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Un incontro studi su Lamberto di Borgogna e le prime “costituzioni” certosine.

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Cari amici lettori di Cartusialover, l’articolo di oggi è una comunicazione di servizio, rivolta a tutti coloro possano essere interessati alla partecipazione di un incontro studi di prossima realizzazione. Ecco a voi il testo integrale con i link di riferimento per potersi iscrivere.

logo museo

COMUNICATO STAMPA

Lamberto di Borgogna e le prime “costituzioni” certosine.

Un incontro di studi al Museo della Certosa

Nel 1121, vent’anni dopo la morte di San Bruno, il suo secondo successore, Lamberto di Borgogna, monaco eminente nella storia della fondazione monastica serrese, promulgava le prime “costituzioni” riferibili a una Certosa di cui si abbia notizia. Si tratta di un testo pervenuto in forma incompleta e giunto sino a noi soprattutto grazie alla cura che Dom Costanzo De Rigetis, agli inizi del XVI secolo, aveva dedicato nel trascriverlo, ma è un documento, per quanto frammentario, di straordinario interesse storico. Per avvicinarsi alla sua importanza basti considerare due elementi. San Bruno non aveva lasciato per i suoi confratelli nessuna regola e la forza del suo eccezionale carisma si era trasmessa, soprattutto, con l’esempio e con la testimonianza, vere e proprie pietre miliari che i monaci calabresi, negli anni successivi alla sua morte, avrebbero conservato come imprescindibili segnavia. D’altra parte, bisognerà attendere il periodo 1127-1128 per avere, presso la fondazione certosina francese, i primi “statuti” dell’Ordine certosino, quelle Consuetudines Cartusiae, dovute a Guigo I, che sarebbero nel tempo diventate il modello per tutte le elaborazioni statutarie dei secoli seguenti. Poste tra questi due periodi fondamentali, le “costituzioni” di Lamberto rappresentano un testo decisivo per comprendere l’evoluzione che il monastero calabrese, dopo la morte di Bruno, aveva intrapreso, anche in relazione agli sviluppi del nascente ordine certosino dentro la cornice disegnata dalle “consuetudini” guigoniane. Una evoluzione nella quale i rapporti tra l’eremo di Santa Maria della Torre e il cenobio di S. Stefano, il progressivo strutturarsi del sistema delle grange, il passaggio all’ordine cistercense alla fine del XII secolo costituiranno, in età medievale, alcuni dei punti di snodo di una vicenda storica cominciata nel 1091 e tuttora ben viva nella storia religiosa delle estreme propaggini dell’Italia meridionale, così come nel più generale quadro del monachesimo occidentale. A nove secoli dalle “costituzioni” di Lamberto, il Museo della Certosa di Serra San Bruno e l’editore Rubbettino intendono proporre, nel mese di maggio del 2021, un incontro di studi che riconsideri in maniera critica quei passaggi storici cruciali, senza tralasciare i riflessi spirituali connaturati con la vocazione monastica. L’incontro – intitolato Lamberto e la sua “Constitutio”: 1121 – 2021 – costituirà un ulteriore momento di quel tragitto di ricostruzione storica che il Museo ha intrapreso, da oltre un ventennio, attraverso mostre (quali quelle delle reliquie del monastero in occasione del Giubileo e sull’iconografia di San Bruno nel nono centenario delle sua morte), convegni (ultimo, nel 2016, l’importante convegno dedicato alla figura del beato Lanuino) e pubblicazioni, sulle tracce di un’esperienza religiosa che da quasi un millennio attraversa la cristianità. Per favorire una maggiore partecipazione degli studiosi di varie provenienze è stata anche lanciata una “call for papers” internazionale per la quale si possono vedere, i seguenti link.

https://www.filosofiadellareligione.it/index.php/12-eventi-e-convegni/159-lamberto-e-la-sua-constitutio-1121-2021 e http://www.cartusiana.org/ .

Le candidature dovranno pervenire entro il 30 novembre 2020 alle seguenti mail: certosasanbruno@lacertosa.org e tonino.ceravolo@teletu.it .

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Il “pittore dei certosini”

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L’articolo di oggi, voglio dedicarlo ad una persona del nostro tempo, noto a tutti per essere considerato appunto, “il pittore dei certosini”.

Ma chi è costui?

Trattasi di Antonio Callà, nato il 4 dicembre 1946 a Catanzaro in Calabria.

La sua infanzia l’ha trascorsa a Serra San Bruno, dove ha frequentato le scuole, ma a quell’epoca si interrompevano gli studi per cominciare a lavorare. Egli già da piccolo nutriva l’interesse per l’arte ed anche una passione per la certosa di Serra ed i suoi monaci.Tra il 1965 ed il 1975 Antonio ha lavorato in Germania, dove ha incontrato la moglie dalla quale ha avuto due figli. Dopo tanti sacrifici fatti all’estero, riesce a tornare in patria. Nell’agosto 1981, ha cominciato a lavorare presso l’ospedale di Serra San Bruno, prima come autista di ambulanza per cinque anni, poi come assistente in farmacia fino al suo pensionamento. Da questo momento in poi, Antonio ha potuto dedicare il suo tempo libero interamente alla sua passione ed amore per l’arte.

Ha eseguito numerose opere d’arte commissionategli dai monaci di Serra San Bruno, tra cui il restauro delle vetrate del Grande Chiostro. La sua produzione di dipinti, sculture, medaglie commemorative e statue in terracotta, è stata molto prolifica.

Antonio Callà è considerato il “pittore dei certosini” non soltanto perché molti dei suoi quadri raffigurano il momenti di preghiera dei monaci e la vita claustrale nell’ascesi certosina ma anche perché così è stato definito dalla prestigiosa rivista Analecta Cartusiana, del compianto Professor James Hogg. Il nostro amico serrese, ha sviluppato negli anni numerose tecniche tra le quali ricordiamo la scultura, la lavorazione della creta, lo sbalzo su lastra metallica e naturalmente la pittura.

