
Ecco per voi amici lettori, un prezioso testo di Dom Innocent Le Masson, nel quale ci illustra le tre tappe della solitudine. Leggiamo e meditiamo queste profonde e splendide considerazioni.
Per camminare verso questo fine (l’unione con Dio), dobbiamo imitare il profeta Mosè, che facendo pascolare il suo gregge nelle profondità del deserto (Ex3, 1), vide un rovo ardente che non si consumava, si avvicinò e lì Il Signore gli è apparso e gli ha parlato. Così, se vogliamo raggiungere questa intima unione con Dio, è necessario che ci costruiamo, attraverso la solitudine, un deserto, facciamo pascere il gregge, cioè alle facoltà dell’anima e la sua buona disposizione, per poter un giorno contemplare il Rovo ardente.
Dobbiamo fissare in questo esercizio interiore la prima tappa del nostro cammino se vogliamo tendere all’unione con Dio, che potremo raggiungere solo attraverso questa solitudine dello Spirito. Infatti, così come Dio è spirito purissimo, nessuno può camminare con lui ma attraverso lo spirito. Così, senza questa solitudine interiore la solitudine esterna sarebbe qualcosa di arido, sembrerebbe più un obbligo che una grazia preziosa (…)
Quando il profeta Mosè stava per abbandonare l’Egitto e stava per partire verso la terra promessa lungo la strada della solitudine, disse al Faraone:
“ci sia permesso di camminare nel deserto tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore, nostro Dio” (ex 3,18)
Penso che ognuno di noi debba fare la stessa affermazione e osservarla se vogliamo vivificare la nostra solitudine esterna per opera della solitudine interiore; perché anche noi dobbiamo fare tre tappe nella solitudine:
– la prima è la solitudine del cuore
– la seconda la solitudine della mente
– la terza la solitudine dell’anima
Solitudine del cuore, non è altro che una volontà di distacco nel cuore stesso, che si conserva puro di fantasie incontrollate, così come dei propri affetti e desideri, per sedersi spiritualmente ai piedi di Cristo e lì imparare a non occuparsi più di Dio solo e delle cose soprannaturali.
Solitudine della mente, è lo sforzo della volontà per non disturbare i nostri dialoghi con Dio, con pensieri cattivi, vani o inutili (…) quando si ha l’abitudine di allenarsi nella solitudine della mente e metterla in pratica. I nostri pensieri, infatti, si nutrono degli affetti e desideri del cuore; se si sopprimono questi, i pensieri vengono facilmente dominati, come il fuoco si calma e si spegne pian piano quando non si alimenta più, fornendogli la legna e togliendogli, lentamente quella che prima gli era stata fornita.
Solitudine dell’anima, in poche parole vi dirò ciò che richiede e con quali mezzi la si può acquisire. Per ottenere e praticare la solitudine del cuore sarà necessario separarsi dagli oggetti che eccitano e hanno occupato il centro degli affetti naturali, si dovrà fuggire dai desideri e rimanere in uno stato di solitudine per acquisire l’abitudine e conservarla. Per ottenere e vivere la solitudine della mente era necessario conservarsi dai pensieri inutili e vani, fuggire dalle fantasie inutili e non ammettere veramente né gli uni né le altre per trovare e conservare l’abitudine di questa solitudine.
Così, per ottenere e praticare la solitudine dell’anima è necessario staccarsi dall’amore proprio, stare in guardia per quanto riguarda le proprie opinioni o giudizi troppo personali, rimanere in un fermo scopo di liberarsi di tutto senza alcuna prenotazione, con cura di tutti i desideri (anche se sono molto spirituali), affinché non vogliamo, cerchiamo e troviamo altro ma solo Dio.
Se avessimo percorso fedelmente queste tre tappe, ci sarà concesso di raggiungere con il profeta Mosè il cuore del deserto e, con lui, contemplare Dio nel rovo ardente della beneficenza. Allora ascolteremo con intima consolazione mortale con la stessa facilità con cui il profeta Mosè si tolse i sandali (ex 3,5), dopo il mandato del Signore che lo chiamava dal rovo. Una volta raggiunte queste tre tappe, non dubito che saremo introdotti nel riposo di questa beata unione con Dio (…)
Passo dopo passo sentiremo a poco a poco diminuire in noi il peso della nostra natura corrotta; poi arriveremo alla felice dimenticanza delle cose del mondo, e poi beeremo quanto è dolce il Signore (sale 33,9) e raggiungeremo finalmente la grande visione del rovo ardente, che brucia senza consumarsi nel fuoco e nella luce della beneficenza divina.
Per questa causa la nostra anima, immersa nella consolazione celeste, infiammata dall’amore di Dio e come strappata fuori di se stessa, ripeterà spesso le parole del profeta Mosè:
“andrò e vedrò questa meravigliosa visione” (ex 3,3).
In affetto, attratta dall’appeal divino, l’anima arriverà a disprezzare la vita mortale e ad avere un desiderio tale di consumare la sua unione con Dio nella vita immortale, che sospirerà per la morte per stare con Cristo (Fil 1,23).
Grazie al silenzio e alla solitudine, le porte sono chiuse al mondo e alle realtà vane; e mentre sono lontane dai sensi le cose che di solito hanno l’abitudine di risvegliare in loro i desideri della carne e anche dello Spirito, l’anima impara ad ascoltare più liberamente Dio e se stessa, e si abitua a questo.
Il silenzio e la solitudine fanno violenza alla natura soprattutto nella loro propensione ad agire, a parlare, a vivere in società; questi sono infatti, gli esercizi che gli sono propri, più di tutti gli altri. Niente mortifica più la natura perché le altre mortificazioni domano la carne, ma questa tocca lo spirito. Tuttavia, mentre il corpo di carne è messo in strette si dilatano gli spazi della beneficenza divina.
E se questo esercizio può essere austero per il momento, dà comunque a chi si applica a lui il frutto di un’immensa pace, un frutto di salvezza e consolazione interiore; per questo l’anima piace e vede quanto è buono il Signore (sale 33,9 ) e qual è questa pace di Dio che supera ogni intelligenza, che custodisce i cuori e i pensieri in Cristo Gesù (Fil 4,7)
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