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Testimonianza da Portacoeli

la certosa di Portacoeli

Cari amici, è ormai trascorso un anno da quando un giovane spagnolo di nome Kevin Perez ha fatto il suo ingresso nella certosa spagnola di Portacoeli per abbracciare la vita monastica certosina. Tra l’incredulità dei giovani d’oggi, un giovane del XXI secolo abbandona tutto alla ricerca di Dio tra le mura di una certosa.

Voglio offrirvi un video, in lingua spagnola, che da qualche settimana è presente in rete, nel quale il giovane ci spiega le motivazioni della sua vocazione. Ho tradotto per voi il testo, nel quale egli ci parla di lui e della vita claustrale che lo attendeva. Un gradevole appello ai giovani di quest’epoca in cerca di una via che conduca alla felicità.

Kevin Pérez, un giovane spagnolo, ha partecipato ad alcuni episodi di Catholic Stuff. Nel suo cammino di conversione a Cristo si è unito alle Serve del Focolare della Madre, ha studiato Chimica e Biochimica ed è stato un buon calciatore federato, che ha lasciato quando stava per diventare professionista, quando ha poi sentito la chiamata di Dio al sacerdozio. È entrato in Certosa il 25 marzo 2022, solennità dell’Annunciazione, dopo un intenso processo di discernimento che dettaglia nella sua testimonianza nel video di Catholic Stuff.

Kevin Pérez: «Ho deciso di lasciare l’università, il calcio quando stavo per diventare un professionista e tutto il resto, come risposta all’amore di Dio che mi ha chiamato a essere un prete certosino»

«E poiché l’amore di Dio è tanto grande, anche la mia risposta deve essere la più grande possibile e sapevo che la mia dedizione doveva essere totale e quindi nella vita monastica, nella quale si dona assolutamente tutto. Dopo averci pregato, meditato e fatto varie esperienze in diversi monasteri, ho scoperto che Dio mi chiama alla Certosa, per essere un monaco certosino ordinato sacerdote per sua grazia. Il monaco certosino è un uomo che sacrifica la sua vita per la gloria di Dio e per la salvezza della sua anima e quella degli altri e, in ultima analisi, per il bene della Chiesa»


“Sono cresciuto in una famiglia cattolica in cui è stata mantenuta la pratica della fede, in particolare la preghiera, i sacramenti e la partecipazione alla vita della parrocchia. A 14 o 15 anni Dio mette nel mio cuore un certo desiderio di vita consacrata, di vita religiosa. Da quel momento non lo tengo più a mente nelle mie preghiere ed è una cosa che va piano piano, crescendo man mano che maturo, sia umanamente che spiritualmente” spiega Kevin Pérez.
All’età di 18 anni Kevin conobbe la Comunità delle Serve del Focolare della Madre che si trovavano in Navarra, dove viveva. Quell’estate fu invitato a un pellegrinaggio in Irlanda. “E sono stato felicissimo di andarci poiché ero desideroso soprattutto di sperimentare cosa fosse la vita religiosa. Poi sono andato alla casa del noviziato dei Servi. Attraverso di loro approfondisco il mio amore per la Beata Vergine, che è nostra Madre ed è mia Madre. Cresco anche nell’amore e nella devozione all’adorazione dell’Eucaristia. Insomma, condurre una vita di fede cattolica coerente.
Stavo finendo il liceo e ho iniziato a studiare una doppia laurea in chimica e biochimica all’Università di Navarra. Giocava anche a calcio in una squadra federata e proprio quell’anno avrebbe promosso alla categoria professionisti. Quando stavo per compiere 19 anni, nell’estate del 2015, in pellegrinaggio con le Serve del Focolare della Madre, ho scoperto la mia vocazione.
Con la voglia di darmi per vinta, ho deciso di lasciare sia l’università, il calcio e le cose che mi legavano un po’ al mondo, in modo che appena avessi scorto il luogo dove Dio mi chiamava, potessi entrare. Nel pellegrinaggio ricevo due Grazie specifiche e alla Santa Messa mi fanno vedere che tutte queste grazie che ho ricevuto negli anni mi mostrano il grande amore che Dio ha per me. E come naturale risposta a quell’amore che Dio ha avuto per me, mi ha e mi avrà, ho dato la mia vita a Lui.
“E io rinuncio alla mia vita perché l’amore di Dio è così grande, così infinito, l’amore che Dio ha avuto per me. Quello è stato il momento chiave in cui ho capito che dovevo dare la mia vita a Dio. E poiché l’amore di Dio è così grande, anche la mia risposta deve essere la più grande possibile e sapevo che la mia dedizione doveva essere totale e quindi nella vita monastica, in cui si dona assolutamente tutto.
Dopo averci pregato, meditato e fatto varie esperienze in diversi monasteri, ho scoperto che Dio mi chiama alla Certosa, per essere un monaco certosino ordinato sacerdote per sua grazia. Il monaco certosino è un uomo che sacrifica la sua vita per la gloria di Dio e per la salvezza della sua anima e quella degli altri e, in ultima analisi, per il bene della Chiesa. E questo nel silenzio e nella solitudine che il monastero offre nell’ambiente claustrale, precisamente la cella. Che come dicono molti autori certosini, cercare di vivere di Dio.
Allontanare assolutamente tutto, vivere senza la vicinanza di persone, affetti, pensieri, per dedicarmi completamente e continuamente alla ricerca di Dio, della perfezione, della sua volontà, della gloria di Dio. E questo in modo mistico, misterioso, che ci ritroveremo in paradiso se Dio vuole perché riguarda il resto della Chiesa”.

mon Portacoeli
“Ai giovani che sono nel momento del discernimento e delle decisioni importanti, direi che ciò a cui veramente Dio chiama tutti noi è la santità, è dargli Gloria, è fare la sua volontà. Il modo migliore per aiutare se stessi è fare la volontà di Dio e per questo sono essenziali la preghiera ei sacramenti, le due fonti di grazia che Dio ci dà attraverso la chiesa. È così che si scopre, poco a poco, qual è la volontà di Dio e la vocazione personale che può essere quella naturale nel matrimonio o soprannaturale nella vita consacrata o nel sacerdozio. Vi chiedo preghiere per la mia fedeltà. Cercherò anche di fare la volontà di Dio e che questo ricada su Grazie per tutti. Sappi che Dio ha un piano su di te per renderti felice”, conclude.