Le sue opere sono state spesso esposte in Italia, di recente, nell’ottobre 2013, ma anche in Austria presso la certosa di Gaming ed in Spagna.

A seguire, una carrellata di immagini delle sue principali opere d’arte, ed in seguito un breve video che ci mostra il suo laboratorio.

Complimenti ad Antonio per la sua passione e dedizione verso i certosini espressa con il suo talento artistico.

Un documentario su san Bruno

Un documentario su san Bruno

trasmissione

Iniziando la settimana che ci conduce al 6 ottobre, giorno della celebrazione di san Bruno, voglio proporvi il video di un documentario sulla cerimonia svoltasi in occasione della scorsa Pentecoste. Come sapete in quella occasione, a Serra san Bruno si svolge una processione celebrativa che ricorda la traslazione delle ossa del santo certosino. Quest’anno le telecamere della televisione TV Padre Pio, hanno realizzato un servizio nel quale ascolteremo le esaurienti parole di Don Bruno La Rizza, rettore del Santuario di S. Maria nel Bosco, il quale ci fa  rivivere i momenti più importanti di questo grande Santo. Inoltre sarà possibile ammirare la natura incontaminata di quei luoghi, che attrassero Bruno allorquando decise di insediarsi in Calabria. Un ringraziamento speciale all’amico Raffaele Timpano, il quale ha registrato la trasmissione, andata in onda lo scorso 3 luglio, inserendola nel suo canale, e che mi ha consentito di diffondere questo interessante documentario. Vi auguro una buona visione.

Video (I parte)

Video (II parte)

Discorso di Benedetto XVI alla popolazione di Serra San Bruno

Discorso di Benedetto XVI alla popolazione di Serra San Bruno

Per completezza di informazione, voglio riportarvi il messaggio di Benedetto XVI alla popolazione di Serra San Bruno nella recente visita dello scorso 9 ottobre, e relativo video.

INCONTRO CON LA POPOLAZIONE DI SERRA SAN BRUNO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazzale Santo Stefano antistante la Certosa di Serra San Bruno
Domenica, 9 ottobre 2011, ore 17:45

Domenica 09 Ottobre 2011

ore17:45

Signor Sindaco,
Venerato Fratello nell’Episcopato,
distinte Autorità,
cari amici di Serra San Bruno!

Sono lieto di potervi incontrare, prima di entrare nella Certosa, dove compirò la seconda parte di questa mia Visita pastorale in Calabria.

Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza; in particolare ringrazio l’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Mons. Vincenzo Bertolone, e il Sindaco, Dott. Bruno Rosi, anche per le cortesi parole che mi ha rivolto. È vero, due Visite ravvicinate del Successore di Pietro sono un privilegio per la vostra comunità civile. Ma soprattutto, come giustamente ha detto ancora il Sindaco, grande privilegio è quello di avere nel vostro territorio questa “cittadella” dello spirito che è la Certosa. La presenza stessa della comunità monastica, con la sua lunga storia che risale a San Bruno, costituisce un costante richiamo a Dio, un’apertura verso il Cielo e un invito a ricordare che siamo fratelli in Cristo.

I monasteri hanno nel mondo una funzione molto preziosa, direi indispensabile. Se nel medioevo essi sono stati centri di bonifica dei territori paludosi, oggi servono a “bonificare” l’ambiente in un altro senso: a volte, infatti, il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma anche il prossimo, e non ci si impegna per il bene comune. Il monastero invece è modello di una società che pone al centro Dio e la relazione fraterna. Ne abbiamo tanto bisogno anche nel nostro tempo.

Cari amici di Serra San Bruno, il privilegio di avere vicina la Certosa è per voi anche una responsabilità: fate tesoro della grande tradizione spirituale di questo luogo e cercate di metterla in pratica nella vita quotidiana. La Vergine Maria e San Bruno vi proteggano sempre. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie.

Visita di Bartolomeo I° alla Certosa di Serra San Bruno

Visita di Bartolomeo I
Patriarca ecumenico di Costantinopoli
alla Certosa di Serra San Bruno
21 marzo 2001

A dieci anni di distanza dalla visita in Calabria di S. S. il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I  di Costantinopoli, primate del Cristianesimo ortodosso mondiale, voglio proporvi il testo integrale dei discorsi svoltisi nella certosa di Serra San Bruno.
L’avvenimento ha rivestito una rilevanza eccezionale, poiché è stata la prima volta nella storia che il Patriarca di Costantinopoli ha visitato una Regione (la Magna Grecia) che fu per cinque secoli, e fino all’XI°, sotto la sua giurisdizione. Va ricordato, che  la Magna Grecia, sita nel centro del Mar Mediterraneo ha da sempre rappresentato in Europa il ponte naturale tra Oriente e Occidente e tra Sud e Nord.

La visita in Calabria ebbe inizio il 19 marzo 2001, e si concluse il 23. Il giorno 21 vi fu lo storico incontro nella certosa calabrese, alla presenza di autorità ecclesiastiche. In quella  occasione Bartolomeo I tenne un toccante discorso, a cui fece seguito un caloroso saluto del Priore Dom Jacques Dupont, che . volle così accogliere l’illustre ospite. Al termine dell’evento il Patriarca di Costantinopoli fece dono alla comunità monastica certosina di una preziosa lampada votiva, in seguito conservata gelosamente dai monaci serresi nella Cappella delle reliquie.

DISCORSO DI SUA SANTITA’

IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I


Eminentissimo Metropolita d’Italia e caro fratello in Cristo Signor Gennadios,

Eccellentissimo Arcivescovo di Catanzaro-Squillace Monsignor Antonio Cantisani

Reverendissimo Padre Jacques, Priore di questa celebre Certosa posta sotto la protezione del glorioso protomartire ed arcidiacono Stefano,

Venerati Padri che praticate l’ascesi in questo sacro luogo,

Nostri figli diletti nel Signore.

