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  • Memini, volat irreparabile tempus

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In ricordo di Benedetto XVI

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Cari amici lettori, a distanza di circa due mesi dalla dipartita terrena del Papa emerito Benedetto XVI, e con la tristezza nel cuore per la sua assenza, voglio ricordarlo con un suo breve testo.

Chi segue questo blog da tempo, ricorderà che nell’ottobre del 2016 vi annunciai l’uscita di un libro del Cardinale Robert Sarah dal titolo “La Forza del silenzio“, che poi vi proposi in successivi articoli un capitolo dedicato ai monaci certosini dal titolo “Come un grido nel deserto“. In esso vi era una preziosa conversazione con il Priore Generale dell’Ordine dei Certosini, Dom Dysmas de Lassus.

Ciò premesso, l’autore del libro dedicò il libro anche al papa emerito Benedetto XVI definendolo “grande amico di Dio e maestro di silenzio e di preghiera”.

A sua volta papa Ratzinger, rimasto entusiasta per questa edificante lettura inviò un testo manoscritto, in tedesco al Cardinale Sarah, il quale lo inserì nel volume come prefazione. Clicca qui per acquistarlo online

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Oggi, nel ricordo di Benedetto XVI, voglio offrire il suo scritto illuminante a voi tutti.

“Da quando, negli anni Cinquanta, lessi per la prima volta le Lettere di sant’Ignazio di Antiochia, mi è rimasto particolarmente impresso un passo della sua Lettera agli Efesini: «È meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se si fa ciò che si dice. Uno solo è il Maestro che ha detto e ha fatto, e ciò che ha fatto rimanendo in silenzio è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può percepire anche il suo silenzio, così da essere perfetto, così da operare tramite la sua parola ed essere conosciuto per mezzo del suo rimanere in silenzio» (15, 1s.).

Che significa percepire il silenzio di Gesù e riconoscerlo per mezzo del suo rimanere in silenzio? Dai Vangeli sappiamo che Gesù di continuo ha vissuto le notti da solo «sul monte» a pregare, in dialogo con il Padre. Sappiamo che il suo parlare, la sua parola proviene dal rimanere in silenzio e che solo in esso poteva maturare. È illuminante perciò il fatto che la sua parola possa essere compresa nel modo giusto solo se si entra anche nel suo silenzio; solo se s’impara ad ascoltarla a partire dal suo rimanere in silenzio.

Certo, per interpretare le parole di Gesù è necessaria una competenza storica che ci insegni a capire il tempo e il linguaggio di allora. Ma solo questo, in ogni caso, non basta per cogliere veramente il messaggio del Signore in tutta la sua profondità. Chi oggi legge i commenti ai Vangeli, diventati sempre più voluminosi, alla fine rimane deluso. Apprende molte cose utili sul passato, e molte ipotesi, che però alla fine non favoriscono per nulla la comprensione del testo. Alla fine si ha la sensazione che a quel sovrappiù di parole manchi qualcosa di essenziale: l’entrare nel silenzio di Gesù dal quale nasce la sua parola. Se non riusciremo a entrare in questo silenzio, anche la parola l’ascolteremo sempre solo superficialmente e così non la comprenderemo veramente.