Vi invito dunque a pregare per il cammino intrapreso da questo giovane, affinchè possa essere nuova linfa per il nostro amato Ordine certosino.

san Bruno (José Puchol 1743- 1797)

San Bruno a Portacoeli (José Puchol 1743- 1797)

“Natale alla Grande Chartreuse”

copertina

Cari lettori di Cartusialover, eccoci giunti alla settimana che ci condurrà al Santo Natale ed attendendo la nascita di Nostro Signore voglio proporvi lo stralcio di un libro di cui vi consiglio la lettura. Si tratta di un libro pubblicato per la prima volta nel lontano1955 dal titolo “Au désert de Chartreuse: La vie solitaire des fils de saint Bruno“. Nel 1954, un giornalista francese Robert Serrou ed il suo amico fotografo Pierre Vals, ottennero per la prima volta in assoluto l’autorizzazione ad entrare nel nella Grande Chartreuse e potersi avvicinare alla severa vita monastica certosina.

Va detto che Robert Serrou fu il primo giornalista, insieme al suo collega Pierre Vals, ad entrare negli appartamenti privati di Papa Pio XII in Vaticano per un servizio giornalistico, già nel 1952.

Gli autori del libro, ben 51 anni prima di Philip Gröning, autore del “Il Grande Silenzio” (2005), hanno avuto il privilegio assoluto di vivere tra le mura della certosa e di condividere le esperienze di vita claustrale. Il risultato di questo “soggiorno” è un prezioso resoconto narrativo corroborato da eccezionali fotografie che rivelarono per la prima volta una esistenza volta al nascondimento e fatta di preghiera, lavoro e meditazione per ricercare Dio.

Dalle prime edizioni, tante ne sono state fatte, riorganizzando il materiale e modernizzandolo in una nuova edizione questa testimonianza unica.

Ora vi proporrò il link dove poter acquistare online il libro, ottima idea regalo per Natale per parenti, amici, e perchè no per noi stessi!

copertina

Fin qui la premessa introduttiva, ma voglio offrirvi per ingolosirvi alla lettura due estratti dal V° capitolo riguardante appunto il Natale.

“Natale alla Grande Chartreuse”

Stasera è la vigilia di Natale. Dalla mia casa parigina penso alla Grande Chartreuse, che sarà innevata.
Le gole del Guiers-mort hanno cambiato aspetto. Le rocce si sono avvolte nella loro grande coltre bianca, i faggi piegano i rami troppo carichi di neve in gesto di adorazione, e gli abeti, con i rami quasi attaccati al tronco e ricoperti di brina, sembrano grandi ceri preparati per la festa. L’acqua gocciola dalle rocce in colonne lattiginose, dalla volta dei cunicoli scende in stalattiti cristalline. Cinquanta metri più in basso, l’acqua del torrente è trasparente. Non molto fitto, assume la tinta del canale roccioso attraverso il quale scorre, oppure è verde, più o meno scuro, a seconda della profondità. I viaggiatori hanno occasione di ammirarlo. L’autobus Saint-Pierre effettua frequenti fermate. La neve scivola lungo le fessure delle rocce. Scende in una nuvola di polvere bianca e forma un grande mucchio sulla strada. Devi maneggiare la pala per farti strada, o aspettare l’aiuto dello spazzaneve che pattuglia i dintorni. Nel “Deserto” di Chartreuse tutto tace: il silenzio misterioso delle montagne innevate e il silenzio profondo dei Vespri solenni.
In spirito, mentre i miei figli dormono, frequento l’Ufficio dei monaci della Grande Certosa. Sono le dieci. Si sono appena alzati e stanno recitando il “Beato Ufficio” nell’oratorio della loro cella. Mezz’ora dopo i Certosini. vanno in chiesa un’ora prima rispetto alle festività più solenni e circa due ore prima rispetto ai giorni ordinari. La vigilia di Natale è la lunga notte di speranza. Come lei, il giorno dopo, più lungo del solito, sarà trascorso esclusivamente in preghiera. Il giorno di Natale non c’è pausa, non importa quanto piccola. Si lascia per il giorno successivo.
In questa lunga notte, così diversa dalle altre, i certosini trovano la risposta alla loro attesa, il centuplo che, da questa terra, è il premio della rinuncia per amore. Non ricordano affatto i loro Natali d’infanzia. Non invidiano minimamente il nostro Natale di padri e madri di famiglia, inondati dalla gioia pura e chiara dei nostri figli. Ricordi il tuo Natale in famiglia, in cui canti devoti precedevano la Messa di mezzanotte, in cui tutti si comunicavano? I certosini non cercano la gioia che dona il Signore, ma il Signore che dona la gioia.

antiphonario
Nel coro, i grandi antifonari sono aperti dal paggio della festa. Dom Odon, il sacrestano, ne aprì uno durante la mia visita alla chiesa. Ho potuto leggere le prime parole, il testo dell’Invitatorio: Christus natus est nobis, venite adoremus (Cristo è nato per noi; vieni, adoriamolo). Il cantore della settimana la canta in tono acuto, e poi, quando il canto comunitario si interrompe, prosegue con il Salmo 94, in cui ogni versetto si alterna al ritornello, e le cui prime parole sono un’esplosione di gioia, come un bottone che diventa fiore: «Vieni, rallegriamoci…»
Il grido risuona per tutte le vie del cristianesimo: “Venite, rallegriamoci, il Salvatore è nato per noi – venite e adoriamolo“. E le brave persone, cristiane dal cuore semplice, tenendo per mano i loro piccoli, con gli occhi ancora corrucciati dal sonno, si dirigono verso la chiesa lungo i viali impolverati di neve, sotto le stelle, ricordando che un giorno uno di loro era spinto da parte dalla Mano divina per guidare i Magi all’umile presepe di Betlemme.
Venite, rallegriamoci“, notti della vigilia di Natale di ogni tipo: una notte come tante altre da cui Dio è assente. Senza dubbio pensano, nella loro solenne contemplazione, a quelle ore benedette fra tutti, sperperate in questa notte da tanti uomini.

A domani, per un’altro estratto!

Un’incontro con Dio: la certosa

copertitolo

Cari amici, il titolo di quest’articolo è il titolo di un un raro video dei primi anni novanta, con una qualità discreta rispetto ad oggi, ma testimonianza inedita e preziosa. Esso fu realizzato alla certosa di Serra San Bruno ed oggi è stato riversato in sistema digitale allo scopo di salvarlo dall’oblio e pubblicato su youtube, ciò lodevolmente senza nessun scopo di lucro.

Potremmo godere, di favolose riprese aeree dell’intera superficie della certosa calabrese e degli incantevoli luoghi ove sorge Santa Maria del Bosco con il vicino Dormitorio di San Bruno e del suggestivo laghetto. La perla assoluta di questo documento video, secondo il mio modesto parere, è rappresentato dall’audio del discorso fatto da Papa Giovanni Paolo II alla popolazione serrese in occasione della sua visita in certosa, avvenuta il 5 ottobre del 1984. Scorgeremo anche immagini inedite di quella visita.