Deposte nel Sacro Monastero di San Giovanni Theristis parti delle reliquie del Teoforo Giovanni, siamo adesso nuovamente in un sacro luogo di penitenza, prezioso strumento che ci prepara degnamente per la Santa Pasqua, terreste e celeste. I rapporti fraterni stabiliti in questi ultimi anni tra i nostri monaci, residenti o pellegrini in Calabria, e la vostra comunità monastica, traggono origine dall’amore che il vostro fondatore, il beato Bruno di Colonia, nutriva per i padri greci che incontrò, frequentò ed amò in questa terra, in cui operò in solitudine, soffrendo per la dolorosa separazione, allora operatasi, tra le nostre Chiese. Recò pesantemente questa sofferenza fin alla sua venerata dormizione e certamente la rechiamo sino ad ora sia noi che voi. A nove secoli da quell’evento siamo oggi felici nel constatare il solido vincolo spirituale stabilitosi in questi ultimi anni tra voi e i nostri monaci. Il vostro continuo dialogo e comunione in Cristo Gesù, qui nel centro della Calabria, costituisce la concorde supplica al Signore dei monaci greci e latini, ortodossi e cattolici, per l’unità dei Cristiani. Voglia Colui che è morto e risorto “per noi uomini e per la nostra salvezza” concedere l’unità alle Chiese d’Oriente e d’Occidente e di tutto il mondo. I sacri luoghi spirituali, mèta del nostro odierno pellegrinaggio, inducono tutti noi, chierici e laici, ortodossi e cattolici, ad avvertire con maggiore intensità e nostalgia l’urgenza di adoperarci per ristabilire l’unità delle nostre Chiese. La più sicura strada per raggiungere ciò e la strada del pentimento e della santità, che cercano di trovare e percorrere specialmente i monaci. Mentre godiamo dei benefici spirituali che riceviamo da questo pellegrinaggio alle palestre ascetiche della Calabria, una terra segnata in profondità da entrambi le tradizioni spirituali dell’Oriente e dell’Occidente cristiano, vi esortiamo, padri e fratelli carissimi, a rimanere fedeli ai Santi e Teofori Padri della Chiesa, e specialmente a quelli della Chiesa indivisa, che costituiscono indubbiamente il comune punto di partenza e il comune fondamento della vita spirituale in Cristo sia dell’Oriente che dell’Occidente. Che essi illuminano i vostri passi per il bene del pleroma dell’Una, Santa, Cattolica ed Apostolica Chiesa, verso cui tutti dobbiamo guardare, perché costituisce l’uno e indiviso Corpo di Cristo. La partecipazione nostra e quella di tutta l’umanità a questa increata ed unica Chiesa, cioè a Cristo increato, è la Sua volontà salvifica che riguarda tutti e, di conseguenza, deve essere anche il fondamentale e solido desiderio e scopo di tutti noi. Soltanto in questo modo sia noi che l’umanità che soffre nell’attesa del ritorno del Signore o meglio attende il suo ritorno al Signore, vedremmo il volto di Cristo, la nostra speranza e salvezza, di cui la grazia e l’infinita, misericordia siano con tutti voi. Amen.

Bartolomeo I

SALUTO DEL REVERENDISSIMO PADRE

DOM JACQUES DUPONT

PRIORE DELLA CERTOSA DEI S.S. STEFANO E BRUNO


Santità, venerabili Metropoliti, Eccellenza reverendissima, Archimandriti, reverendi Padri e Fratelli in Cristo,

Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre.

Noi umili monaci certosini, vogliamo benedire il Signore perché, in questo momento, sentiamo in modo particolare la benevolenza della sua grazia: ci conferisce il dono di ricevere tra noi sua Santità, che presiede alla Chiesa di Costantinopoli, la chiesa dell’apostolo sant’Andrea.

Nell’itinerario del suo pellegrinaggio nei luoghi calabresi di tradizione greca, Lei ha voluto inserire una sosta nella Certosa, fondata dal nostro padre san Bruno più di novecento anni fa. Grande è la nostra gioia, perché grande è il dono del Signore.

Benedetto il Suo nome glorioso per sempre.

