoi fratelli come l’ideale della loro solitudine è, allo stesso tempo, se si crede alla lettera a Raoul, la liberazione da tutti i pesi del peccato, quando si viene al Signore dolce e umile, affinché ci sollevi da tutti i fardelli. Entrare nella beata solitudine di cui parla Bruno è una conversione del cuore ricevuta da Dio, in maniera tutta gratuita, che ci stabilisce nella pace del suo amore. Sono pressappoco le stesse prospettive che si manifestano quando Bruno dice ai suoi benamati fratelli laici “la sua gioia di veder per essi, che non sanno né leggere né scrivere, Dio l’Onnipotente scrivere nei loro cuori l’amore e la conoscenza della sua legge santa” (cf. 2.2). Ancora si tratta di un dono della tenerezza del Padre che mette per pura bontà, i conversi della Certosa, al riparo dalle molteplici tentazioni alle quali essi potrebbero vedersi esposti e che loro dona la grazia di lasciarsi guidare da Lui in tutta confidenza. Se, dunque, noi vogliamo essere fedeli alla grazia della nostra vocazione, gettiamo innanzitutto gli occhi su Gesù risuscitato, che è il vero modello di ciò che noi dobbiamo essere: al di là di tutta la cattiva semenza gettata nei nostri cuori, accogliamo la tenerezza di Dio grazie alla quale noi lasceremo morire in Lui tutti i nostri desideri troppo umani.
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Voi vi domandate forse: perché insistere su queste verità che non sono poi tanto nuove per noi? Perché? Perché, anche se le conosciamo con la nostra intelligenza, sappiamo quanto ci costa trasferirle nella realtà della nostra vita. Senza dubbio noi non ci troviamo, in generale, nelle circostanze così drammatiche della passione di Gesù, ma tuttavia il nostro cuore ha talvolta l’impressione di dover subire una sorta d’agonia quando gli è domandato di rinunciare a tutta la sicurezza che gli viene da sé stesso o a dei piccoli mezzi, che egli controlla, di abbandono cieco e senza difesa all’amore di un altro, anche se quest’altro è Dio in persona. Lanciarsi senza riserve in questo atteggiamento di fiducia implica, da parte nostra, una conversione talmente radicale, che esitiamo a fare il passo. Nonostante tutte le luci della fede, che noi accettiamo volentieri, il nostro cuore, per esempio, non riesce a consegnarsi senza riserve a Dio, lasciandosi attrarre dal sentimento intimo d’essere amato senza misura. Le esperienze umane ci hanno insegnato così bene la prudenza, una certa diffidenza, il timore dei rischi incontrollati, da non riuscire a liberarci da queste abitudini ormai radicate nei nostri cuori quando ci rivolgiamo al Padre dei cieli. E finiamo, così, con il consegnargli la nostra fiducia col contagocce. Come potrebbe Egli, di ritorno, farci dono totale di Sé stesso, vedendoci incapaci di accoglierlo? Un altro esempio delle deformazioni che ci paralizzano è l’immensa difficoltà che incontriamo di fronte alla prospettiva di dover rinunciare a costruire da soli la nostra vita, con la nostra sola industria e il nostro solo sforzo, per riceverla invece come il Dono di un Amore che implica un impegno totale da parte nostra. Noi tremiamo all’idea di prendere come modello Gesù e di non essere più nient’altro che un accoglimento senza limite di una trasfigurazione in cui tutte le nostre tenebre diventerebbero luce. Sarebbe così bello… ma bisognerebbe donare tutto.
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Per concludere, facciamo un piccolo sforzo di lealtà. Non crediamo di esserci sdebitati con Dio accontentandoci di ammirare gli splendori della sua gloria, nel mistero pasquale. Questa sarebbe una contemplazione puramente sterile se noi non vi scorgessimo un appello a seguir Gesù, sul cammino che Lui ci ha tracciato quando è passato da questo mondo al Padre. Che il dono ricevuto da Lui, in questo giorno, porti frutto nella nostra vita, in modo da poter imparare, anche noi, a dire in tutta verità: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Amen.
Pasqua 1984 (Per un rinnovo dei voti)
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