Potremo ammirare la voce del Padre Priore Dom Gabriele Lorenzi, intento ad accogliere un novizio, scorgeremo inoltre nelle varie riprese alcuni certosini di quel periodo, che nel corso degli anni vi ho fatto conoscere da questo blog, come i compianti Padre Christian e Padre Elia.

A seguire vedremo riprese dei vari ambienti monastici, alcune davvero inedite!

Si prosegue con la giornata tipo di un monaco tra silenzio, solitudine, preghiera e meditazione. Dalla voce di un monaco, un ex profugo vietnamita ascolteremo una profonda riflessione sul senso della vita claustrale certosina una rarità unica!

Saremo inoltre allietati da una sublime esecuzione di una emozionante Salve Regina.

Nel video che vedrete, sono state inserite anche inedite immagini della visita in certosa dell’ arcivescovo brasiliano Dom Helder Camara, avvenuta il 25 settembre del 1990. Forse vi ho anticipato troppo, ora non resta che goderci questa vera chicca che viene dal passato, senza dimenticare di ringraziare chi all’epoca realizzò il video e chi ne ha curato la conversione digitale e la diffusione.

Buona visione

Testimonianza da Reillanne

monaca certosina cartoon

Molte sono le testimonianze di esperienze fatte in certosa, che mi giungono e che io pubblico al fine di divulgarle a tutti i lettori di Cartusialover, consapevole di farne cosa gradita. Ecco per voi amici una inedita testimonianza, di una aspirante monaca certosina. Ovviamente per rispettare la sua volontà le sue dichiarazioni resteranno anonime, posso solo aggiungervi che trattasi di una donna proveniente dagli Stati Uniti.

statbn

Recentemente sono stata a Reillanne per quasi tre mesi, per un ritiro di discernimento vocazionale. Il ritiro di discernimento di solito non è così lungo, ma mi hanno invitato per un tempo più lungo, poiché sono stata in noviziato in altre due comunità e avrei bisogno di tempo per adattarmi a un carisma diverso e anche perché venivo da un altro continente e non volevo essere in grado di venire per più ritiri più brevi. Venendo così a lungo, ho anche potuto vivere la vita di una suora di clausura per circa un mese e la vita di una suora conversa per oltre un mese. Ecco alcune riflessioni della mia esperienza.

certosa Reillanne

La partenza

“Perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla” (Dt 8:7-9a). Questo versetto faceva parte della lettura della Messa nel mio ultimo giorno intero a Reillanne, e penso che si ricolleghi alla mia esperienza. Ho contattato per la prima volta le certosine a metà agosto 2021. Quando mi hanno invitato a fare una visita, ho deciso che dovevo andare in fretta, nel caso in cui il confine si chiudesse di nuovo a causa della pandemia. Però penso che lo Spirito Santo abbia usato la pandemia per portarmi lì, perché avevo così tanta trepidazione prima di partire che forse me ne sarei convinta, se ci avessi pensato più a lungo. Avevo così paura delle pratiche ascetiche che quando sono arrivata a Parigi, mi sono fermata alla Basilica del Sacre Coeur e ho detto: “Signore, sono venuta in Francia per soffrire per te“. Io, come immagino molti altri, immaginavo che ci sarebbe molta sofferenza fisica dall’ascesi.

Le impressioni delle pratiche della vita ascetica…

Certamente la penitenza fa parte della vita certosina, ma quelle cose vengono introdotte gradualmente, e le cose che più temevo non erano realtà. Ad esempio, avevo così paura del freddo che la maggior parte dello spazio nella mia valigia era occupato da calzini di lana ed indumenti intimi lunghi e termici per tenermi al caldo, soprattutto di notte. La realtà, però, era che le suore, nella loro carità, erano così preoccupate per il mio freddo, che mi hanno messo così tante coperte sul letto che mi sono svegliata sentendomi accaldata, anche senza usare tutte le coperte! Certo, c’erano volte in cui avevo freddo, se non ero avvolta correttamente o mi trovavo in una zona senza calore, ma il Signore mi aveva preparato il corpo e l’anima anche per quello. (A causa della pandemia, la mia parrocchia ha celebrato la messa all’aperto l’anno scorso, anche quando era intorno ai -15°C.) Il freddo certosino è molto più caldo di quello. Avevo anche paura di avere sempre fame. La realtà era che le sorelle non volevano che avessi fame; Avevo troppo da mangiare e ho dovuto chiederle più volte di non darmi così tanto. È davvero una terra dove scorre latte e miele e non mi mancava davvero nulla. Nel corso degli anni, le monache hanno imparato che i loro corpi non sono costruiti per le stesse pratiche penitenziali dei monaci. Ad esempio, molto presto, le suore hanno scoperto che avevano bisogno di fare un po’ di colazione. A Reillanne mangiano pane e una bevanda calda a colazione. Almeno durante il noviziato le monache hanno anche più di pane e acqua il venerdì. Le suore sono rimaste senza latte, yogurt e formaggio per circa una settimana prima del Natale. Penso che sia simile prima della Pasqua. Però al Padre Vicario (il monaco certosino che vi è cappellano), non è stato permesso di avere quelle cose per tutto l’Avvento. Avevo anche visto le immagini dei monaci con le stufe a legna nelle loro celle. Ero preoccupata per questo perché sono stata in un eremo un’anno e mezzo fa, quando c’erano circa -15°C, con una stufa a legna, e l’ho trovato un po’ travolgente e non ero sicura di avere la forza per tagliare la legna. Alla fine, non conosco le altre località delle suore, ma a Reillanne hanno i radiatori elettrici. La maestra delle novizie mi ha detto che mentre il loro digiuno è più leggero di quello dei monaci, la loro pratica ascetica primaria è la solitudine.

Altre impressioni spirituali…

Ho menzionato prima le cose pratiche perché quelle erano le cose che mi preoccupavano di più prima di partire. Tuttavia la vocazione è certamente molto più e molto più profonda di queste cose: sono stata davvero toccata da alcune cose che Padre Andre Ravier, SJ, ha scritto della vita certosina nel suo libro “L’Approche de Dieu par le Silence de Solitude“, che si traduce come “L’approccio di Dio attraverso il silenzio della solitudine”. Padre Ravier dice che la vocazione certosina trascende la Certosa. È una chiamata all’amore puro in una vita tutta dedicata ad amare Cristo, a riprodurre la vita interiore di Cristo e a prolungare la preghiera di Cristo, la sua adorazione, la sua offerta filiale, il suo amore per il Padre, nel segreto della solitudine ( pag 48-49, 51). Sebbene gran parte della vocazione certosina sia vissuta in solitudine, non è solo per la salvezza degli stessi certosini. Invece, Padre Ravier ha citato Papa Pio XI il quale ha affermato che si tratta di un apostolato nascosto e silenzioso (p. 52) e che i certosini contribuiscono alla salvezza della Chiesa in modo tale che senza le loro preghiere e penitenze, gli operatori nel campo dell’evangelizzazione darebbero poco frutto ( pag. 47). Perciò ho appreso che la vocazione certosina è anche quella di essere missionaria, così come santa Teresa di Lisieux, lei stessa patrona dei missionari, è stata chiamata ad essere missionaria.

