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Pienitudine nella solitudine

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Nell’articolo odierno, voglio offrirvi un delizioso testo di Dom Giovanni Giusto Lanspergio che si esprime sul valore della solitudine, e di come tale condizione è essenziale per incontrare Dio. Seguiamo i suoi validi consigli.

stelle sette x

“Nella solitudine, l’uomo si purifica e si custodisce puro; conosce se stesso e inizia nell’amore di Dio. Nella solitudine impara a mortificare la sua carne, a rendersi simile a Dio, ad unirsi a Lui. Chi ha il gusto della solitudine, ha il gusto di Dio. Lì tutte le cose del mondo diventano strane all’uomo, tutti i fardelli diventano leggeri dal sapore dei beni celesti. L’uomo perde se stesso e trova Dio. Ma questa solitudine, pochissimi la conoscono e pochissimi sanno amarla; se gli uomini avessero lo sguardo più profondo, vedrebbero quale tesoro è nascosto in essa, e tutti correrebbero da lei… ”.

“Rimani assiduamente nel tuo santuario interiore… Non ti dare a nulla in eccesso; accontentati del semplice uso delle cose presenti di cui devi occuparti quando è necessario, senza che il tuo cuore si attacchi ad esse. Rimetti subito a Dio ogni evento triste o gioioso, vivi senza molteplicità, affinché Dio rimanga presente in te. Rifiuta ogni impedimento… Non desiderare di compiacere nessuno, tranne Dio solo. Scegli con Maria la parte migliore, non vagabondare di qua e di là… Torna senza sosta alla solitudine, alla conversazione interiore. Colui che cerchi non può trovarlo nessun senso o nessuna intelligenza, solo le anime pure lo ricevono. Possa Egli essere il tuo pensiero, la tua ricerca continua e, qualunque cosa accada, vai per la tua strada. Torna sempre così dentro dove è presente la verità stessa. Non ci arriverai mai nel borbottio inconsistente delle parole. Fai dunque silenzio, resta in pace, sopporta tutto, abbi fiducia in Dio, fai ciò che è in tuo potere e presto riceverai una luce meravigliosa per conoscere le strade così perfette della vita interiore”.

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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 30)

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CAPITOLO 30
Funzione del nostro Ordine nella Chiesa

1 Ciò che la solitudine e il silenzio del deserto portano di utilità e di gioia divina a coloro che li amano, solo chi l’ha sperimentato lo sa; ma non abbiamo scelto questa parte eccellente per essere gli unici a beneficiarne. Abbracciare la vita nascosta non ci fa abbandonare la famiglia umana: assistere solo a Dio è una funzione che dobbiamo svolgere nella Chiesa, dove il visibile è ordinato all’invisibile, l’azione alla contemplazione. (St 34.1)
2 L’unione con Dio, se è vera, non ci chiude in noi stessi, ma al contrario ci apre la mente e dilata il nostro cuore, fino ad abbracciare il mondo intero e il mistero della redenzione per mezzo di Cristo. Separati da tutti, siamo uniti a tutti: e così è in nome di tutti che stiamo alla presenza del Dio vivente. Raggiungere Dio in questo modo, così direttamente e continuamente come la condizione umana lo consente, ci associa in modo speciale alla Beata Vergine Maria, che siamo abituati a chiamare l’impareggiabile Madre dei Certosini. (St 34.2)
3 Rivolti, con la nostra professione, solo a Colui che è, attestiamo davanti a un mondo troppo assorbito dalle realtà della terra che fuori di Lui non c’è Dio. La nostra vita mostra che i beni del cielo sono già presenti quaggiù; è un presagio di risurrezione e un’anticipazione dell’universo rinnovato. (St 34.3)
4 Con la penitenza, infine, partecipiamo all’opera redentrice di Cristo. Ha salvato il genere umano, prigioniero e travolto dal peccato, specialmente con la sua preghiera al Padre e con la sua immolazione; sforzandoci di associarci a questo aspetto più profondo della redenzione, e nonostante la nostra astensione dall’attività visibile, esercitiamo l’apostolato in modo eminente. (St 34.4)
5 A lode di Dio, per il quale è stato appositamente istituito l’Ordine Eremitico della Certosa, offriamo dunque al Signore, nel resto della cella e nell’opera, un culto ininterrotto: così santificati nella verità, saremo quei veri adoratori che il Padre cerca. (St 34,5)

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Dio è solitario e lo è essenzialmente

Dio è solitario e lo è essenzialmente

(Soli per gli altri)

preghiera solitaria

Ecco per voi, un testo di Dom Luis Marie Baudin, tratto da un’antologia di autori certosini.

