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Dialogo con San Bruno 8

6 dialogo

Ancora domande del certosino giornalista a San Bruno. Si parla di tentazioni e vi sono diversi riferimenti alla Lettera a Rodolfo il Verde

“Tentazione comune?”

CG – Mi può dire come appare questa tentazione, questo pericolo?

SB – Questa tentazione assume molte forme e presenta una grande varietà di sfumature. Ma la sua essenza è sempre la stessa; mette sempre in gioco la scelta primordiale: l’amore di Dio, da una parte, e l’amore delle creature, dall’altra; la resa totale a Lui, o dispersione per le creature; l’integrità dell’amore per Dio, o un amore condiviso tra molte creature; una vita per Dio, o una vita per il mondo; o, come molto spesso accade, né per il mondo – perché non si può avere il mondo e vivere nel monastero – né per Dio – che si dona totalmente solo a chi si dona tutto a Lui.

C’è sempre stata questa tentazione nel mondo monastico, fin dai primi giorni della sua nascita nel deserto.

CG – Padre, vuoi dirmi come si può risolvere questo problema?

SB – Ognuno di voi deve risolverlo con la stessa procedura che ho indicato a Raul, non appena si rende conto che l’integrità del proprio abbandono o la purezza del proprio amore è minacciata, qualunque sia l’origine o la causa di questo pericolo.

Il tuo amore è per Dio, tutto per Dio, per Dio solo, e tutto nella tua vita deve tendere a quella realizzazione. Come ho detto a Raul, questo è l’unico modo per rispondere a Dio e per “liberarti dai vincoli del grande debito che gli devi”.

Questa è per te la realtà suprema, la grande utilità, il vantaggio supremo: amare soprattutto l’unico BENE, e amarlo con amore assoluto, senza misura, senza condivisione, senza lacune. Questo è, lo ripeto, l’unico modo per risolvere questo problema con la felicità, poiché è l’unica soluzione che ti permetterà di vivere l’amore monastico in tutta la sua purezza.

Ecco perché, in questo momento, posso solo dire a te, come a tutti i tuoi fratelli, ciò che ho detto a Raul in un altro tempo, anche se purtroppo senza alcun frutto per lui: “Tu sai bene con quale promessa sei vincolato e a chi. Onnipotente e tremendo è il Signore, al quale ti sei dato come offerta gradita e accettabile. Non ti è lecito, né è opportuno che tu gli menta… Non ti trattengano le ricchezze corruttibili, né la gloria carezzevole e seducente del mondo” (Lettera a Raul).

È vero che, per te, le ricchezze deperibili del mondo o le seduzioni della sua gloria non saranno più ciò che ti tenta e mette a rischio la tua resa, ma mille altre sciocchezze che, pur essendo pure bagattelle, lasceranno il tuo cuore vuoto e renderanno insensibile un gran bene: la pienezza amorosa della tua oblazione al Signore.

Il solitario si ritrova solo con il suo amore, che non può tradire e al quale deve rimanere fedele. Pertanto, il suo principio guida è questo: l’amore di Cristo, che è venuto a rivelare l’amore che il Padre ha per noi. A questo punto posso ricordarti ciò che ha detto anche Teresa de Jesus sulla santità, l’insigne compatriota di molti di voi: «es un asunto de mucho amor».

Sì, di un amore integrato da quella purezza di cuore tanto apprezzata dalla tradizione monastica; di un amore incessante, come incessante è la tua donazione a Dio e incessante anche la tua conversione dei costumi; di un amore continuo, come continuo ed eterno è l’amore con cui Dio ci ama.

Ma né questa purezza, né questa donazione, questa conversione e questo amore cesseranno di esigere il tuo sforzo personale. Te lo dico per mia esperienza personale.

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 28)

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CAPITOLO 28
Le visite

1 Il Capitolo generale dei monaci, molto preoccupato che le case rimangano nella carità, nella pace e nella fedele osservanza, ha deciso di inviare loro dei Visitatori ogni due anni: la loro missione è di manifestare a ciascuna casa la sollecitudine dell’Ordine, ed hanno i poteri necessari per risolvere eventuali problemi che possono sorgere. (St 32.1)
3 La Visita si svolge come altrove affermato (cap. 35). La comunità, volendo fare della Visitazione un momento favorevole in cui Dio dona la sua grazia, accoglierà con spirito di fede i Visitatori o i Commissari, che sono investiti dell’autorità del Capitolo Generale o del Reverendo Padre. Ciascuno si sforzerà di aiutarli nell’adempimento del loro compito. Visitatori e suore faranno quindi del loro meglio per instaurare un rapporto di fiducia reciproca. (St 32.4)
4 Il primo dovere dei Visitatori è ascoltare ciascuno con la massima attenzione e fraterna accoglienza; dopodiché si sforzano di aiutarla a dare al Signore e alla sua comunità il meglio di sé. (St 32,5)
5 Eserciteranno il loro incarico di fratelli ai quali i tentati e gli afflitti potranno aprire il loro cuore senza temere che le loro confidenze vengano divulgate. In una questione di così grande importanza, non devono affrettare nulla, ma anzi procedere con calma. (St 32.6)
6 Ciascuno deve sentirsi a proprio agio con i Visitatori per spiegare loro i problemi che richiedono una soluzione o un consiglio da parte loro, sia che riguardi la sua vita personale o quella della comunità. Possiamo anche presentare loro suggerimenti costruttivi che sembrano utili per il bene comune. (St 32.7)
7 Prima di parlare degli altri, ci raccogliamo in preghiera. La nostra disponibilità allo Spirito ci aiuterà a praticare la verità nella carità. Chi è in pace non sospetta nessuno; spesso è meglio tacere che soffermarsi su cose impossibili da provare o banalità. (St 32,8)