La conclusione…

Nel complesso, ho davvero trovato la mia esperienza a Reillanne un momento gioioso per incontrare il Signore. Lui è così buono e ha chiarito esperienze che non avevo capito nel corso degli anni e ha mostrato come mi ha condotto a questo punto. Come nella vita spirituale in generale, ci sono momenti più facili e altri più difficili. Tuttavia, coloro che mi hanno aiutato con la formazione a Reillanne sono stati molto disponibili e attenti nell’aiutare nei momenti più difficili. Non vedo l’ora di tornarci presto, ma questa volta come postulante, piuttosto che solo per ritiro.

Grazie

a questa amica che ha voluto concedermi questa prezioso testo nutro la certezza che essa rappresenti un valido contributo per tutti coloro che sono attratti dalla ricerca di Dio all’interno di una certosa.

Possa san Bruno illuminare il prosieguo del cammino di questa giovane aspirante monaca certosina.

Ed ora per voi…un breve estratto dal film “Una vita in certosa

 

Un seme argentino: Dom Jorge Falasco (seconda parte)

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Prosegue, nell’articolo odierno, la testimonianza di Dom Jorge Falasco.

Ecco per voi la seconda parte dell’estratto di un suo testo.

statbn

Verso la metà di settembre del 1977 decisi di ritirarmi in un luogo solitario e di trascorrere il resto della mia vita in compagnia della Madonna, dedicandomi solo alla preghiera. Avevo appena preso questa decisione quando, provvidenzialmente, seppi dell’esistenza dei Certosini. Arrivata l’ora degli esami, vedo un compagno di classe che invece di studiare scriveva una lettera. Gli chiesi a chi e perché scriveva durante gli esami. “Sto scrivendo ad un amico sacerdote che si trovava nella Certosa dell‘Aula Dei, a Saragozza, in Spagna”, ha risposto. Non avevo idea di cosa fosse un certosino e gli chiesi una spiegazione. “I Certosini sono monaci solitari che trascorrono la loro vita dedicandosi a tempo pieno alla preghiera. Sono monaci eremiti che vivono in comunità, ma ognuno nella sua cella”. Ecco! Questa è la mia vita!, ho risposto. Non avevo mai sentito parlare dei certosini. Nella biblioteca del Seminario ho trovato il libro “Estampas Cartujanas”, dove ho letto tutto ciò che era necessario sapere per prendere una decisione ferma e scrivere alla Certosa dell’Aula Dei.
La mia esposizione fu chiara e concisa: ho bisogno di un luogo adatto per la preghiera, tutto il resto che posso accettare, ma in funzione ea servizio della preghiera. Chiesi di essere ammesso come fratello (non volevo continuare a studiare, né mi sentivo particolarmente chiamato al sacerdozio). Mi hanno ammesso, ma a condizione che avessi un biglietto di andata e ritorno (per ogni evenienza). Anche il maestro dei novizi che ha risposto alla mia lettera era un medico. Ero felicissimo, pieno di gioia. Aveva trovato il tesoro nascosto, una perla di grande valore. La mia partenza dal Seminario è stata estremamente dolorosa. La cosa più dura e difficile è stato l’addio dell’Arcivescovo, perché per nulla al mondo avrebbe voluto lasciarmi andare: “Ti dico ‘non senza ispirazione divina’: resta finché non sarai ordinato diacono, poi vedrai”. Monsignore deciso. Ma non bastava: avevo già deciso e avevo l’appoggio del mio direttore spirituale. Il mio cuore è rimasto in Seminario fino ad oggi. La mia gratitudine non smetterà mai di crescere. L’11 ottobre 1977, alle cinque del pomeriggio, nell’Aerolineas Jumbo, lasciai la mia terra, la mia gente e le mie cose per iniziare una nuova vita, per il momento sconosciuta. Sono arrivato a Madrid il 12 ottobre all’alba. Senza perdere un minuto ho preso il treno per Saragozza. Già a Saragozza tutto era festa, luce e danza: l’intera città celebrava la sua Santa Patrona, la Virgen del Pilar, che è anche la Patrona di Hispanidad. Appena arrivato, il padre Priore mi ha detto, senza dubbio ispirato: “Non farai bene ad essere un fratello. È meglio che tu stia nel chiostro e ti orienti verso il sacerdozio, nella cella avrai tutto il giorno per pregare”. Questo cambiamento nei miei piani mi ha ferito, ma ho accettato con piacere e senza dire una parola. Ho iniziato la mia vita nel deserto. Dicono che sia molto dura, ma con la Vergine come compagna tutto è cucito e cantato. Solo che i certosini non mangiano mai carne, e mi ci è voluto molto tempo per abituarmi al pesce. Non fu così difficile alzarmi a mezzanotte per il mattutino perché ero abituato ai turni in ospedale. Presi l’abito monastico il 2 febbraio del 1978 (giorno di Presentazione del Signore), feci la professione il 2 febbraio del 1980 e fui ordinato sacerdote il 19 maggio del 1985.

Ho collaborato con il mio maestro dei novizi in tutto ciò che era necessario, soprattutto tutto ciò che riguardava lo studio e l’acquisizione di libri di filosofia. Il beneficio di essere passato attraverso il Seminario di Paraná e di aver acquisito le basi tomistiche e metafisiche di tutto il mio sistema dottrinale è incalcolabile. Non ho fatto altro che approfondire e sviluppare ciò che avevo imparato insieme al mio amato professore di Metafisica in soli sette mesi, dal 1985.
Sono stato in Spagna per 20 lunghi anni, che sembravano solo pochi giorni. Ho già fatto la mia vita spirituale, monastica e sacerdotale a Saragozza, vicino alla Virgen del Pilar. Ma in risposta ad un espresso desiderio del Papa e poiché c’erano diversi argentini nell’Ordine, e anche su richiesta della Conferenza Episcopale Argentina, un Capitolo Generale dell’Ordine decise di fondare una nuova certosa in Argentina. E mi hanno chiesto di entrare a far parte del gruppo dei fondatori (eravamo 2 padri e 2 fratelli). E così sono tornato nel mio paese l’8 luglio 1998, pronto a lavorare per la fondazione della Certosa “San José” (a Deán Funes, Córdoba) in tutto ciò che sarebbe stato necessario.