Santità, la sua visita, che avviene per la Provvidenza divina il giorno in cui la Chiesa latina celebra il transito di san Benedetto, costituisce una luminosa testimonianza: testimonia che il monachesimo può essere un meraviglioso ponte di fraternità tra le Chiese di Dio. L’Occidente ha ricevuto la vita monastica dall’Oriente e nulla, malgrado le lacerazioni, le incomprensioni, le divergenze, nulla è riuscito a distruggere questo patrimonio comune. Come ricordava il Metropolita Emilianos di Silyvria, in occasione di un incontro sul monachesimo tra oriente e occidente, “tutti scaturiamo dalla stessa sorgente e attingiamo alle stesse radici”. Noi certosini ci consideriamo umilmente come un innesto del grand’albero dell’antico monachesimo. Bruno, di cui custodiamo le sante reliquie, seguì infatti la luce dell’oriente, ossia quella di Antonio, di Macario l’egiziano, di Sisoes e di tanti altri monaci che, ardenti d’amore per il ricordo del Sangue che il Signore aveva versato, popolarono i deserti per professarvi la vita solitaria e la povertà di spirito. Per due volte, Bruno rifiutò di diventare vescovo e si ritirò nel deserto per cercare Dio solo. In una breve lettera attesta quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell’eremo a chi ne fa l’esperienza. Di questa vita solitaria che vogliamo, con l’aiuto divino, condurre ancora oggi troviamo un’adeguata definizione nelle parole di Giovanni Climaco: “stare in continua adorazione di Dio, sempre alla sua presenza, con il ricordo di Gesù aderente al respiro”. Allora, continua il Climaco, “potrai toccare con mano i vantaggi dell’esichia”.Ma il deserto è anche il luogo della lotta. Bruno parla del combattimento faticoso che soli uomini forti, veri atleti di Dio, possono affrontare. L’anacoreta è impegnato in una guerra senza tregua contro i logismoi per poter fissare in Dio i pensieri e gli affetti con semplicità e purezza di cuore. Per mezzo di questa lotta ascetica il monaco si trasforma, si libera; nella solitudine della cella, il suo cuore si dilata tanto da poter abbracciare l’universo intero. Sono davvero adatte al certosino le parole d’Isacco il Siro: “Allontanati dal mondo intero con il corpo, ma unisciti al mondo intero con il cuore… Sii amico di ogni uomo, ma solitario nel tuo pensiero”. Bruno era talmente affascinato dalla Bontà di Dio che diventò lui stesso tutto bontà, tenerezza, misericordia; i suoi primi discepoli hanno scritto che “era sempre festoso in volto, insieme col vigore di un padre mostrava l’affetto di una madre”. Noi suoi indegni figli, benché nascosti nel deserto e separati da tutti, benché piccoli e peccatori, senza funzione visibile nella chiesa e per questo a volte incompresi, vogliamo essere, nel nostro cuore, uniti a tutti. Tra questa moltitudine, occupano senz’altro un posto privilegiato, date le nostre radici comuni, i nostri fratelli monaci della chiesa sorella d’Oriente, in specie quelli presenti in Calabria. Aspirando e pregando affinché venga il giorno in cui potremo bere allo stesso santo calice, siamo convinti che il cammino verso il dono della piena comunione tra le nostre chiese si percorre innanzi tutto con la preghiera e la conversione del cuore, per cui i monaci dovrebbero essere in prima linea sulla via della riconciliazione. Il Signore ci perdoni le nostre mancanze e i nostri peccati. Possa questo incontro odierno riaffermare il nostro impegno reciproco. La preghiera comune davanti alle Sante Reliquie di questo Eremo renda più vicino il traguardo dell’unità, affinché si compiano le parole di Gesù Cristo all’ora della passione: “Tutti siano una sola cosa”. Santità, ringraziandola sentitamente per la sua visita, Le assicuro, a nome dei miei fratelli che Le presenterò in seguito uno per uno, che da oggi pregheremo con un fervore nuovo per la sua persona, per il suo ministero ecumenico, per la chiesa di Costantinopoli e tutte le sante chiese ortodosse. A lode della gloria della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dóxa tô Theô!                                                                          Dom Jacques Dupont

Priore della Certosa di Serra San Bruno

Discorso di S.S.Giovanni Paolo II° alla popolazione di Serra San Bruno

Discorso di Giovanni Paolo II°

alla popolazione di Serra San Bruno

Nell’attesa dell’arrivo di papa Benedetto XVI, l’anno prossimo, come vi ho annunciato, ritengo doveroso proporvi il discorso fatto dal suo predecessore Giovanni Paolo II.

In occasione della Visita Pastorale in Calabria, del 1984, il Pontefice Giovanni Paolo II tenne un discorso alla popolazione di Serra San Bruno, in provincia di Vibo Valentia, nel quale stigmatizzò l’importanza della presenza certosina in quel luogo. Di seguito ve ne riporto il testo.

Venerdi, 5 Ottobre 1984

“Custodire gelosamente il patrimonio spirituale”

Carissimi fratelli e sorelle.

1. A voi tutti il mio saluto cordiale nella gioia di questo incontro, che avviene in uno scenario maestoso e ricco di ricordi. Sono grato al signor sindaco per le nobili parole con cui mi ha accolto in questo splendido luogo, che ha visto operare e morire il grande monaco san Bruno, fondatore dei Certosini. La mia riconoscenza va, poi, a quanti si sono adoperati per questa sosta spirituale all’inizio della mia visita pastorale alla Calabria, che mi tocca nel profondo del cuore e mi porta a contatto con anime dedite alla contemplazione di Dio.

Saluto le autorità presenti, monsignor Cantisani, arcivescovo di questa Chiesa, i sacerdoti e religiosi, e ciascuno di voi, fratelli e sorelle, che siete venuti per darmi il benvenuto. Sono vicino alle vostre ansie e preoccupazioni. Ho voluto venire tra voi per dirvi quanto apprezzi le antiche tradizioni di fede, che hanno reso gloriosa nei secoli la vostra terra, e per incoraggiarvi a proseguire nel cammino che i vostri avi vi hanno indicato con la testimonianza di una vita ispirata ai valori dell’onestà, della generosità, del sacrificio.

2. Sono qui fra voi, cari fratelli e sorelle, per esortarvi a custodire gelosamente il patrimonio spirituale che vive nell’ambito della vostra città.

Benché la Certosa possa avere anche un motivo di interesse culturale e turistico, essa si propone come un segno, una presenza particolare di Dio, lodato da anime che sono state da lui afferrate e poste là per pregare, soffrire e offrire per i fratelli.

Voi, cittadini di Serra San Bruno, sapete bene il significato della presenza dei monaci tra voi: ne avete sperimentata l’efficacia spirituale, poiché la Certosa si pone come il cuore di questa regione e come richiamo costante al mondo di Dio e dei valori attinenti alla propria eterna salvezza. Il tempo, dal lontano 1094 quando Bruno con alcuni discepoli venne tra voi, è sempre stato cadenzato dalla presenza della Certosa, che assolse non solo a una funzione spirituale, ma diede origine anche alla vostra comunità civica. Il primo incontro tra i Certosini – che quest’anno ricordano il IX centenario della loro origine – e i vostri antenati si è andato approfondendo nei secoli ed è divenuto vincolo inscindibile e osmosi di collaborazione spirituale e pratica.

Continui, tale vincolo, a suscitare anche oggi nei cittadini di Serra San Bruno generosi propositi di impegno sia nell’ambito civico che in quello religioso, affinché questa contrada possa ancora conoscere quella meravigliosa fioritura di virtù umane e cristiane, che allieto e rese illustri non pochi momenti della sua storia passata.