8 I Visitatori dialogano in particolare con ciascuna monaca. Incontrano anche la comunità in quanto tale, in particolare durante le sessioni di apertura e chiusura della Visitazione (cfr cap. 35). Affinché la loro visita porti frutti durevoli, per grazia del Signore, faranno in modo che la stessa comunità si faccia carico del proprio rinnovamento spirituale. (St 32.9)
9 Si informeranno sulla vita della comunità, sui progressi compiuti dall’ultima Visita o sulle difficoltà incontrate. Provocheranno la comunità a mettere in discussione la fedeltà allo spirito e alla lettera di regolare osservanza, come stabilito negli Statuti. Esamineranno anche i conti della casa e il modo in cui si vigila sulla povertà evangelica. Indicheranno i rimedi per le carenze che potrebbero incontrare. Cercheranno attentamente con le monache, e prima con la priora, le misure da considerare per aiutare la comunità a progredire sempre nella fedeltà alla sua vocazione. (St 32.10)

10 Prima di lasciare la comunità, i Visitatori metteranno per iscritto nella scheda gli orientamenti che hanno dato ad essa o le decisioni che hanno preso. Scriveranno la mappa in termini semplici adatti alla comunità in modo che questa mappa possa essere applicata efficacemente in pace. Preoccupati per la continuità del cammino della comunità, ricorderanno, se necessario, punti già indicati nella mappa della Visita precedente. Spesso è opportuno informare prima la priora sull’azione che intendono intraprendere e ascoltare le sue osservazioni. È infatti importante che i Visitatori comprendano le intenzioni pastorali secondo cui la priora guida le sue monache, per promuoverne l’efficacia. (St 32.11)
11 Prima di prendere una decisione su qualcuno, o di avvertirlo, i Visitatori avranno cura di ascoltarlo. Se ritengono utile fare delle raccomandazioni ad una suora, gliele spiegheranno oralmente, in modo da far capire chiaramente lo spirito del loro intervento. Infine, non usciranno di casa finché non saranno sicuri che la comunità abbia colto le intenzioni e le prescrizioni indicate nei testi. (St 32.12)
18 L’andamento delle case dipende molto dall’efficacia delle Visite. È quindi importante che i Visitatori svolgano il proprio compito con attenzione e dedizione, senza mai accontentarsi di un’esecuzione puramente formale ed esterna. Pensando solo al bene delle anime, non risparmieranno né le forze né il tempo perché il loro passaggio faccia crescere nei cuori la pace e la dilezione perché Cristo cresca. (St 32.18)

Novena a San Bruno 2022: III°giorno

novena 2022 sett

Novena giorno 3

Nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.
Signore, ti ringraziamo per averci dato il tuo servo, San Bruno, come esempio di santità. Aiutaci a imitare la sua devozione a Te durante tutto il suo lavoro nell’amministrazione della Chiesa e nel suo servizio al Papa.
San Bruno, hai desiderato vivere la vita monastica di preghiera e silenzio, ma prima sei stato chiamato a fare il cancelliere. Hai svolto i tuoi doveri in questo ruolo, cercando di servire Dio il più fedelmente possibile nei compiti che ti ha posto.
Per favore, sii fedele nel presentare le mie richieste davanti a Dio!
Anche dopo che hai iniziato a vivere la tua vocazione monastica, sei stato nuovamente chiamato alla vita pubblica per assistere il tuo ex allievo che ora era Papa. Hai lavorato fedelmente in questo ruolo per il bene della Chiesa.
Prega per me, affinché io possa sempre cercare di essere fedele a qualsiasi compito che Dio mi pone davanti. Prega che io possa servire Lui e la Sua Chiesa come posso.
Per favore prega anche per (menziona qui le tue intenzioni).
San Bruno, prega per noi!
Nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo.

Pater, Ave, e Gloria.
Amen.