(Estratto da “Prehistoria de la Cartuja San José”, scritto da P. Jorge Falasco)

Un semplice esperienza

cartoon certosino

Lo scorso 27 ottobre, cari amici, ho pubblicato un’articolo riguardante una testimonianza di un giovane, il quale aveva trascorso un periodo nella certosa argentina di Dean Funes. Questo articolo ha riscontrato l’interesse di tanti, tra questi un’altro lettore del blog, il quale mi ha inviato la sua personale esperienza vissuta tra le mura certosine. Una esperienza breve, ma intensa, vi lascio al suo racconto.

La mia esperienza è molto semplice: mi sono trovato in Certosa perché avevo avuto il permesso di visitare un mio amico che stava facendo il cammino per diventare padre. Quando arrivai in Certosa fui accolto dal Priore e dagli altri fratelli e già avvertii qualcosa di particolare. Il meglio (per quanto mi riguarda) avvenne quando mi recai in chiesa per il Mattutino dove mi fu assegnato un posto vicino ai fratelli mentre io mi ero messo distante per non dare fastidio. Durante il lungo tempo del mattutino percepii la presenza tangibile del Divino che culminò durante la messa quando riuniti intorno all’altare fu spezzata l’eucarestia. Durante i quattro giorni di permanenza il momento più bello della giornata (passata rispettando la regola dell’ordine visto che mi era stata data una stanza dove vivevano i fratelli) era recarsi al mattutino dove si veniva avvolti dal canto gregoriano e dalla presenza parlante dei padri e fratelli pur nel silenzio, il resto della giornata passava leggendo un volume che conteneva la regola dei certosini e degli scritti di Guido che spiegavano l’essenza della vita certosina. Questa in sintesi la mia esperienza presso la Certosa di Serra San Bruno. Negli anni mi è capitato spesso di pensare che quell’incontro, che, non è stato casuale ed ho ripensato alle parole di San Bruno che diceva “Che incontrare una Certosa non è un caso ma una chiamata” (mi auguro di non aver fatto errori nella citazione). Spero di poter esser stato utile con quanto ho scritto. Grazie e D.V. B

Io aggiungo, grazie a te caro amico che con queste tue sensazioni condivise sarai di aiuto a quanti vorranno approcciarsi alla clausura certosina.

 

Una testimonianza dall’Argentina

Dean Funes 1

Voglio ringraziare un amico cartusiafollower, che dall’Argentina ha voluto inviarmi un testo sulla sua esperienza fatta in certosa, è mio piacere proporre il suo scritto a tutti voi.

Cari amici amanti della certosa,

tra quelli di noi che ammirano l’Ordine certosino, molti di noi hanno avuto l’onore e il privilegio di aver vissuto per alcuni giorni in uno dei suoi monasteri. Dopo aver fatto diversi ritiri nella Cartuja San José, in Argentina, scrivo questa lettera per poter condividere questo dono con coloro che non hanno potuto stare in una Cartuja. Ci sono tre citazioni bibliche che mi vengono in mente quando penso alla mia esperienza. La  prima è Lc 4,1-2: «Gesù, pieno di Spirito Santo, tornò dal Giordano e per quaranta giorni fu condotto dallo Spirito nel deserto (…)». Come è noto, salvo poche eccezioni, si può andare a fare un ritiro alla Cartuja solo se si aspira ad abbracciare quel modo di vivere. Per 16 anni sono stato un’aspirante “cronico”, per vari motivi a volte sentivo di avere quella vocazione ed a volte no. E in quei 16 anni ho fatto diversi ritiri, 8 in totale, di circa 5 giorni ciascuno. Il che assomma ad un totale di circa 40 giorni. Forse ne erano di più, ma mi piace pensare che fossero 40; Mi aiuta a capire che non è stato un caso che ci sono andato, non è stato un errore nella mia storia personale. Ci sono andato per la prima volta quando avevo 17 anni, gennaio 2000, per una visita che è durata poche ore. Sapevo che dovevano passare almeno 4 anni per entrare per due motivi: i minori di 21 anni non sono accettati e ci sono voluti almeno 4 anni prima che il monastero fosse terminato. I 4 monaci fondatori vivevano in una mini-certosa provvisoria (ora si chiama “Casa San Bruno” e ha alcune dipendenze dei frati). Il luogo in cui ora sorge il monastero era a quel tempo solo terra rimossa ed alcune fondamenta. È così che mi sentivo anch’io, come qualcuno in costruzione. In quei 4 anni sono cresciuto con il monastero. Ho fatto 3 ritiri nel 2001, 2002 e 2003. Ma prima che il monastero fosse finito e prima di compiere 21 anni, molti dubbi mi hanno portato a rimandare il mio ingresso a tempo indeterminato. Invitato dal Padre Rettore (non c’era il priore allora) ho visitato nuovamente la Certosa nel 2006 e 2007, ma non come aspirante. Infatti non ho occupato le celle dei monaci, ho soggiornato nella locanda. Sono stati due ritiri molto certosini, ma ho seguito il mio ritmo e il mio programma. E poi ho smesso di andare. Nel 2011 ho attraversato di nuovo la Certosa quando con la mia famiglia siamo andati a vedere il rally di Dakar a Córdoba. Questa volta sono potuto andare con mia madre e due fratelli. Erano scioccati. Uno dei miei fratelli in realtà è ateo e un po’ anticlericale, ma anche oggi, quando si parla della Certosa, dice sempre che “sono qualcosa di diverso”. Anche quella visita mi ha colpito in modo speciale. Stavano per ricevermi, ed io mi sentivo più maturo. Dopo avermi ricevuto, nel gennaio 2013 ho deciso di fare un altro ritiro ed entrare. Sarebbe stato il mio sesto ritiro in Certosa, ma per la prima volta lo avrei fatto nella cella di un monaco, più precisamente nella cella di un padre. In quel ritiro, il maestro dei novizi ed io ci accordammo per una data di ingresso come postulante per luglio di quell’anno, perché avevo dei debiti da pagare. Ma ad aprile un evento doloroso nella mia famiglia e che ha coinvolto la chiesa (di cui preferisco non approfondire) ha fatto sì che la mia presenza all’esterno continuasse ad essere importante. E ancora una volta ho rimandato il mio ingresso. Questo doloroso evento di cui parlavo era un prima e un dopo nella religiosità della mia famiglia. Era una crisi. Ha colpito anche me. Ho avuto una profonda depressione e ho anche iniziato a prendere droghe. E una volta che le nuvole hanno cominciato ad aprirsi dopo la tempesta, qualche anno dopo, ho fatto i miei ultimi due ritiri spirituali nella Certosa, nel 2015 e nel 2016. Ho occupato le celle dei fratelli. E nel 2016 ho visto che quello non era il mio posto, infatti sono partito qualche giorno prima del previsto. O forse è il mio posto, ma personalmente non ero al meglio. Cinque anni fa sono stato in quella terra sacra per l’ultima volta, e credo che non sia mai passato così tanto tempo tra una visita e l’altra da quando ci sono andato per la prima volta. In questi 5 anni il contatto con i monaci è diminuito. Ricordo che nei primi anni ogni volta che li chiamavo al telefono mi rispondevano e potevo parlare con loro. Ora la mia comunicazione con loro è una e-mail ogni tanto con il padre maestro dei novizi, l’unico con cui continuo a essere in contatto. Visite come quelle che ho fatto nel 2006 e nel 2007 sono ormai impensabili. Così come sono molto diverso da quell’adolescente di 17 anni che ero alla mia prima visita, anche la Cartuja San José non è la stessa. Maturò anche, si assestò, e di conseguenza chiuse anche di più il recinto per somigliare all’ideale che aveva San Bruno quando fondò a Chartreuse ed in Calabria. Ecco perché il contatto è diminuito. Stanno pregando. A volte viene in mente l’idea di chiedere un’altra esperienza, ma a questo punto entrare sarebbe più difficile. Ho un lavoro stabile a cui dovrei rinunciare se volessi entrare, e se non funzionassi come certosino dovrei ricominciare da capo in un mondo in cui trovare lavoro è sempre più difficile, soprattutto per qualcuno vicino ai 40 anni. E’ la mia famiglia, che nella mia lontana adolescenza ho visto con occhi così buoni che mi consacro come religioso, in questo momento non lo vedrei lo stesso. Senza contare che la famiglia è cresciuta e ora ho dei nipoti. Ma anche se non fossi entrato, la certosa mi era rimasta impressa. Il che mi porta alla seconda delle 3 citazioni bibliche: “Se ti dimentico, o Gerusalemme…” (Salmo 137). Nessuno che ci sia stato se ne va senza aver imparato qualcosa. Tutti noi che passiamo e partiamo portiamo con noi un po’ di Certosino. Nel mio caso è stato distaccare la mia fede dai segni sensibili. Lì ho capito che Dio c’è ma noi non lo vediamo, ci ascolta anche se non parliamo e parla in silenzio. L’ho scoperto soprattutto nel silenzio della cella. Ho anche un’esperienza liturgica molto ricca con me. La Messa in rito certosino, così semplice e con tanti silenzi, con quell’equilibrato accostamento di latino e volgare, e il Mattutino e le Lodi a mezzanotte erano una vera scuola di preghiera. Non dimenticherò mai la Cartuja. È in me come la Terra Promessa era nel cuore di Mosè. E questo mi porta alla terza citazione biblica, che è Dt 34,4. Sento che a me, come Mosè, Dio mi dice: “Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non ci entrerai”.