Dio è solitario e lo è essenzialmente: perché il presente in tutti gli esseri non si mescola con nessuno; i suoi attributi lo rendono infinitamente distante dal nulla e dalle imperfezioni delle creature: “Io, il Signore, sono il primo e sono con l’ultimo” (Is40,4b).

Ma questa separazione che la natura divina richiede tra Lui e ciò che non lo è non può, tuttavia, portare all’indifferenza o al disprezzo per tutto ciò che gli è sfuggito dalle mani. Al contrario, per amore li ha chiamati all’esistenza e la sua carità li avvolge ovunque:

“Adora tutte le cose esistenti e non disprezzare tutto ciò che hai creato”

(Sab 1124). Tutti i beni di lacerazione provengono da questo abisso della divinità, che gli è impenetrabile. C’è anche un abisso tra il bene e il male. Tra ciò che Dio ha fatto e ciò che non ha fatto. Il peccato, l’imperfezione, non è il suo lavoro, ma il frutto dell’uomo: così, per separarci principalmente dal male e da ciò che è imperfetto, viviamo lontano dal mondo, dalla sua mentalità e vanità. Più restiamo estranei al mondo, attenti solo all’unica cosa necessaria, più saremo per i depositi e i canali del flusso divino nel mondo. Tutto ciò che ci avvicina al mondo diminuisce simultaneamente la nostra azione nelle anime che devono essere salvate.

Facciamo attenzione a non rendere la nostra vita solitaria una vita di egoismo, occupata solo nei nostri interessi, persino spirituali. San Giovanni Crisostomo definì una simile “filosofia” tra i monaci sterile. Senza dubbio siamo venuti nel deserto per trovare Dio e goderne, avidi di partecipare qui sulla terra, per Colui che ci rende possibile, della beatitudine che l’Altissimo possiede nella sua infinita semplicità. La bontà senza misura forse comunicherebbe a un’anima, senza inondarla allo stesso tempo con il torrente d’amore che si diffonde sugli esseri creati? Viviamo in solitudine con il desiderio di purezza di cuore e di soddisfare la nostra avidità del Bene Supremo; ma allo stesso tempo la nostra solitudine è per il mondo una fonte di grazia, per l’ardore delle nostre intercessioni e la generosità dei nostri sacrifici.

Le tre tappe della solitudine

Le Masson, Innocent

Ecco per voi amici lettori, un prezioso testo di Dom Innocent Le Masson, nel quale ci illustra le tre tappe della solitudine. Leggiamo e meditiamo queste profonde e splendide considerazioni.

Per camminare verso questo fine (l’unione con Dio), dobbiamo imitare il profeta Mosè, che facendo pascolare il suo gregge nelle profondità del deserto (Ex3, 1), vide un rovo ardente che non si consumava, si avvicinò e lì Il Signore gli è apparso e gli ha parlato. Così, se vogliamo raggiungere questa intima unione con Dio, è necessario che ci costruiamo, attraverso la solitudine, un deserto, facciamo pascere il gregge, cioè alle facoltà dell’anima e la sua buona disposizione, per poter un giorno contemplare il Rovo ardente.
Dobbiamo fissare in questo esercizio interiore la prima tappa del nostro cammino se vogliamo tendere all’unione con Dio, che potremo raggiungere solo attraverso questa solitudine dello Spirito. Infatti, così come Dio è spirito purissimo, nessuno può camminare con lui ma attraverso lo spirito. Così, senza questa solitudine interiore la solitudine esterna sarebbe qualcosa di arido, sembrerebbe più un obbligo che una grazia preziosa (…)
Quando il profeta Mosè stava per abbandonare l’Egitto e stava per partire verso la terra promessa lungo la strada della solitudine, disse al Faraone:
“ci sia permesso di camminare nel deserto tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore, nostro Dio” (ex 3,18)
Penso che ognuno di noi debba fare la stessa affermazione e osservarla se vogliamo vivificare la nostra solitudine esterna per opera della solitudine interiore; perché anche noi dobbiamo fare tre tappe nella solitudine:

– la prima è la solitudine del cuore
– la seconda la solitudine della mente
– la terza la solitudine dell’anima

Solitudine del cuore, non è altro che una volontà di distacco nel cuore stesso, che si conserva puro di fantasie incontrollate, così come dei propri affetti e desideri, per sedersi spiritualmente ai piedi di Cristo e lì imparare a non occuparsi più di Dio solo e delle cose soprannaturali.