Silenzio, e poi ascolto

Icona Bruno

Cari amici voglio proporvi questa esternazione sul silenzio, da un certosino, che ci spiega in maniera semplice la ricchezza del loro silenzio per protendersi all’ascolto.

′′ Il silenzio è ascoltare: non l’aspettativa febbrile di una parola che colpirebbe le nostre orecchie o riempirebbe il nostro cuore, ma una tranquilla ricettività a colui che è presente e che lavora senza rumorosità nel nostro essere più intimo. Ecco perché si dice che la nostra solitudine è terra sacra, un luogo dove, come uomo con il suo amico, il Signore e il suo servo parlano spesso insieme; c’è l’anima fedele frequentemente unita alla Parola di Dio; c’è la sposa fatta una con il suo coniuge; c’è la terra unita al cielo, la divina all’umano Il silenzio, infatti, coniuga l’assenza di parole, sulle labbra e nel cuore, con un dialogo vivente con il Signore. …. . ‘ Il frutto che porta il silenzio è noto a chi lo ha sperimentato. Dio ci ha condotto in solitudine per parlare al nostro cuore. Questo è silenzio: lascia che il Signore pronunci dentro di noi una parola uguale a se stesso. Essa ci raggiunge, senza sapere come, senza poterne delineare i precisi contorni; tuttavia, la Parola stessa di Dio arriva e risuona nel nostro cuore.”

(Un certosino)

Come non collegarlo al meraviglioso XX° capitolo del primo libro de “L’imitazione di Cristo”, ai quali suggerimenti vi lascio. Che meraviglia!!!

Dialogo con San Bruno 7

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

Cosa possiamo fare per uscire dal nostro “marasma”?

CG – Padre, poiché con te non si deve avere paura o sfiducia, mi sia concessa questa fiducia filiale: perché a volte siamo così duri, così ingenerosi, così reticenti nel dono di noi stessi e nel vivere la nostra vocazione? Cosa dobbiamo fare per uscire da questo marasma? Parlo per me stesso.

SB – Poiché parli per te stesso, io risponderò a te e, in te, a tutti coloro che si sentono come te.

La prima cosa che devi fare è non perdere mai di vista la tua vocazione; cioè quell’amore di predilezione che essa suppone, da parte di Dio verso di te.

È vero che mentre rimanete in questo mondo terreno, voi uomini siete – così come eravamo e come saranno quelli a venire – fragili, incostanti, deboli…Tutti germi di corruzione che provengono dalla prima ferita. Eppure, è nel piano di Dio che rispondiamo al suo amore con tutto ciò che siamo e abbiamo. Nella nostra debolezza si manifesta la potenza della sua grazia. In effetti, è così che dovremmo vivere la nostra continua conversione; questo atteggiamento e disponibilità dell’anima verso la fedeltà costante, che gli antichi monaci chiamavano “conversione dei costumi”.

Sì, caro figlio, non pensare che siano i tanti anni trascorsi nella vita certosina, nella solitudine e nel silenzio, non pensare che siano loro a darci la soluzione del problema. No. Non sono gli anni trascorsi che coltivano la santità dell’anima, ma l’amore con cui si vivono quegli anni.

Ricorda che l’opzione preferenziale che è sorta nel tuo cuore, nei primi giorni della tua vocazione, esige subito il “tutto” del dono di te stesso. E la risposta deve venire dallo stesso luogo in cui è entrata la chiamata del Signore: dal profondo del tuo cuore, dal profondo del tuo amore. Sì, in lui deve regnare, dominare, imperare Dio, il suo amore, la sua gloria. Questa è stata la tua scelta monastica: essere tutto di Dio, con l’integrità del tuo amore, con la purezza del tuo cuore.

Hai notato l’insistenza con cui ho esortato Raul sulla necessità di rispondere a Dio con assoluta onestà, cioè di adempiere a quello che gli abbiamo promesso? E non ho esitato un attimo a ricordargli il fatto, come accadde nel giardino della casa di Adamo, dove lui e Fulco erano insieme a me: “Ardendo nell’amore divino, abbiamo promesso, abbiamo fatto voto di abbandonare il mondo fugace, e a ciò ci siamo disposti a catturare l’eterno e ricevere l’abito monastico. L’avremmo fatto subito…ma, con il ritardo, il coraggio si raffreddò e il fervore svanì (Lettera a Raul).

La tentazione di Raul, impegnato con Dio senza essere monaco, compare spesso anche – e non solo all’inizio – nella vita del monaco impegnato con Dio e già residente nel monastero. Il buon vino rischia sempre di perdere la sua qualità. Bisogna fare attenzione!