Tutti questi pensieri mi hanno di nuovo attraversato l’anima leggendo il nuovo libro del cardinale Robert Sarah. Egli ci insegna il silenzio: il rimanere in silenzio insieme a Gesù, il vero silenzio interiore, e proprio così ci aiuta anche a comprendere in modo nuovo la parola del Signore. Naturalmente egli parla poco o nulla di sè, e tuttavia ogni tanto ci permette di gettare uno sguardo sulla sua vita interiore. A Nicolas Diat che gli chiede: «Nella sua vita a volte ha pensato che le parole diventano troppo fastidiose, troppo pesanti, troppo rumorose?», egli risponde: «… Quando prego e nella mia vita interiore spesso ho sentito l’esigenza di un silenzio più profondo e più completo… I giorni passati nel silenzio, nella solitudine e nel digiuno assoluto sono stati di grande aiuto. Sono stati una grazia incredibile, una lenta purificazione, un incontro personale con Dio… I giorni nel silenzio, nella solitudine e nel digiuno, con la Parola di Dio quale unico nutrimento, permettono all’uomo di orientare la sua vita all’essenziale» (risposta n. 134, p.156). In queste righe appare la fonte di vita del Cardinale che conferisce alla sua parola profondità interiore. È questa la base che poi gli permette di riconoscere i pericoli che minacciano continuamente la vita spirituale proprio anche dei sacerdoti e dei vescovi, minacciando così la Chiesa stessa, nella quale al posto della Parola nient’affatto di rado subentra una verbosità in cui si dissolve la grandezza della Parola. Vorrei citare una sola frase che può essere origine di un esame di coscienza per ogni vescovo: «Può accadere che un sacerdote buono e pio, una volta elevato alla dignità episcopale, cada presto nella mediocrità e nella preoccupazione per le cose temporali. Gravato in tal modo dal peso degli uffici a lui affidati, mosso dall’ansia di piacere, preoccupato per il suo potere, la sua autorità e le necessità materiali del suo ufficio, a poco a poco si sfinisce» (risposta n. 15, p. 19).

Il cardinale Sarah è un maestro dello spirito che parla a partire dal profondo rimanere in silenzio insieme al Signore, a partire dalla profonda unità con lui, e così ha veramente qualcosa da dire a ognuno di noi.

Dobbiamo essere grati a Papa Francesco di avere posto un tale maestro dello spirito alla testa della Congregazione che è responsabile della celebrazione della Liturgia nella Chiesa. Anche per la Liturgia, come per l’interpretazione della Sacra Scrittura, è necessaria una competenza specifica. E tuttavia vale anche per la Liturgia che la conoscenza specialistica alla fine può ignorare l’essenziale, se non si fonda sul profondo e interiore essere una cosa sola con la Chiesa orante, che impara sempre di nuovo dal Signore stesso cosa sia il culto. Con il cardinale Sarah, un maestro del silenzio e della preghiera interiore, la Liturgia è in buone mani.”

Città del Vaticano, nella settimana di Pasqua 2017

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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 30)

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CAPITOLO 30
Funzione del nostro Ordine nella Chiesa

1 Ciò che la solitudine e il silenzio del deserto portano di utilità e di gioia divina a coloro che li amano, solo chi l’ha sperimentato lo sa; ma non abbiamo scelto questa parte eccellente per essere gli unici a beneficiarne. Abbracciare la vita nascosta non ci fa abbandonare la famiglia umana: assistere solo a Dio è una funzione che dobbiamo svolgere nella Chiesa, dove il visibile è ordinato all’invisibile, l’azione alla contemplazione. (St 34.1)
2 L’unione con Dio, se è vera, non ci chiude in noi stessi, ma al contrario ci apre la mente e dilata il nostro cuore, fino ad abbracciare il mondo intero e il mistero della redenzione per mezzo di Cristo. Separati da tutti, siamo uniti a tutti: e così è in nome di tutti che stiamo alla presenza del Dio vivente. Raggiungere Dio in questo modo, così direttamente e continuamente come la condizione umana lo consente, ci associa in modo speciale alla Beata Vergine Maria, che siamo abituati a chiamare l’impareggiabile Madre dei Certosini. (St 34.2)
3 Rivolti, con la nostra professione, solo a Colui che è, attestiamo davanti a un mondo troppo assorbito dalle realtà della terra che fuori di Lui non c’è Dio. La nostra vita mostra che i beni del cielo sono già presenti quaggiù; è un presagio di risurrezione e un’anticipazione dell’universo rinnovato. (St 34.3)
4 Con la penitenza, infine, partecipiamo all’opera redentrice di Cristo. Ha salvato il genere umano, prigioniero e travolto dal peccato, specialmente con la sua preghiera al Padre e con la sua immolazione; sforzandoci di associarci a questo aspetto più profondo della redenzione, e nonostante la nostra astensione dall’attività visibile, esercitiamo l’apostolato in modo eminente. (St 34.4)
5 A lode di Dio, per il quale è stato appositamente istituito l’Ordine Eremitico della Certosa, offriamo dunque al Signore, nel resto della cella e nell’opera, un culto ininterrotto: così santificati nella verità, saremo quei veri adoratori che il Padre cerca. (St 34,5)

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Silenzio, e poi ascolto

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Cari amici voglio proporvi questa esternazione sul silenzio, da un certosino, che ci spiega in maniera semplice la ricchezza del loro silenzio per protendersi all’ascolto.