Solitudine della mente, è lo sforzo della volontà per non disturbare i nostri dialoghi con Dio, con pensieri cattivi, vani o inutili (…) quando si ha l’abitudine di allenarsi nella solitudine della mente e metterla in pratica. I nostri pensieri, infatti, si nutrono degli affetti e desideri del cuore; se si sopprimono questi, i pensieri vengono facilmente dominati, come il fuoco si calma e si spegne pian piano quando non si alimenta più, fornendogli la legna e togliendogli, lentamente quella che prima gli era stata fornita.

Solitudine dell’anima, in poche parole vi dirò ciò che richiede e con quali mezzi la si può acquisire. Per ottenere e praticare la solitudine del cuore sarà necessario separarsi dagli oggetti che eccitano e hanno occupato il centro degli affetti naturali, si dovrà fuggire dai desideri e rimanere in uno stato di solitudine per acquisire l’abitudine e conservarla. Per ottenere e vivere la solitudine della mente era necessario conservarsi dai pensieri inutili e vani, fuggire dalle fantasie inutili e non ammettere veramente né gli uni né le altre per trovare e conservare l’abitudine di questa solitudine.

Così, per ottenere e praticare la solitudine dell’anima è necessario staccarsi dall’amore proprio, stare in guardia per quanto riguarda le proprie opinioni o giudizi troppo personali, rimanere in un fermo scopo di liberarsi di tutto senza alcuna prenotazione, con cura di tutti i desideri (anche se sono molto spirituali), affinché non vogliamo, cerchiamo e troviamo altro ma solo Dio.

Se avessimo percorso fedelmente queste tre tappe, ci sarà concesso di raggiungere con il profeta Mosè il cuore del deserto e, con lui, contemplare Dio nel rovo ardente della beneficenza. Allora ascolteremo con intima consolazione mortale con la stessa facilità con cui il profeta Mosè si tolse i sandali (ex 3,5), dopo il mandato del Signore che lo chiamava dal rovo. Una volta raggiunte queste tre tappe, non dubito che saremo introdotti nel riposo di questa beata unione con Dio (…)

Passo dopo passo sentiremo a poco a poco diminuire in noi il peso della nostra natura corrotta; poi arriveremo alla felice dimenticanza delle cose del mondo, e poi beeremo quanto è dolce il Signore (sale 33,9) e raggiungeremo finalmente la grande visione del rovo ardente, che brucia senza consumarsi nel fuoco e nella luce della beneficenza divina.
Per questa causa la nostra anima, immersa nella consolazione celeste, infiammata dall’amore di Dio e come strappata fuori di se stessa, ripeterà spesso le parole del profeta Mosè:
“andrò e vedrò questa meravigliosa visione” (ex 3,3).
In affetto, attratta dall’appeal divino, l’anima arriverà a disprezzare la vita mortale e ad avere un desiderio tale di consumare la sua unione con Dio nella vita immortale, che sospirerà per la morte per stare con Cristo (Fil 1,23).

Grazie al silenzio e alla solitudine, le porte sono chiuse al mondo e alle realtà vane; e mentre sono lontane dai sensi le cose che di solito hanno l’abitudine di risvegliare in loro i desideri della carne e anche dello Spirito, l’anima impara ad ascoltare più liberamente Dio e se stessa, e si abitua a questo.
Il silenzio e la solitudine fanno violenza alla natura soprattutto nella loro propensione ad agire, a parlare, a vivere in società; questi sono infatti, gli esercizi che gli sono propri, più di tutti gli altri. Niente mortifica più la natura perché le altre mortificazioni domano la carne, ma questa tocca lo spirito. Tuttavia, mentre il corpo di carne è messo in strette si dilatano gli spazi della beneficenza divina.