3. San Bruno, di cui domani ricorre la festa, protegga sempre la vostra città, carissimi fedeli, vi faccia crescere forti nella fede, testimoni e custodi di una ricchezza incalcolabile di grazia che dalla Certosa scende sul mondo esterno.

Voi ne siete i primi beneficiari e andate di ciò giustamente orgogliosi: sappiate trarne frutto, alimentando la vostra fede e opponendovi sempre a quella mentalità, oggi purtroppo diffusa, che, in nome di un facile consumismo, rifiuta i valori dello spirito. La vostra fede semplice e matura trovi sostegno nella “laus perennis” che costantemente sale a Dio dalla comunità della Certosa.

4. Affido questo augurio all’intercessione della Vergine santissima, di cui san Bruno fu devoto fervente, come testimonia anche il nome della vicina basilica, che sorge sul luogo ove egli chiuse gli occhi a questa vita mortale. Imitate anche in questo san Bruno: comportatevi da figli devoti della Vergine Maria, invocandone con fiducioso abbandono il costante aiuto. Non stancatevi di pregare la Madonna, specialmente con la recita della corona del Rosario, a cui il mese di ottobre, da poco incominciato, ci invita. Sperimenterete in ogni circostanza della vita il suo materno intervento.

Con questi sentimenti, e con un pensiero di speciale affetto per i bambini, gli ammalati, gli anziani, a tutti imparto la mia benedizione.

Benedetto XVI sarà a Serra San Bruno

Benedetto XVI sarà a Serra San Bruno


E’ con immensa gioia, che appresa la notizia diffusa dalle agenzie nei giorni scorsi, che intendo comunicarvi l’annuncio del Pontefice di recarsi a Serra San Bruno. A conclusione delle recenti celebrazioni svoltesi a Serra, in occasione della ricorrenza della festività del santo fondatore dell’ordine certosino, il priore della certosa  padre Jacques Dupont, ha dato alla cittadinanza il lieto annuncio. Egli si è poi così espresso: «Con Ratzinger, i monaci si raduneranno nella dimensione della preghiera nello sguardo umile sull’essenziale, sulle cose semplici della vita».
E’ stato reso noto, che Benedetto XVI, al termine della messa di domenica 9 ottobre 2011, che terrà presso la diocesi di Lamezia Terme, si recherà a Serra San Bruno per la celebrazione dei vespri con la comunità monastica dei certosini. Il papa ha quindi deciso di recarsi alla certosa a distanza di 27 anni dalla memorabile visita pastorale di Giovanni Paolo II, che come vi ho ricordato nei precedenti articoli si svolse il 5 ottobre 1984, in occasione del IX° centenario della fondazione. Wojtyla  manifestò l’intenzione di ritornare a Serra, ma la morte purtroppo non gli permise di realizzare il suo desiderio. Sicuramente l’attuale pontefice, mantenendo l’impegno assunto da papa Giovanni Paolo II, vorrà  riconfermare la stima verso questo tipo di vita monastica, già espressa dal suo predecessore, e rendere inoltre omaggio al suo illustre connazionale San Bruno. Benedetto XVI, incline ad una vita caratterizzata da molte ore trascorse in silenzio e preghiera,  sarà accolto con estremo entusiasmo dalla comunità monastica, con la quale condividerà un pomeriggio da certosino. Sarà un momento di gioia per tutta la popolazione calabrese, nonché per tutti coloro che come me, provano immensa ammirazione ed interesse verso la profonda spiritualità che esprimono i certosini. Spero che questa comunicazione, fornitavi per dimostrare la mia felicità verso l’evento, possa essere amplificata, e diramata anche attraverso i visitatori di questo blog.

Discorso di Papa Giovanni Paolo II ai monaci certosini

Discorso di  Papa Giovanni Paolo II ai monaci certosini

Fatto il venerdi 5 ottobre 1984 durante la visita pastorale in Calabria

ed alla certosa di Serra San Bruno

I. Ringrazio vivamente il padre priore per le calde parole di saluto che mi ha rivolto a nome della comunità in questo incontro per me e, sono certo, anche per voi tanto significativo. Sono venuto molto volentieri tra voi per manifestarvi l’affetto e la stima che nutro per il vostro Ordine e per ricordare, altresì, nel IX centenario della sua fondazione, gli stretti legami che esso intrattiene con la Sede Apostolica fin dalle sue origini, quando a San Bruno e ai suoi primi discepoli vennero affidate alcune missioni dal mio venerato predecessore Urbano II.

Per la data giubilare ho inviato al padre André Poisson, Ministro Generale dell’Ordine, una mia Lettera nella quale, richiamando il carisma della vostra benemerita istituzione, rilevavo che, pur nel dovuto e giusto adattamento ai tempi, «bisogna che voi, rifacendovi continuamente allo spirito originario del vostro Ordine, restiate saldi con volontà incrollabile nella vostra vocazione».

Ora che la Provvidenza ha permesso questa sosta, vorrei riprendere il discorso in essa avviato, meditando con voi sul ruolo che avete nella Chiesa e sulle attese del Popolo di Dio nei vostri confronti.

A voi è dato di vivere la vocazione contemplativa in questa oasi di pace e di preghiera, che già San Bruno, scrivendo all’amico Rodolfo il Verde così descriveva:

«Abito in un deserto situato in Calabria e da ogni parte abbastanza discosto dall’abitato; mi trovo in compagnia di confratelli religiosi, di cui alcuni molto eruditi, i quali, perseverando in una santa vigilanza, attendono il ritorno del Signore per aprirgli appena avrà picchiato.

Come adeguatamente parlare dell’amenità di detto luogo, della mitezza e salubrità del clima o dell’ampia e bella pianura che si estende lontano tra i monti e racchiude praterie verdeggianti e pascoli smaltati di fiori? Come descriverti l’aspetto delle colline che dolcemente si elevano all’intorno ed il recesso delle valli ombrose con l’incanto dei numerosi fiumi, dei ruscelli e delle fonti?».