′′ Il silenzio è ascoltare: non l’aspettativa febbrile di una parola che colpirebbe le nostre orecchie o riempirebbe il nostro cuore, ma una tranquilla ricettività a colui che è presente e che lavora senza rumorosità nel nostro essere più intimo. Ecco perché si dice che la nostra solitudine è terra sacra, un luogo dove, come uomo con il suo amico, il Signore e il suo servo parlano spesso insieme; c’è l’anima fedele frequentemente unita alla Parola di Dio; c’è la sposa fatta una con il suo coniuge; c’è la terra unita al cielo, la divina all’umano Il silenzio, infatti, coniuga l’assenza di parole, sulle labbra e nel cuore, con un dialogo vivente con il Signore. …. . ‘ Il frutto che porta il silenzio è noto a chi lo ha sperimentato. Dio ci ha condotto in solitudine per parlare al nostro cuore. Questo è silenzio: lascia che il Signore pronunci dentro di noi una parola uguale a se stesso. Essa ci raggiunge, senza sapere come, senza poterne delineare i precisi contorni; tuttavia, la Parola stessa di Dio arriva e risuona nel nostro cuore.”

(Un certosino)

Come non collegarlo al meraviglioso XX° capitolo del primo libro de “L’imitazione di Cristo”, ai quali suggerimenti vi lascio. Che meraviglia!!!

Il silenzio di Maria

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Ancora un articolo per celebrare Maria. Oggi una meditazione estratta dalla “Vita Christi di Ludolfo di Sassonia“, un breve testo che evidenzia il silenzio di Maria, su cui meditare ed a cui fa seguito una dolcissima preghiera rivolta alla Vergine. Il silenzio è una delle caratteristiche fondamentali della Madre di Dio, prima discepola di Gesù, che conserva nello scrigno del suo cuore di madre tutti i misteri del Figlio di Dio.

Maria, “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”(Lc 2,19).

Maria si estese nel canto [del Magnificat] a lode di Dio. Altrove ha detto pochissime parole. Il Vangelo fa riferimento alle parole che disse: due volte con l’angelo; “Come avverrà questo?” e “Ecco la serva del Signore”; due volte con Elisabetta, quando la salutò e quando disse: “L’anima mia magnifica il Signore”; due volte con suo Figlio, [una volta] nel tempio: “Figlio, perché ci hai fatto questo?” e [un altro] alle nozze, “non hanno vino”; e una volta con coloro che servivano: “Fai quello che vi dice”. Parlava sempre con poche parole, tranne il canto dove parla con suo Figlio. È da notare che queste sette parole le pronunciò in quattro occasioni, ogni volta con evidente utilità. Parlò quattro volte e furono compiuti quattro miracoli. All’annuncio dell’angelo concepì Dio. Durante la visita a Elisabetta il bambino le è saltato in grembo di gioia. Alle nozze, Gesù trasformò l’acqua in vino. Nel tempio, Gesù tornò e fu loro sottomesso.

Libro 1, cap. 6, n.10.

Preghiera

Vergine delle vergini, Maria, che «non aveva somiglianza né prima né dopo»; prima tra le donne, hai fatto voto di preservare la tua verginità, e questo dono glorioso hai offerto a Dio senza averlo appreso da nessuno.
Adornato di questa e delle altre virtù, hai gradito a Dio, e un esempio di vita a tutto ciò che hai lasciato. Imploro la tua immensa bontà, che tu, mia suprema consolazione, guidi la mia vita. Possa tu farmi imitare, per quanto posso, le tue virtù e concedimi che la tua grazia mi accompagni sempre.