un ex aspirante certosino

Un video del 1991

Cattura

Voglio concludere questo mese di agosto con una vera chicca che giunge dal passato. Si tratta di un brevissimo video estratto dal programma televisivo francese “Autrement dit” andato in onda sabato 6 luglio 1991. Risulta essere una gradevole testimonianza della vita quotidiana dei monaci certosini della Grande Chartreuse, con immagini inedite accompagnate da interviste in lingua francese.

“Che tu creda in Dio o no, non importa, ogni persona ha un valore fondamentale di se stessa”.

Buona visione!

La cella per un certosino

lo studio nella cella

lo studio nella cella

Nell’articolo di oggi ecco per voi un testo scritto da un certosino, sul luogo che rappresenta il fulcro della vita monastica certosina. Una descrizione a dir poco deliziosa.

“Fuggirò lontano e abiterò nel deserto” (Sal 54: 8).

Di tutte le ricchezze in certosa, le prime settimane in cella non ti riveleranno molto, forse niente. Bisognerà accontentarsi umilmente di annoiarsi e girare. Il tuo cuore è a pezzi per tutto ciò che ti hai appena lasciato, e sui muri imbiancati non è disegnato nulla, ma solo un Crocifisso e una Vergine. C’è ancora troppo scompiglio nella tua immaginazione e nella tua sensibilità per essere affascinato dall’Invisibile.

Avevi sognato questa casetta che la tua fantasia dipingeva tua sorella dall’autore dell’Imitazione di Cristo. In essa sei … e ti dà i brividi. Vuoi scappare. Devi pazientare. Pregare. Organizza “incontinenti” un ciclo di occupazioni, letture, un piccolo lavoro sulla Bibbia o qualsiasi altro argomento spirituale di tua scelta. A poco a poco scoprirai e assaporerai la mistica della cella. Coloro che l’hanno cantata in termini emotivi che hanno attraversato i secoli non erano novizi, puoi crederci, e proprio come te, hanno dimostrato, subito, la sua austerità.

La cella dell’eremita è una dimora unica nel suo genere. Non è l’ufficio di un ecclesiastico, né la stanza di un gesuita o di un mendicante. L’uomo solo dorme, lavora, mangia e si crogiola nella sua cella.

Ma il suo carattere distintivo è che lei è il suo intero universo.

A parte le tue visite in chiesa, non dovresti guardare fuori. Gli viene dato tutto lì, nella sua minuscola riserva. Tutti i tesori del deserto, del Monte e del Tempio sono talmente legati ad esso che l’eremita che lo abbandona senza motivo di peso controllato dall’obbedienza, li perde per il momento. Fuori non trova niente, non trae vantaggio. L’eremita è sottoposto alla cella per la sussistenza dell’anima.

È un rifugio dai miasmi del mondo; luogo santo in cui il Signore si fa coraggio, tiene segreti colloqui con l’anima che, per suo amore, si raccoglie in essa, dando mano a tutto il resto. È quella “cantina” (Ct 2,4) dove l’Amato presenta la sua amata per inebriarla con la sua presenza e con i suoi doni: abbandonarsi alle futilità sarebbe dissacrarla. Nella cella, Dio dà udienza all’anima solitaria. Giunto ai confini della vita terrena, distaccato dalle contingenze che fanno gemere per Dio tante anime assetate, attaccate come sono alle dure condizioni dell’esistenza, l’eremita inizia la sua eternità nella gioia del Signore. Se sei generoso, vedrai emergere dall’ombra, a poco a poco, quel mondo divino in mezzo al quale hai vissuto senza accorgertene, perché il lampo e il clamore dell’altro gli hanno impedito di manifestarsi. A tua volta, sperimenterai, estasiato, che non sei mai meno solo di quando sei solo.

Un certosino

Riflessioni sulla vocazione

monaca certosina cartoon
Cari amici, voglio condividere con voi questa testimonianza di una amica, della quale come di consueto rispetterò l’anonimato in stile certosino, sulla sua esperienza in certosa. Il titolo di questo articolo è “Riflessioni sulla vocazione”, come da lei richiestomi. Un ringraziamento speciale da parte mia e credo anche da parte di voi tutti.