È necessario che voi, odierni seguaci di quel grande uomo di Dio, ne raccogliate gli esempi, impegnandovi ad attuare lo spirito di amore a Dio nella solitudine, nel silenzio e nella preghiera, come coloro che «aspettano il padrone, per aprirgli subito appena arriva e bussa». Voi, infatti, siete chiamati a vivere come per anticipazione quella vita divina che San Paolo descrive nella 1a Lettera ai Corinzi, quando osserva: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia; ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto».

2. Il Fondatore vi invita a riflettere sul senso profondo della vita contemplativa, alla quale Dio chiama in ogni epoca della storia anime generose. Lo spirito della Certosa è per uomini forti: già San Bruno notava come l’impegno contemplativo fosse riservato a pochi («i figli della contemplazione sono infatti meno numerosi dei figli dell’azione»). Ma questi pochi sono chiamati a formare una sorta di «scorta avanzata» nella Chiesa. Il lavorio sul carattere, l’apertura alla grazia divina, l’assidua preghiera, tutto serve per forgiare nel certosino uno spirito nuovo, temprato nella solitudine a vivere per Iddio in atteggiamento di disponibilità totale. Alla Certosa ci si impegna ad ottenere il pieno superamento di se stessi e a coltivare i germi di ogni virtù, nutrendosi copiosamente dei frutti celesti. V’è in ciò tutto un programma di vita interiore, a cui allude San Bruno quando scrive: «Qui si acquista quello sguardo pieno di serenità che ferisce d’amore lo Sposo celeste, quell’occhio puro e luminoso che vede Dio. Qui il riposo è unito al lavoro, l’attività è senza turbamento».

L’uomo contemplativo è costantemente proteso verso Dio e può a ragione esprimere l’anelito del Salmista: «quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal. 41,3). Egli vede il mondo e le sue realtà in modo assai diverso da chi in esso vive: la «quies» è cercata solo in Dio e San Bruno a più riprese invita i suoi discepoli a fuggire «le molestie e le miserie» di questo mondo e a trasferirsi «da questo mondo tempestoso nella sicura e tranquilla quiete del porto». Nella pace e nel silenzio del monastero si trova la gioia di lodare Dio, di vivere in lui, di lui e per lui. S. Bruno, che è vissuto in questo monastero per circa dieci anni, scrivendo ai suoi Fratelli della Comunità di Certosa, apre il suo animo traboccante di gioia e senza retorica alcuna li sprona a godere del loro stato contemplativo: «Godete, fratelli miei dilettissimi, della vostra felice sorte e dell’abbondanza di grazie che Dio vi prodiga. Godete di essere scampati ai molteplici pericoli e naufragi di questo mondo agitato. Godete d’essere giunti al tranquillo e sicuro riposo di un porto ben riparato».

3. Questa vostra specifica ed eroica vocazione non vi pone, tuttavia, ai margini della Chiesa; essa vi colloca anzi nel cuore stesso di essa. La vostra presenza è un richiamo costante alla preghiera, che è il presupposto di ogni autentico apostolato. Come ho avuto modo di scrivervi, il «sacrificio di lode»… ha bisogno della vostra pia sollecitudine, con cui quotidianamente «persistete nelle veglie divine» (Cf. San Bruno). La Chiesa vi stima, conta molto sulla vostra testimonianza, confida sulle vostre preghiere. Anch’io affido a voi il mio ministero apostolico di Pastore della Chiesa universale.

Date con la vita testimonianza del vostro amore a Dio. Il mondo vi guarda e, forse inconsapevolmente, molto si attende dalla vostra vita contemplativa. Continuate a porre sotto i suoi occhi la «provocazione» di un modo di vivere che, pur intriso di sofferenza, di solitudine e di silenzio, fa zampillare in voi la sorgente di una gioia sempre nuova. Non scrive forse il vostro Fondatore:

« Quanta utilità e gioia divina apportino la solitudine e il silenzio dell’eremo a coloro che li amano, lo sanno solo quelli che ne hanno fatto l’esperienza»? Che questa sia anche la vostra esperienza lo si può dedurre dall’entusiasmo con cui perseverate nella strada intrapresa. Dai vostri volti si vede come Iddio doni la pace e la gioia dello Spirito quale mercede a chi ha abbandonato ogni cosa per vivere di Lui e cantare in eterno la sua lode.

4. L’attualità del vostro carisma è dinanzi alla Chiesa e mi auguro che tante anime generose vi seguano nella vita contemplativa. La vostra è una via evangelica di sequela di Cristo. Essa esige la donazione totale nella segregazione dal mondo, come conseguenza di una scelta coraggiosa che ha alla sua origine la sola chiamata di Gesù. È lui che vi ha rivolto questo invito di amicizia e di amore a seguirlo sul monte, per restare con lui.

Il mio augurio è che da questo luogo parta un messaggio verso il mondo e raggiunga specialmente i giovani, aprendo dinanzi ai loro occhi la prospettiva della vocazione contemplativa come dono di Dio. I giovani, oggi, sono animati da grandi idealità e se vedono uomini coerenti, testimoni del Vangelo li seguono con entusiasmo. Proporre al mondo di oggi di praticare una «vita nascosta con Cristo» (Cf. Col. 3,3), significa ribadire il valore dell’umiltà, della povertà, della libertà interiore. Il mondo, che in fondo ha sete di queste virtù, vuole vedere degli uomini retti che le praticano con eroismo quotidiano, mossi dalla coscienza di amare e di servire con questa testimonianza i fratelli.