Amen.

Sul silenzio…

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Cari amici, voglio condividere con voi questa stupenda considerazione di “un certosino” sul silenzio.

Un testo breve, semplice, ma che esprime con una precisa descrizione l’importanza del Silentium certosino.

«Il silenzio è ascoltare: non l’attesa febbrile di una parola che ci colpisca o ci riempia il cuore, ma una calma ricettività verso colui che è presente e che lavora silenziosamente nel nostro intimo essere. Per questo si dice che la nostra solitudine “è terra santa, un luogo dove, come un uomo con il suo amico, il Signore e il suo servo spesso parlano insieme; c’è l’anima fedele frequentemente unita alla Parola di Dio; c’è la sposa fatta una con il suo sposo; c’è la terra unita al cielo, il divino all’umano ”. Il silenzio, infatti, coniuga l’assenza di parole, sulle labbra e nel cuore, a un dialogo vivo con il Signore. . . “Il frutto che porta il silenzio è noto a chi lo ha sperimentato. Dio ci ha condotti in solitudine per parlare al nostro cuore. Questo è silenzio: lasciare che il Signore proferisca in noi una parola uguale a Lui. Ci raggiunge, senza che sappiamo come, senza che possiamo delineare i suoi contorni precisi; tuttavia, la stessa Parola di Dio viene e risuona nel nostro cuore. “

(Un certosino)

“Disconnessioni. Nell’ascolto del silenzio”

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Cari amici di Cartusialover, voglio con questo articolo rendervi partecipe di un’iniziativa che sono riuscito a realizzare nella “mia” certosa, oggi museo: la certosa di San Martino a Napoli.

Come vi ho spiegato da sempre, chi vi scrive ha avuto il privilegio di coniugare la propria passione con il proprio lavoro avendo la fortuna di lavorare in una certosa, ciò ha sviluppato la mia smodata passione per le tematiche certosine. Nel corso degli anni mi sono sempre impegnato per dare valenza e risalto alla natura primigenia del luogo in cui lavoro, che dal 1867 ospita il Museo Nazionale di San Martino. La doppia anima di questo splendido luogo, pregno di ricchezze architettoniche ed artistiche talvolta sfugge ai visitatori più distratti. Con l’obiettivo di dare risalto all’aspetto spirituale dei residui ambienti monastici, e con la necessità di voler dare risalto all’ascolto del silenzio, in un mondo che si muove a ritmi elevati ed ossessionato dalla connessione al mondo virtuale ed ai frastuoni, ho concepito una visita speciale. Essa si è svolta lo scorso 26 settembre in occasione delle “Giornate Europee del Patrimonio (European Heritage Days), la più estesa e partecipata manifestazione culturale d’Europa. Grazie ad una narrazione, intervallata dall’ascolto del silenzio e di letture di testi antichi e contemporanei di autori certosini, e di testimonianze di giovani aspiranti, io ed i miei colleghi abbiamo condotto il pubblico alla scoperta dei luoghi e dei simboli del complesso monastico, supportati da un talentuoso performer in abito monastico. Ciascun partecipante è stato chiamato a lasciare il mondo fuori ed a connettersi con se stesso.

Ecco a voi le immagini della visita “Disconnessioni. Nell’ascolto del silenzio”, con l’auspicio che possa coinvolgervi emotivamente.

In silenzio nel deserto per Dio

nella cella

Molti uomini, oggi avvertono, più o meno coscientemente, nel loro cuore un desiderio di assoluto; ed in qualche modo hanno bisogno di ispirarsi ai monaci contemplativi. I certosini, in silenzio ed isolati da tutti, dal deserto ci indicano il cammino, testimoniandoci che Dio è presente e che è al di sopra di ogni cosa, «tutto è da Lui, per mezzo di Lui e per Lui». Eccoci oggi con un delizioso testo di un anonimo certosino, parole edificanti su cui riflettere e meditare.