E se questo esercizio può essere austero per il momento, dà comunque a chi si applica a lui il frutto di un’immensa pace, un frutto di salvezza e consolazione interiore; per questo l’anima piace e vede quanto è buono il Signore (sale 33,9 ) e qual è questa pace di Dio che supera ogni intelligenza, che custodisce i cuori e i pensieri in Cristo Gesù (Fil 4,7)

 

 

 

L’ incontro con Dio avviene in silenzio

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Sebbene il silenzio non si cerchi per il silenzio, la realtà è che è presente in ogni momento. Questa la domanda fatta a Dom Dysmas de Lassus nel libro del cardinale Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore” .

La risposta, è come sempre, semplice acuta dalla quale si percepisce una profonda umiltà.

“Questo è il nostro desiderio più fervente, ma ” Raggiungiamo questo ideale?” Siamo realisti: Anche tra i certosini esiste il rumore; lo sappiamo troppo bene. Risulta paradossale che il silenzio esteriore e la solitudine, il cui obiettivo è facilitare il silenzio interiore, cominci esponendoci a tutto il rumore che è in noi.

Se porti in tasca una radio accesa , è possibile che nel mezzo del trambusto di una città o di una strada non te ne accorgi perché il suo suono è mescolato con quello dell’ambiente circostante. Ma se si entra in una chiesa, non tarderai a percepire che dalla tua tasca si leva un parlottare, la prima cosa che si proverà a fare e tentare di spegnerla. Ma, purtroppo non esiste un pulsante che riduca il parlottio della nostra immaginazione….La prima fase consiste nell’essere cosciente di ciò anche se non ci piace.

Il silenzio che regna in una certosa non è sufficiente. Per raggiungere la comunione nel silenzio è necessario un compito di lavoro radicale. Dobbiamo armarci di pazienza e dedicare ad esso ardui sforzi. Quando alla fine la nostra immaginazione accetta di collaborare e rilassarsi, i momenti di profonda intimità con Dio pagano a caro prezzo gli sforzi che sono stati necessari per dare spazio a Lui.

Ma noi non siamo capaci di creare la intimità con Dio; essa procede sempre dall’alto; quello che a noi spetta è costruire l’ascolto dove possa aver luogo l’incontro. La solitudine ci aiuta. E’ molto più facile raggiungere il silenzio interiore quando siamo da soli. Mi è sempre piaciuto il momento dell’orazione solitaria in cella che precede l’ufficio notturno nella chiesa. Questo momento appena colto, a metà della notte, ha qualcosa di eccezionale. Non idealizzerò, non dico che in quel momento vi è sempre la pace del cuore, ma in generale la comunione silenziosa cresce con una maggiore naturalezza.Mi piacerebbe prolungare quel raccoglimento durante l’Ufficio nel coro che poi segue, ma poche volte riesco a recuperare la stessa qualità di comunione, perchè la dimensione comunitaria della liturgia consente il movimento dei pensieri. Mentre ci sono innamorati nel mondo, che cercheranno di stare da soli per cercare in silenzio l’incontro. Forse questo è il modo più semplice per spiegare la nostra scelta di vita. Il silenzio e la solitudine certosina acquistano il loro significato nell’immenso desiderio di intimità con Dio. Per i figli di san Bruno il silenzio e la solitudine sono il luogo perfetto per l’incontro da cuore a cuore”.

Del ricorrere a Dio nella solitudine.

nella cella in solitudine

Dello spirito interiore di un certosino

(Riflessioni utili per i novizi per facilitarne il loro esercizio)

A conclusione di quest’anno, voglio proporvi questo breve ma intenso testo di un certosino, concepito per sostenere i novizi nella pratica dei propri esercizi. Sarà il primo di una lunga serie!