Voi da questo monastero siete chiamati ad essere lampade che illuminano la via su cui camminano tanti fratelli e sorelle sparsi nel mondo; sappiate sempre aiutare chi ha bisogno della vostra preghiera e della vostra serenità. Pur nella felice condizione di aver scelto con la sorella di Marta, Maria, «la parte migliore che non le sarà tolta» (Lc 10,42), non siete posti al di fuori delle situazioni dei fratelli, che bussano al vostro luogo di solitudine. Essi portano a voi i loro problemi, le loro sofferenze, le difficoltà che accompagnano questa vita: voi – pur nel rispetto delle esigenze della vostra vita contemplativa – date loro la gioia di Dio, assicurandoli che pregherete per loro, che offrirete la vostra ascesi, perché anche loro attingano forza e coraggio alla fonte della vita, che è Cristo. Essi vi offrono l’inquietudine dell’umanità; voi fate loro scoprire che Dio è la sorgente della vera pace. Infatti, per usare ancora questa espressione di San Bruno, «Vi può essere qualcosa di più buono che Dio? Anzi qual altro bene può esservi fuori di Dio solo?».

5. Ho voluto con voi leggere alcuni pensieri del vostro Fondatore per rivivere in questo luogo, testimone della sua intensa vita eremitica, lo spirito che lo animava. Qui egli volle, dopo un lungo servizio alla Chiesa, chiudere la sua esistenza terrena. Qui voi restate per mantenere viva la lampada che egli accese nove secoli or sono.

Io porto con me, in questa Visita pastorale alla Calabria, l’esperienza di un momento di pace e di gioia, che mi ha recato profondo conforto. La natura, il silenzio, la vostra preghiera rimangono scolpite nel mio animo: continuate la vostra missione. A conforto del vostro impegno imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica, propiziatrice dei doni che vengono da Dio, fonte di ogni consolazione.

Ettore Majorana, tra le mura di una certosa?

Ettore Majorana, tra le mura di una certosa?

Dopo più di settant’anni, dalla misteriosa scomparsa del giovane fisico siciliano Ettore Majorana, e su espressa richiesta di qualche lettore di questo blog, ritengo doveroso trattare tale argomento. Innanzitutto va detto che la relazione tra Majorana ed i certosini, è data dal fatto che negli anni settanta, venne formulata l’ipotesi che il famoso fisico fosse entrato tra le mura di una certosa. Mi soffermerò perciò in questa sede ad analizzare le motivazioni che spinsero scrittori e giornalisti affermati, a formulare l’ipotesi dell’ingresso del fisico tra i certosini. Ma procediamo con ordine nell’esposizione dei fatti, e partiamo dalle circostanze misteriose della sparizione. Il giorno 25 marzo del 1938, Ettore Majorana stanco delle fatiche derivate dall’insegnamento e dalle continue ricerche scientifiche, decise di concedersi un viaggio di riposo. Da Napoli dove risiedeva, decise di imbarcarsi (portando con sé il passaporto, le ultime quattro mensilità da professore e  tutti i suoi risparmi ritirati in banca) su di una nave diretta a Palermo laddove giunto, soggiornò per mezza giornata per poi riprendere di nuovo l’imbarcazione che lo avrebbe condotto nuovamente a Napoli, dove però non arrivò mai. E’ esattamente il 26 marzo del 1938, la data in cui di lui si perdono le tracce. Egli aveva lasciato due lettere dove preannunciava la sua “scomparsa”, ed un telegramma che smentiva il contenuto delle missive, ciò indusse coloro che svolsero le indagini a ipotizzare che si trattasse di un suicidio. Nel dossier, “PS 1939 – A1”, redatto in data 1 aprile dalla polizia fascista, risaltano tre annotazioni : la prima scritta da Benito Mussolini “Voglio che si trovi”, la seconda del capo della polizia che aggiunse: “I morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire”, e la terza datata 4 aprile che archivia le ricerche deducendo che fosse stata “una scomparsa al fine di suicidio”. Il corpo dell’eventuale suicida, non fu mai ritrovato nonostante le incessanti ricerche effettuate, e sia i suoi familiari che i suoi collaboratori ed amici non credettero mai all’ipotesi del suicidio nonostante la presenza di quelle lettere. Dal momento della sua misteriosa sparizione sono state numerose le ipotesi avanzate, alcune prive di fondamento altre con qualche riscontro, ma comunque nessuna contenente elementi di certezza. Lo scenario più suggestivo resta quello indicato nel romanzo dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia “La scomparsa di Majorana” del 1975, laddove viene egregiamente illustrato il tormento di un uomo, angosciato dal risultato delle sue ricerche poiché resosi conto delle tremende potenzialità della fissione dell’uranio ( in pratica la bomba atomica), decide di scomparire ed eliminare ogni traccia dei suoi preziosi studi. Secondo Sciascia, Majorana optò per fingere il suicidio liberandosi della vecchia identità, e cominciando una nuova vita all’interno della certosa di Serra San Bruno. Tale informazione Sciascia l’avrebbe ricevuta da un suo amico che raccolse la confidenza di un certosino serrese circa la presenza tra i padri, all’interno dell’eremo, di un “grande scienziato”. Il pensiero, che una tale scoperta si sarebbe potuta diffondere ed essere ad appannaggio dei sistemi dittatoriali del suo tempo lo annichiliva, perciò Majorana avrebbe inscenato un finto suicidio, per poi poter sedare la sua anima continuando a vivere tra le mura certosine tra quiete, meditazione e preghiera. Questo scenario fu seccamente smentito dal Vaticano, e dallo stesso Ordine certosino che negò la presenza del fisico siciliano nell’eremo di Serra San Bruno, anche se nel 1984 papa Woytila in visita alla certosa calabrese, ricordò che il monastero «aveva dato ospitalità al grande scienziato Ettore Majorana». A suffragare la tesi dell’isolamento religioso vi è anche uno scoop giornalistico del 1997 (la Domenica del Corriere), secondo cui Majorana morì nel 1987, a 81 anni dalla nascita e a 49 dalla scomparsa, decesso che avvenne «probabilmente» nella certosa di Farneta, in provincia di Lucca, dove egli si sarebbe spostato a seguito degli echi riguardanti la sua presenza in Calabria. Oggi di questa singolare ed enigmatica storia, restano purtroppo ancora tantissime zone d’ombra che continuano ad affascinare ed interrogare intere generazioni. Suicidio? Omicidio? Crisi mistica? Esilio volontario? Rapimento? Forse non lo sapremo mai. Oltre al fascino delle varie ipotesi, e  leggende ad esse collegate, resta però la figura di un grande fisico, che alla luce dei suoi studi fatti di calcoli e formule, (che si narra appuntasse su pacchetti di sigarette per poi distruggerli) abbia compreso, come ebbe a dire e ripetere nel periodo antecedente la sua scomparsa, afflitto da una costante inquietudine che: « La fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata ». Pur non avendone la certezza come abbiamo visto, mi piace immaginare l’uomo Ettore Majorana bussare al portone di una certosa, con la assoluta certezza di sottrarsi all’umanità per offrirsi unicamente a Dio.