′′ Amare Dio, però, come possiamo farlo Come amare colui che non vediamo? Si parla molto di amore nel cristianesimo, ma l’amore di Dio ha qualcosa di paragonabile alle varie forme dell’amore umano? Ponendo questi interrogativi, ricominciamo e riflettiamo, e in questo modo, quindi, cessiamo di essere innamorati.

La tradizione cristiana ha assegnato un posto importante all’intelligenza umana nella vita spirituale: mettendo al cuore della sua fede l’accoglienza della Parola di Dio, suscita un movimento in cui la parola e il rapporto con il testo sono essenziali. Ascoltare una parola, leggere un testo, richiede non solo di cercare di capire, ma anche di aspirare a conoscere colui che è il tuo autore. Così siamo abituati ad utilizzare la nostra intelligenza per cercare di conoscere Dio, capire la sua Parola e conoscere noi stessi. Siamo ben consapevoli che una ricerca del genere non è mai terminata, ma almeno abbiamo l’impressione di sapere come intraprenderla. Bisogna leggere più testi, riflettere e, alla fine, parlare di loro con altre persone.

Ci limitiamo quindi a fare atti d’amore a Dio con tutto il nostro cuore. Voltiamoci verso Lui con tutto il nostro essere, compresa l’intelligenza, in un movimento che implica allo stesso tempo adorazione, venerazione, fiducia, affetto filiale, amicizia, speranza, ogni tipo di armonia, diversa, a seconda delle persone e dei momenti. L ‘ essenziale è consegnarci completamente a lui. Per quale motivo? Perché questo è l’unico modo per entrare in una relazione paritaria con Lui. Egli si dà completamente a chi è disposto ad accoglierlo. Egli è presente in modo incondizionato accanto a coloro che ha cresciuto e considera i suoi figli. Tutto quello che possiamo fare è fare come Lui: darci completamente, rimanere presenti. Sapendo solo che la tua autodonazione precederà sempre la nostra.

L’ essere umano ha la caratteristica di non poter rimanere a lungo nello stesso atto interiore. Molto velocemente, le preoccupazioni dovute al lavoro e alle preoccupazioni quotidiane invadono lo spirito e lo deviano dal suo movimento verso Dio. La meditazione contemplativa riposa semplicemente sulla divisione del tempo in piccole unità: non siamo in grado di amare Dio, di consegnarci a Lui per molto tempo, in modo uniforme, ma possiamo farlo in una serie di momenti molto brevi. In ognuno di questi momenti è possibile voler amare Dio; voler rimanere in sua presenza con tutto ciò che siamo.

La conoscenza che abbiamo di Dio non è nell’ordine della definizione, della descrizione. Un monaco ortodosso della fine del Medioevo scriveva: ′′ Infatti, finché il pensiero non cessa di pronunciare il nome del Signore, e che l’intelligenza sia chiaramente attenta all’invocazione del nome divino, la luce della conoscenza di Dio copre l’intera anima con la sua ombra come una nuvola splendente. L’esatto ricordo di Dio genera amore e gioia “.

Proferendo dentro questa semplice parola, lo spirito si rivolge a Dio nel modo più radicale possibile. È difficile o addirittura impossibile essere completamente rivolti a Dio senza distrarre per mezz’ora o un’ora, ma non possiamo impegnarci il più possibile solo il tempo necessario per dire una parola? Poi dovremo solo ricominciare. Questo movimento verso Dio richiede due cose: lasciamo tutto ciò che ci occupa e mobilitiamo la nostra attenzione rivolgendoci a Dio con fede. Scriveva un monaco certosino inglese che ha vissuto nella prima metà del XX secolo: ′′ Il modo più semplice per fare un atto di attenzione a Dio è quello di fare un atto di inattenzione a tutto il resto “.

(un certosino)

 

I certosini e la sete di Dio

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Cari amici eccoci giunti all’ultima domanda di Nicolas Diat e relativa risposta di Dom Dysmas de Lassus inserite nel libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Come sempre, una risposta estremamente esaustiva nella quale e racchiusa l’essenza ed il fine della vita monastica certosina nel XXI° secolo.

Non è l’Ufficio Notturno l’anima dell’Ordine certosino, la preghiera che attraversa tutta la propria storia?