A chi io ricorro nel mio isolamento, se non a te, o mio Dio! Sono solo con te solo. Sono lontano/a dai miei genitori, dalle mie conoscenze; Ho lasciato amici e famiglia per essere nel deserto

Ecce elongavi fugiens et mansi in solitudine (ps.54:78)

Signore, sei tu il mio rifugio, il mio sostegno, il mio aiuto in tutto le mie tentazioni, in tutte le mie pene. Tu sei la mia parte, la mia unica parte: Parse mea Deus
Tutti i desideri del mio cuore sono venuti a te, ho espresso i miei desideri ai piedi degli altari. Mi sono dato tutto a voi per la professione religiosa, essa è tutto per me, Signore, se devo servire me stesso con questa espressione. Sei Tu il mio padre, mio Consolatore. Che cosa succederebbe se tu venissi via? Tu hai promesso il centuplo a coloro che hanno lasciato tutto nel tuo nome, dammi questo centesimo.
Petizione della tua grazia, donami ogni giorno nuove luci per non attaccarmi che a Te, O mio sovrano, mio unico bene in questo ritiro, dove posso dire, come il Profeta, che sono nella dimenticanza degli uomini, che mi considerano come separato da loro nella società, morto civilmente a causa dei miei impegni:
Oblivioni datus fum, tamquam mortuus a corde (Ps.30)
Un certosino

La solitudine di Dio

 

Le Masson, Innocent

Ecco a voi uno splendido brano scritto da Dom Innocent Le Masson, nel quale egli ci descrive la relazione tra la solitudine e Dio.

Dio per natura ed essenza è solo e solitario. In effetti, è impossibile che ci siano più Dio; e la solitudine di Dio non è ostacolata dalla presenza delle tre Persone della Santissima Trinità.

Questo mistero ci mostra solo ciò che è l’incessante opera e l’occupazione della solitudine divina,

cioè, la generazione del Figlio dal Padre per azione, comprensione e processione dello Spirito Santo con l’azione della volontà, occupazioni perfettamente solitarie, perché nulla di ciò che è stato creato collabora. Troviamo, quindi, nella stessa Essenza Divina il modello della solitudine istituita dal nostro Santo Padre Bruno.

Troviamo, infatti, la separazione di tutte le creature e la fuga da uno sterile tempo libero, per opera di quella immutabile attività attraverso la quale sempre si contempla e si ama Dio, ciò costituisce l’eterna operazione ed occupazione di questa solitudine divina; poi c’è la continua permanenza in questa solitudine: infatti, tutto ciò che Dio opera fuori di ciò, lo fa senza uscire da se stesso e senza interrompere mai quella operazione che gli è propria e che è solitaria.

Dio anche nella sua essenza, è anche solo nelle sue operazioni, ci governa e ci da soccorso. Queste occupazioni solitarie di Dio, per Egli naturali, ci insegnano quali devono essere le nostre occupazioni in solitudine: conoscere e volere rettamente, cioè, intendere ed amare con cuore puro: Dio ha anche la assoluta necessità di rimanere costantemente nella sua solitudine, perchè Egli è immutabile, e pertanto non puo che essere un solitario, sempre assorto nella contemplazione.

Nella solitudine della Essenza Divina è possibile ottenere la ragione fondamentale per cui l’uomo ha bisogno della pratica della solitudine. Non esito a vedere in questo bisogno una caratteristica della immagine e somiglianza divina che onora l’uomo. Per essa, infatti, l’uomo è incoraggiato a raccogliersi in sé stesso e produrre, in solitudine, frutti che in qualche modo riflettono quelli che Dio produce nella sua solitudine.

Dom Innocent Le Masson “Disciplina. lib.I,c.IV, p.13”

Dionigi il certosino: La contemplazione della sovressenziale e gloriosa Trinità

Dionigi il certosino: La contemplazione della sovressenziale e gloriosa Trinità

Dal Trattato

Elogio della vita solitaria

La contemplazione della sovressenziale e gloriosa Trinità

Il Padre eterno e il suo Figlio Unigenito si guardano l’un l’altro eternamente e si comprendono in pienezza nella carità con una compiacenza totale e una gioia senza fine per intensità e perfezione. Questo loro contemplarsi, amarsi e comprendersi reciprocamente, in una eternità senza mutamenti, è in essi fonte d’una specie di fervore comune, di amore veemente, fervido e singolare oltre ogni dire: amore che sussiste in sé, comune volontà del Padre e del Figlio, perfettamente uno, sicché quest’amore procede immediatamente da entrambi.

Quest’amore non è chiamato Figlio, ma Spirito Santo, benché sia consustanziale al Padre e al Figlio. Emana ed esce dai due non come una semplice proprietà comune o come reciproca somiglianza, ma come impulso d’amore, come tendenza dell’uno verso l’altro. Egli è l’amore del Padre spirato nel Figlio e viceversa. Giustamente, perciò, è chiamato “amore”, “soffio”, “vincolo”, “unione”, “pace”, “bacio”, “soavità” e “abbraccio” del Padre e del Figlio.