“Separati da tutti, siamo uniti a tutti, per stare a nome di tutti al cospetto del Dio vivente” (Statuti 34.2)

Maestro Landuino

Maestro Landuino

Tra i sei compagni di Maestro Bruno, ovvero coloro che sono stati i semi che hanno fatto germogliare l’Ordine certosino, voglio oggi ricordarvi Maestro Landuino. Questi, nativo di Lucca e forse appartenente alla nobile famiglia Bartolomei, era già un teologo rinomato quando incontrò Maestro Bruno. A Sèche-Fontaine, entrambi stavano provando una esperienza eremitica, nei pressi di Molesmes laddove Roberto aveva già fondato un abbazia cluniacense, ma come ben sappiamo, Bruno e Landuino insieme ad altri cinque compagni ritennero di ricercare altrove condizioni più idonee per le loro esigenze eremitiche. La storia delle sette stelle, ovvero i sette pellegrini che si recano dal vescovo Ugo di Grenoble, che dona loro il luogo dove poter dare inizio alla storia certosina, ormai ci è nota. La figura di Landuino, assume un particolare rilievo nel momento in cui, dopo soli sei anni dalla fondazione della prima certosa, Bruno viene chiamato dal pontefice Urbano II a Roma, ed è costretto ad abbandonare l’insediamento monastico. Alla partenza di Bruno alla volta di Roma, Landuino viene incaricato di guidare il monastero francese, facendo le veci del fondatore, tra non poche difficoltà egli riuscì a mantenere compatti i suoi confratelli inizialmente smarriti per l’inatteso allontanamento di Bruno. Questi partì probabilmente nel febbraio del 1090, dopo aver assicurato ai compagni che malgrado la lontananza resterà ad essi fedele, aiutandoli e consigliandoli in ogni occasione. Landuino trascorsi alcuni anni, tra varie peripezie, decise di intraprendere un faticoso e lungo viaggio a cavallo per poter incontrare nuovamente Bruno, nel frattempo spostatosi da Roma fino in Calabria dove aveva dato vita ad un nuovo insediamento monastico. Il tragitto per raggiungere l’Italia meridionale, era lungo e pieno di insidie, poiché in quegli anni il pericolo maggiore era rappresentato dalla presenza di soldati dell’imperatore Enrico IV e dagli agguerriti seguaci dell’antipapa Clemente III. Nonostante ciò Landuino, nell’ottobre del 1098 giunse in Italia e riuscì ad incontrare Bruno abbracciandolo calorosamente sul colle di Croce Ferrata, ad 895 m.s.l.m. sulla strada che congiunge Sorianello a Serra, in Calabria. In questo luogo vi è appunto una croce di ferro con una stele posta a memoria di tale avvenimento. Entrambi nell’abbracciarsi, si resero conto che erano trascorsi molti anni da quando si erano divisi, e che erano ormai invecchiati, e prossimi alla morte. pertanto forse consapevoli che quella era l’ultima volta che si incontravano. Ciononostante Landuino, che portava con sé l’abbraccio ideale di tutta la comunità di Chartreuse, descrisse a Bruno tutto quel che era accaduto in sua assenza, e ricevette preziosi consigli per le decisioni future.

Landuino fu invitato da Bruno a trattenersi per un lungo periodo in Calabria, ma egli fremeva di voler tornare dai suoi confratelli per relazionargli il contenuto del memorabile incontro. Nel congedarsi, Bruno consegnò nelle mani del fedele amico una missiva da far recapitare alla comunità certosina francese, Landuino, conservandola gelosamente, poté partire per il lungo viaggio di ritorno. Ma purtroppo i pericoli scampati all’andata non riuscirono ad essere evitati, e in Italia centrale Landuino cadde nelle mani dei partigiani dell’antipapa Clemente III. Il povero religioso fu oggetto di violenze e stenti effettuati nel tentativo di fargli riconoscere Guiberto da Ravenna (Clemente III) come legittimo capo della Chiesa, ma la sua ferrea fedeltà al pontefice Urbano II non cessò neanche di fronte al tentativo di squallide lusinghe. La sua permanenza in carcere, durò diversi mesi durante i quali la sua salute peggiorò notevolmente, cosicchè sopraggiunta la morte dell’antipapa Clemente avvenuta l’8 settembre del 1100, Landuino fu scarcerato. Ma non potendosi di nuovo mettere in viaggio verso la sua amata certosa, a causa delle sue scarse condizioni fisiche, decise di rifugiarsi presso il monastero di S.Andrea alle falde del Monte Soratte, dove sette giorni dopo la sua liberazione, il 14 settembre, ascese al cielo. L’epistola che egli ebbe da Bruno andò salva, poiché, prima di essere imprigionato Landuino ebbe modo di darla ad un suo compagno di viaggio, il quale sfuggendo all’arresto riuscì a farla recapitare ai monaci della Grande Chartreuse, i quali ricevettero la preziosa missiva, apprezzandola infinitamente. La figura di Landuino è citata spesso come beato, per il martirio subìto per difendere ad oltranza la sua fede, pur non essendolo diventato. Resta comunque la sua memoria nell’Ordine certosino essendo stato il secondo priore della Grande Chartreuse, e colui che si guadagnò la fiducia di Bruno che lo ritenne il suo successore.