Non oso dire che si, nel senso che a causa del mistero che si svolge in esso, l’Eucarestia è il centro naturale del nostro giorno. Nonostante ciò, non c’è dubbio, che l’ufficio Notturno occupa un posto molto speciale nella nostra vita. La sua durata, da due a tre ore tutte le notti, e quel momento specifico tra due sonni fa che la orazione notturna continua e rimarrà un tempo insostituibile. Sia se siamo distratti o raccolti tale momento ci configura. Il canto, insieme al semplice fatto di essere lì, la rendono una preghiera non solo dello spirito ma anche del corpo. I nostri padri avevano una grande stima per la preghiera notturna, che dalla Rivoluzione Francese, cantavano a memoria tutta la salmodia dell’ufficio Notturno avvolti da una oscurità totale. L’ufficio possiede una dinamica speciale. Stiamo uniti e stiamo soli. L’equilibrio della nostra vita, fatta di solitudine e di vita in comune, diventa realtà nel cuore della nostra orazione in profonda unità; il canto corale è un opera collettiva nella quale ci necessitiamo gli uni agli altri. Ma di notte, il coro invisibile ci lascia soli in un atmosfera di intimità che facilità l’incontro di cuore a cuore con Dio. Il suo mistero si presenta più vicino e più sfuggente. Come esprimono le splendide parole di S. Agostino, uniamo la nostra preghiera a quella di Cristo; in tutta la liturgia è Cristo che “prega per noi come nostro Sacerdote, e prega in noi come nostra testa. Riconosciamo in Egli la nostra voce, e sappiamo riconoscere la sua voce in noi”(Sal 85, PL 37, 1081). Nella Chiesa solo arde con intensità la luce di Cristo.

L’Eucarestia occupa il primo posto: ci unisce alla Chiesa. L’ufficio Notturno rappresenta il marchio della nostra peculiarità; ci distingue dai fratelli che assistono all’ufficio, ma di solito non cantano, ma pregano in silenzio nella parte più buia della chiesa. Così si rendono presenti gli equilibri che caratterizzano la vita certosina: vita solitaria e azione comune, preghiera silenziosa e preghiera corale, monaci conversi e monaci del chiostro, ed io aggiungerei monaci e monache.

Nonostante si tratta di un argomento poco conosciuto, quasi dalle sue origini la vocazione certosina è stata vissuta da uomini e donne. Le monache certosine, nate soltanto cinquanta anni dalla morte di san Bruno, proseguono oggi essendo molto vive, discrete ed efficaci, ma non meno essenziali per la pienezza del carisma di san Bruno. Anche loro, come noi, pregano nel cuore della notte.

L’anima dell’ordine è la sete di Dio.Portiamo con noi l’attesa dell’umanità che, senza saperlo, quando aspira alla pace, alla giustizia ed all’amore, ha sete di Dio.

Vogliamo rispondere a Dio, che tanto desidera stabilire una relazione d’amore con gli uomini. “Ho sete” dice Gesù sulla croce.

Nel silenzio della notte, ed in quello della cella, e nel cuore dei certosini, presentiamo la sete insaziabile degli uomini, ed all’umanità la sete di Dio, partecipando così all’opera di Gesù, nella quale si sono uniti per sempre entrambi i desideri.

Questa è, duemila anni dopo, la principale ed umile ambizione della Grande Chartreuse e di tutti i figli di san Bruno.

Relazione tra il silenzio e l’orazione costante

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Ancora una domanda rivolta a Dom Dysmas de Lassus, tratta dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”.

Nicolas Diat chiede Come si relazionano il silenzio e l’orazione costante?

Dom Dysmas risponde come segue:

L’espressione orazione costante, non deve indurci ad un errore: non si tratta di recitare orazioni senza fermarsi. In realtà, questa formula si riferisce al modo di stare

continuamente insieme a Dio, di lasciarsi abitare da Lui, di vivere in una maniera cosciente questa abitazione. Questa è la testimonianza di una donna che vive questa esperienza: “Il mio io superficiale vede il mio io interiore in adorazione. E se la superficie vuole implicarsi ed unirsi con un orazione parlata alla adorazione profonda, tutto è finito. Solo posso unirmi a questo io interiore per mezzo del silenzio, contemplare l’adorazione dentro di me e tacere.” ( Cahiers sur l’oraison 211, 1987). Si tratta di una donna che vive in mezzo al mondo, ciò significa che l’esperienza non è esclusiva dei religiosi.