Reflections on a vocation (in inglese)

1. Come hai fatto a prendere contatti con una certosa femminile?
Ho deciso di entrare in contatto con il Priore della Certosa nel mio Paese, Inghilterra, e gli ho chiesto consigli su come aderire all’Ordine Certosino. È stato molto gentile e mi ha messo in contatto con la Maestra delle novizie di una Certosa in Francia. La comunicazione non è stata difficile perché già parlavo un po’ di francese, ma per approfondimenti e domande più complessi, un monaco di lingua inglese ci visitava dalla Grande Certosa ed una suora di lingua inglese dalla ‘Society of St. Paul”, che era una psicologa esperta, ci visitava anche per comunicare con me.
2. Quale certosa preferivi tra quelle femminili?
Non avevo preferenze perché non conoscevo nessuna delle Certose o delle comunità, anzi non sapevo che ci fossero differenze tra le comunità o le case, mi fidavo solo della Divina Provvidenza e accettavo la direzione che mi era stata data dal Priore della Certosa di Sant’Ugo, che mi aveva incontrato personalmente e scambiava corrispondenza con me.
3. Come hai capito di essere incline allo stile di vita claustrale delle certosine?
Avevo letto tutti i libri della “DLT series” dai certosini: “They Speak by Silences”, “The Prayer of Love and Silence”, ecc. E qualcosa si è mossa profondamente nella mia anima, un’attrazione, un sussurro che diceva “Ti voglio”. Quindi, per testare l’autenticità di questo movimento nella mia anima, ho scritto prima al Priore di Sant’Ugo e poi, dopo averlo incontrato e le sue istruzioni, ho contattato la Maestra di Novizie a Reillanne, in Francia. Mi ha risposto invitandomi a venire a provare la vita per una settimana durante le mie vacanze di Natale (all’epoca ero insegnante in un collegio). Dopo questa visita iniziale sono stata invitata a tornare per una seconda visita durante le vacanze di Pasqua. In questa seconda visita, mi è sembrato più chiaro che Dio voleva che lasciassi tutto e Lo seguissi nel deserto, perché mi è stato chiesto di dimettermi dalla mia posizione in collegio e mi è stato dato una notevole somma di denaro per farlo! Nell’estate di quell’anno avevo venduto la mia casa e quindi ero libera da attaccamenti mondani ed obblighi finanziari per unirmi definitivamente alla comunità, e così ho fatto, nell’agosto 1996.
4. Come hai affrontato l’idea di distaccarti dalla tua famiglia?
Avevo lasciato la casa e la sicurezza della famiglia molti anni prima di unirmi ai certosini a 34 anni, quindi non è stato difficile per me staccarmi da loro o lasciarmi andare. In precedenza, avevo già provato la mia vocazione con le Suore di San Giuseppe di Cluny e con i Cistercensi della Stretta Osservanza, quindi questo era solo un altro passo nel mio cammino di fede e discernimento di ciò che Dio voleva da me.
5. Come hanno reagito i tuoi genitori?
I miei genitori sono stati lieti e tuttavia anche cauti. Avevano avuto precedenti esperienze dei miei “pellegrinaggi”, la mia ricerca di qualcosa di profondo ed avvincente che mi assorbisse e soddisfacesse. In segreto, mio padre era molto “orgoglioso” di pensare che una sua figlia sarebbe diventata certosina, questa non è una piccola cosa, una tale chiamata è un grande dono di Dio, quindi era determinato a pregare per me ed a sostenere il mio viaggio. Ma anche era aperto alla possibilità che la strada fosse dura e che Dio potesse indicarmi un altro cammino. Mia madre era più preoccupata, temeva che io non trovassi una comunità che mi accogliesse, ma che, forse, fossi stata ferita o danneggiata dall’esperienza.
6. Quando è arrivato il giorno della partenza, cosa è successo?
Ho noleggiato un’auto e l’ho caricato con tutti i miei libri ed altri materiali che immaginavo che la comunità potesse usare, ad esempio un computer e una stampante, biancheria da letto, asciugamani, statue e vestiti ecc. Poi ho guidato per più di 1500 Km fino a Reillanne, prendendo un amico lungo la strada, che aveva accettato di riportare la macchina per me. Mi ci sono voluti 4 giorni in totale, quindi ho avuto la possibilità di vedere la campagna e praticare il mio francese, e sintonizzare l’orecchio con l’accento.
7. Giunta in Francia, chi ti ha accolto?
Sono arrivata alla Certosa nel pomeriggio e sono stata subito accolta dalla Maestra di Novizie, che stava ascoltando il suono della macchina. Lei è rimasta un po’ stupita da tutti i libri che avevo portato con me, ma ha preso un piccolo carrello e dopo aver svuotato il bagagliaio della macchina e salutando l’amico accompagnatore, abbiamo portato quello che potevamo e lei mi ha mostrato la cella che dovevo occupare per i successivi 12 mesi.
8. Come ti è apparsa la certosa appena sei entrata?
Sono rimasta sorpresa dalle dimensioni della cella. Nelle mie due precedenti visite ero rimasta nella foresteria e frequentavo i servizi liturgici solo attraverso la cappella pubblica, rimanendo per il resto del tempo nella stanza a me assegnata e non mescolandomi affatto con la comunità, appena visitata dalla Maestra di Novizie ogni giorno per un’ora di conversazione, il resto del tempo lo trascorrevo in silenzio, leggendo e pregando, dormendo e mangiando. La Maestra di Novizie mi ha assicurato che le dimensioni della cella erano necessarie affinché lo spirito crescesse ed espandesse, in totale, la piccola casa ed il giardino occupavano circa. 15×17 metri.
9. Da chi era composta la comunità?
C’erano 16 membri della comunità di cui io ero la più giovane a 34 anni, mentre la più anziana aveva 90 anni. C’era una novizia (tedesca) a quel tempo, una postulante, una signora americana matura che aveva già vissuto come eremita professa per molti anni e durante i 12 mesi in cui ero lì, 1 altra postulante (francese sui 20 anni) che si era unita poi ha lasciato la comunità dopo un mese o due. Durante i 12 mesi in cui sono stata lì è morta la fondatrice della comunità, ho avuto il grande privilegio di sedermi e pregare con lei nelle ore prima che andasse nella sua agonia. La comunità aveva inoltre due sacerdoti e un fratello laico appartenenti all’Ordine.
10. Come ti è sembrata la vita in certosa?
È stata una benedizione! Pensavo di aver trovato il paradiso in terra. Ero così felice. Tutte le preoccupazioni e le cure che si avvolgono intorno alle spalle nella vita nel mondo, sono svanite da me, il mio spirito ha sperimentato una grande libertà e un senso di pace. Durante l’anno, anche la mia anima è entrata nel silenzio interiore, un silenzio in cui cessa la voce interiore e si prende coscienza solo della creazione e della presenza di Dio nella sua creazione.