In questa Trinità augusta e beata ciascuna delle divine Persone ama ad un tempo se stessa e le altre due di un amore la cui dolcezza, fervore e intensità superano ogni possibile misura. E poiché ogni Persona contempla le altre due e ne gode pienamente, il loro vicendevole amore è fonte

di infinito diletto. In breve, ogni Persona increata si guarda e guarda le altre due con una letizia infinita, ne gode con somma dolcezza e ama con fuoco inestinguibile. Ecco la vita, la beatitudine e la gloria dell’augusta Trinità. Non è possibile immaginare una realtà più soave, più quieta, più felice di quest’amore intratrinitario, di questo reciproco amplesso dei Tre, della loro gioia personale e comune ad un tempo.

Contempliamo queste realtà indicibili con dolce sobrietà; rallegriamocene con semplicità piena d’amore. Cerchiamo di abbandonare totalmente noi stessi per essere potentemente elevati dall’amore, trasformàti e stabiliti nell’abisso di luce e di verità eterne. Là non presteremo più attenzione alla nostra persona o ai nostri atti; non ricorderemo più niente di quanto

è creato. Là noi saremo una cosa sola con il Signore.

 

Felice in solitudine

Felice in solitudine

Felice in solitudine

Il testo che sottopongo alla vostra attenzione, è stato scritto da “un certosino”, che apre il suo animo esternandoci la sua gioia interiore, che pare non avere limiti. Semplicemente meraviglioso!!!

Felice in solitudine

Senza il figlio che tanto desideravo;

senza baci di una donna per compagna;

alle prese ogni giorno con l’austero

Così la solitudine mi ha inchiodato.

E Dio mi rende felice in altro modo.

Dentro pareti di rigorosa clausura

il cielo e la terra mie frontiere,

nella routine monastica e grave,

solo con l’avventura di fede.

E Dio mi rende felice in altro modo.

Come una nube che vola solitaria,

bella parabola del grano,

così vivo nella mia cella senza testimone,

nessun altro divertimento che la mia preghiera.

E Dio mi rende felice, e io lo benedico.

Pulso con il mio corpo consacrato

come pietra scolpita alla cava;

in attesa dell’Eterna Primavera

ansimando così tanto come sognavo.

E Dio mi rende felice in altro modo.

Domo il cuore con la castità,

l’umanità senza alcuna difficoltà;

in silenzio nella mia cella, in attesa

senza nulla che ammorbidisca la mia solitudine.

E Dio mi rende felice, eccome!!!

Un certosino

Quando sono da solo sono una folla

Quando sono da solo sono una folla

solitudine nella cella Photo by Fernando Moleres

Il titolo di quest’articolo, è un asserzione di Guigo II che introduce il testo scritto dal nono priore della Grande Chartreuse (1173- 1180) il quale rinunciando al generalato dell’ordine per attendere alla vita contemplativa, lasciò diverse opere ascetiche. Guigo morì il 6 aprile del 1193 con fama di santità e fu definito  l’angelico. E’ un testo scritto molti secoli fa, ma con un valore eterno per gli uomini che sono alla ricerca di Dio.

Sventurato il solitario che non ti ha conosciuto come

solo compagno! Quanti uomini sono tra la folla e si

trovano soli perché non sono con te! Possa io, stando con te,

non essere mai solo. La terra della mia anima taccia in

tua presenza. Signore, perché intenda ciò che dice in me il

Signore mio Dio, poiché il mormorio delle tue parole non

può essere inteso che in un profondo silenzio.

L’intenderle eleva il solitario che sta silenzioso al di

sopra di se stesso, perché chi si umilia sarà innalzato e

colui che rimarrà seduto solitario e avrà conservato il

silenzio sarà elevato al di sopra di se stesso. Dove? Si

tratta di un luogo? No, ma dell’amore. E questo amore,

come si sorpassa da se stesso? Per il fatto che non guarda

verso di sé. O, più precisamente, esso medita e ama ciò

che è al di sopra di lui, il supremo Bene, il suo Dio;

vedendolo e amandolo, vede e ama se stesso in un modo

migliore.

(Guigo II, certosino)