Possiamo considerare il silenzio come una strada fino all’orazione costante, o al sogno: la orazione costante una via fino al silenzio? Formulata così, la domanda sarà troppo semplice, perchè le due cose sono certe. Io preferisco coniugare i due aspetti a ciò che mi riferivo prima: quanto più si penetra nel silenzio,allo stesso modo che, quanto più si entra in intimità con una persona, più spazio occupano il silenzio ed il semplice sguardo. La orazione costante contiene entrambe le cose: una intimità abituale con Dio che rende il suo mistero più accattivante che mai.

Inoltre il monaco riceve quello di cui parlava San Bruno “la pace che il mondo ignora e il godimento nello Spirito Santo”. Il godimento dell’unione intima non necessita di troppe parole. In questo stadio il silenzio non esige più sforzi, lo esige piuttosto per salire di più a Lui.

Questo stadio non è abituale, un fratello certosino che ha sperimentato l’orazione costante mi disse: “Non siamo degni di essa”. Questo vuol dire che la decisione corrisponde all’ospite interiore, allo Spirito Santo che trascina in un mondo nel quale non si può non stare zitto, come quando ci attraversa una intensa emozione. Nella vita ordinaria, acquisterà una forma alla quale mi riferisco in un istante: si prosegue con la vita normale, ma c’è qualcosa nell’interno che continua silenziosamente unito a Colui che amiamo e che ci ama, una amorevole presenza che basta per riempirci totalmente. Quando non viviamo l’uno con l’altro, senza l’uno nell’altro, colui che non è degno dell’azione che Dio opera in lui, e si limita ad unirsi a questo mistero, i cui limiti non ha necessità di conoscere. Non chiede spiegazioni. ” Io sono del mio amato ed il mio amato e mio”, dice il Cantico dei Cantici (6, 3).

Che tutto zittisca affinchè Dio si faccia ascoltare. E come piace dire a voi, si fa ascoltare nel silenzio. Forse per questo i monaci hanno da sempre apprezzato tanto la orazione notturna. Già S. Antonio passava notti intere in orazione. L’ufficio notturno è un momento centrale della vita certosina al quale non rinunceremo mai.

Si tratta di un tempo che si dedica totalmente all’orazione, in mezzo al sonno, e ciò lo rende di una dimensione speciale. L’ufficio notturno è un dono gratuito che si offre solo a Dio. Vegliando di notte, offriamo la nostra povertà, che tanto ben conosciamo, insieme con quella del mondo. Le deliziose parole dei nostri Statuti hanno più senso che mai: «Separati da tutti, siamo uniti a tutti, per stare a nome di tutti al cospetto del Dio vivente».

Mi sono sempre piaciute queste parole del capitolo Missione dell’Ordine nella Chiesa. Mentre il mondo dorme, noi scegliamo di alzarci per unire la nostra lode e la nostra intercessione a quella di Cristo; perchè l’orazione degli uomini, questo vincolo vitale tra il cielo e la terra, non cessi mai. Quando noi andiamo a dormire, altri, i benedettini, i cistercensi, ci sostituiranno.

Contro gli eccessi di rumore

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Ancora uno splendido pezzo di Dom Dysmas de Lassus, tratto dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Il Reverendo Padre certosino risponde a due domande dell’intervistatore, in maniera molto eloquente.

Cosa caratterizza ciò che io chiamerei le malattie da rumore? Quali sono i problemi derivanti dall’eccesso del rumore?

Nella mia risposta alla sua domanda influisce per forza la mia esperienza come certosino. Molto raramente mi espongo al rumore esteriore, specialmente a quello delle città. Non ho automobile, nè televisione, nè radio, queste ultime due sono da sempre state escluse dai nostri conventi, cosicchè quello che dico è un pò sfasato.