11. Cosa facevi e cosa non facevi?
Ho svolto la maggior parte del mio lavoro in cella, dal momento che è stato determinato fin dall’inizio che mi sarei addestrata per diventare una suora del coro. Ho dovuto studiare il francese, in modo da poter comunicare meglio con le altre sorelle; Latino, in modo che potessi approfittare profondamente la liturgia; cantando in modo che la mia voce fosse adeguatamente allenata; Ho anche fatto giardinaggio, preparato il legno per la stampa di icone, cucito un abito da lavoro per il fratello monaco che era un membro della comunità, preparato verdure e tradotto un libro per lo psicologo in visita collegato alla comunità. Una volta ho aiutato l’altra postulante a piegare i panni nella lavanderia, ma a parte il lavaggio comune di piatti e pentole che si faceva ogni domenica, lavoravo da sola o nella mia cella o in altre celle vuote della Certosa che necessitavano delle cure di un giardiniere, o pulizie o pittore / stuccatore / decoratore.
12. Quanto era distante la realtà da della vita in certosa da come l’avevi immaginata?
La vita nella Certosa era esattamente come l’avevo immaginata, comprese le prove interne ed esterne. Ogni giorno si svolgeva con un ritmo rilassato e facile, ogni settimana seguiva uno schema prevedibile ed equilibrato, ogni anno era scandito dal cambio delle stagioni e dalle celebrazioni liturgiche. Il mio corpo si è adattato molto rapidamente ai rigori della dieta e al ritmo del sonno, poiché i miei livelli di stress sono diminuiti rapidamente, i miei capelli sono diventati folti e molto lunghi, i miei occhi hanno guadagnato una gioia che brillava da loro, il peso in eccesso è caduto da me. Piccoli incidenti hanno dato origine a storie che mi hanno insegnato lezioni e aperto prospettive nella mia mente. L’uccello che bussa alla finestra durante l’inverno chiedendone un pezzo; il serpente emerso sotto una roccia dove ero seduta 5 minuti prima; l’ultraleggero che girava in cerchio è un pilota che spia la nostra libertà sotto il sole estivo; la mia rimozione di tutte le piantine di fiori scambiandole per erbacce; il mio beato oblio del tempo in cui dovevo essere nella dispensa a lavare i piatti con gli altri.
13. Quanto ti ha spaventato il silenzio?
Il silenzio non mi ha mai spaventato, e il silenzio della cella mi ha attirato verso un silenzio più profondo e sensibile, un ascolto del cuore che mi ha aperto la mente ad altri mondi interiori ed esteriori.
14. E la notte? Quanto dormivi?
Dormivo dalle 20.00 a mezzanotte e poi dalle 3.00 alle 6.00, 7 ore in totale. Il secondo sonno è stato sempre più difficile per me, la mia mente era più sveglia dopo le ore di canto gregoriano, e mi è stato consigliato di prendere una bevanda calda di latte e miele per aiutare il mio riposo dopo essere tornata in cella, il che ha aiutato enormemente.
15. Il bilancio di questi dodici mesi?
Ogni domenica mattina mi univo alle novizie e alle altre postulanti con la Maestra delle Novizie per la condivisione spirituale, una rilettura del Vangelo domenicale e la condivisione dei pensieri che esso provocava; dopo il pranzo della domenica lavavamo, ho anche lavato i piatti della comunità; ogni lunedì pomeriggio le accompagnavo anche nella loro passeggiata / spaziamento settimanale; e partecipavo pienamente al programma liturgico quotidiano e ai pasti della comunità domenicale, alle uscite annuali (sì, ad eccezione delle suore molto fragili e malate, uscivamo tutte insieme in un minivan per un’intera giornata di escursione e picnic) e le ricreazioni trimestrali (un incontro di gioia, giochi e condivisione nella sala ricreativa della comunità tutte insieme, comprese le suore molto anziane). Le uniche cose da cui ero esclusa erano le riunioni capitolari settimanali ed il regolare lavoro quotidiano nelle obbedienze come la cucina, la lavanderia e la foresteria in cui erano impegnate le sorelle converse e donate; inoltre non mi era permesso cantare in coro, ma solo seguire la notazione musicale nei libri dell’ufficio con gli occhi e le orecchie mentre cantavano le suore professe.
16. Come ti è sembrato tornare a casa?
L’anno mi è stato dato come momento per il discernimento di ciò che Dio voleva fare con me. Dopo 11 mesi di beatitudine vivendo come una suora del coro, ma senza cantare, (posso cantare in modo molto bello con gioia quando lo Spirito Santo prende il sopravvento sulla mia voce, ma di solito sono completamente sorda e suona male stonata e quindi non ho fiducia nel cantare), ho provato la vita di una suora donata con la comunità, partecipando al lavoro delle suore converse e donate nelle loro obbedienze, lavorando specificatamente per il cellario nella cucina. Il cambio di orario e di routine mi ha aperto all’enorme sacrificio di rinunciare al silenzio più profondo e alla solitudine della cella, e mi ha fatto riconoscere che il mio orgoglio di non essere una suora del coro era gravemente intaccato dall’opportunità di crescere in umiltà e pratica, essendo la serva di tutte come una sorella donata. Così, dopo un ulteriore mese, 12 mesi in totale, mi è stata data la scelta di tornare nel Regno Unito, accompagnato dalla postulante americana che aveva terminato tre anni di discernimento, e così, seguire il consiglio della mia Maestra di Novizie, che dovevo perseguire un cambiamento di carriera, passando dal mondo dell’educazione alla medicina, per darmi l’opportunità di incontrare qualcuno che potrebbe diventare mio marito; o di continuare altri tre mesi con la comunità e poi vestirmi ed entrare in noviziato, come novizia, con lo scopo di unirmi alla comunità allora fondata in Corea del Sud. Ho scelto di tornare nel Regno Unito.
17. Cosa ti mancava di più?
L’assenza di stress che il mondo ci rapisce in cui ci rientriamo subito, ma che è assenza in una vita ordinata alla gloria di Dio, e una vita vissuta solo per Lui, solo, nell’accogliente sicurezza di una amorevole comunità religiosa
18. In cosa consiste la tua vita adesso?
Ora sono sposata, ho due figli adulti e seri problemi di salute miei da affrontare, quindi la vita è molto diversa, ma è pur sempre un viaggio nel mistero dell’amore che quotidianamente ognuno di noi è invitato ad impegnarsi.
19. Cosa consiglieresti alle giovani donne lettrici di Cartusialover attratte dalla vocazione certosina?
Ascolta il tuo cuore e “Non avere paura”!
La comunità è così adorabile che ti aiuterà ad ascoltare la voce di Dio, a discernere la Sua volontà per te senza alcuna pressione. Sarai ampiamente ricompensata se vai con il cuore aperto a dare tutto e e ricevere molto di più.

Grazie