Se esiste una malattia da rumore, dovrebbe essere chiamata la sindrome del bavaglio.

Ho verificato ciò con gli aspiranti che vengono da noi per ritirarsi. Poi emergono in superficie, ricordi, desideri, ferite, timori che dormono nel proprio interiore e che essi stessi non conoscono. L’incessante flusso quotidiano di notizie, di riunioni, di attività diverse, non smette mai di fare tacere queste voci che stanno nel più profondo del proprio essere, e ne impediscono di affiorare alla coscienza. Il silenzio e la solitudine le scoprono. Come la scoperta non sempre e gradevole e l’interessato è abbastanza indifeso, prova a lasciarli fuori dell’ambito della coscienza mantenendo questo rumore permanente al fine di impedire che si manifesti.

In questo senso, l’uomo moderno non ha dovuto affrontare mai tanti e tanto forti tentazioni como queste.

La moltiplicazione dell’offerta dell’informazione di suoni ed immagini da meno di un secolo è sorprendente.

Il panorama sonoro e visuale dell’uomo non ha niente a che vedere con quello dei nostri nonni. Credo che bisogna avere un pò di forza spirituale per proteggersi da questa invasione non attraverso un rifiuto totale, ma attraverso un corretto ascetismo.

Come già disse Solženicyn che, se esiste il diritto all’informazione, esiste anche il diritto a non essere informato.

Come priore della Grande Chartreuse mi occupo di trasmettere alla comunità le informazioni rilevanti concernenti la vita della Chiesa, della Francia e del mondo, e ciò mi obbliga a leggere i giornali. Quante cose interessanti e, allo stesso tempo, inutili minacciano di occupare la immaginazione, e fornirla di armi contro il silenzio interiore! Bisogna fare una selezione, ancora di più quando i giornalisti sottolineano gli eventi eccezionali. Parlano dell’aereo che è precipitato, perchè non scrivono un articolo per scrivere che oggi tutti gli aerei sono regolarmente atterrati, o che le madri di famiglia si prendono cura dei propri figli! Forse perchè questo non risulta essere importante?

C’è un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato: io non sono responsabile della guerra in Siria e non posso fare nulla per risolvere questo dramma. Senza dubbio, sono si responsabile se scopro che il mio vicino di casa è solo o malato. Ma siccome il primo dramma è maggiore, corro il pericolo che esso mi impedisca di vedere il secondo. Le tentazioni si sono moltiplicate, ed il discernimento e la rinuncia si sono fatte più necessarie che mai. Noi abbiamo scelto di consacrare la nostra vita alla ricerca di Dio nel silenzio e nella solitudine. Dobbiamo difendere entrambi le cose con decisioni nette: se no, presto non saranno nulla. La nostra vocazione non è abituale, ma non è che tutti gli uomini necessitano di un pò di silenzio e di solitudine se non vogliono perdere il contatto con il proprio cuore? Noi abbiamo una clausura ed una regola che ci protegge. Coloro che vivono nel mondo devono trovare la propria clausura e la propria regola senza dubbio alcuno. Infine, mi domando se la voce che il mondo moderno tenta di mettere a tacere con il rumore ed il movimento costante non sarà quella che ci dice: ” Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”.

La eliminazione della morte caratterizza la nostra società: non devo dirlo io. Ed è comprensibile. Come si può sopportare l’idea della morte senza Dio, senza la vita eterna, senza Cristo e senza la redenzione? Mangiamo e beviamo, che domani moriamo. Il ricordo della nostra precarietà è troppo insistente, cosicchè proviamo a zittirlo.

Il rimedio contro le malattie del rumore?

Si deduce da quello che ho appena detto. Il principale rimedio, sarà come sempre, nello scoprire l’amore di Dio, la sua chiamata alla vita eterna. La vittoria di Cristo sulla morte che diviene una amica, nella porta che apre alla Vita. E la misericordia divina che risana da quel timore al male che troviamo in noi stessi. In una parola: la speranza.