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 21)

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CAPITOLO 21

I malati

1 La malattia o la vecchiaia ci invitano a un nuovo atto di fede nel Padre, che attraverso queste prove ci rende più simili a Cristo. Siamo allora associati in modo speciale all’opera di redenzione, e la nostra unione con tutto il Corpo Mistico diventa più intima. (St 27.1)
2 La priora deve, in modo speciale, mostrare compassione piena di premura agli ammalati, alle sorelle anziane ed a coloro che sono nella prova. La stessa sollecitudine è raccomandata a tutti coloro che si prendono cura dei malati. Si procurerà loro caritatevolmente, secondo i mezzi della casa, tutto l’aiuto necessario o utile; anche i servizi più intimi che non sono in grado di rendere a se stessi saranno loro resi umilmente da altri, che si riterranno felici di aver ricevuto un tale ufficio. Le malattie nervose sono particolarmente pesanti da sopportare in solitudine: si cercherà ogni mezzo per sostenere coloro che ne soffrono, aiutandoli a comprendere che possono dare gloria a Dio, se dimenticano se stessi e guariscono con fiducia nella volontà di Colui che è il loro padre. (St 27.2)
3 Eppure, come dice san Benedetto, bisogna ricordare ai malati di stare molto attenti a non turbare le loro infermiere con richieste superflue o addirittura impossibili da soddisfare, o magari con mormorii. Né l’infermiera dovrebbe, con il pretesto della compassione, danneggiarli con sfrenata benevolenza. Il ricordo della vocazione che hanno abbracciato farà loro vedere che la differenza tra loro e gli uomini del mondo deve essere tanto grande nella malattia quanto nella salute. Dio non voglia che la malattia sia un’opportunità per loro di ritirarsi in se stessi, e che invano Dio sia venuto a visitarli. (St 27.3)
4 Sta dunque al malato meditare sulle sofferenze di Cristo, agli infermieri, ai suoi gesti di misericordia. Il primo sarà più forte nella prova, il secondo più disposto ad aiutare. Se tutti ricordano che è per amore di Cristo, alcuni che sono serviti, altri che servono, non ci sarà né arroganza da una parte, né negligenza dall’altra; ma ciascuno attenderà dallo stesso Signore la ricompensa del dovere compiuto, qui con la sofferenza, là con la compassione. (St 27.4)

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5 Come poveri di Cristo, ci accontentiamo del medico ordinario della casa, o, se necessario, di uno specialista della zona. Se una suora ha bisogno di consultare uno specialista oltre al medico abituale, la priora può permetterle di recarsi in uno dei paesi vicini designati dai Visitatori con l’approvazione del Capitolo Generale o del Reverendo Padre; ma deve tornare lo stesso giorno. Se il medico ritiene necessario il ricovero immediato, senza avere il tempo di chiedere il permesso al Reverendo Padre, ne sarà informato. Quando il medico visita un paziente, di solito rimane da solo per il consulto; può tuttavia richiedere la presenza della priora o di un’altra suora. (St 27,5)
6 I nostri pazienti, condannati alla solitudine, ricevono il più possibile le cure di cui hanno bisogno in cella. Se capita che certi medici, in modo sconsiderato, incoraggino uscite o indichino trattamenti contrari al nostro scopo, non dovremmo tenerne conto: noi soli, infatti, risponderemo davanti a Dio dei nostri desideri. Guardiamoci anche dall’abusare dei rimedi, a danno della perfezione, della nostra stessa salute e del bilancio familiare. (St 27.6)

7 In tutte queste occasioni, affidiamoci docilmente alla volontà di Dio, e non dimentichiamo che la prova della malattia ci prepara alle gioie dell’eternità. Diciamo allora con il salmista: mi sono rallegrato quando mi è stato detto: andremo alla casa del Signore. (St 27.7)

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Dialogo con San Bruno 6

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a san Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

La nostra realizzazione ‘come certosini’

CG – Padre, in questo nostro mondo si parla molto, attualmente, e la gente cerca tutti i mezzi per la “realizzazione personale”. Tutti vogliono “realizzarsi” e raggiungere ciò che vogliono essere…E anche noi, tuoi certosini, abbiamo avuto qualcosa di questa mentalità e di questo linguaggio: vogliamo anche realizzarci come certosini.

SB – Sii sicuro: quello spirito combattivo e quella gioia generosa vi aiuteranno nella vostra “realizzazione”.

È vero, con questo gioioso coraggio si riesce a penetrare nel più profondo, nel più essenziale di questo dono divino della solitudine come luogo privilegiato, per noi, del nostro incontro con Dio.

Quando, nella Lettera a Raul, cantavo le delizie della solitudine, cantavo la migliore esperienza della mia vita solitaria; Cantavo, come direste voi oggi, “la mia realizzazione personale”.

Non sorprenderti quindi quando ti dico che sei chiamato a vivere la stessa gioia, perché tutti i miei figli sono chiamati a sviluppare nella loro vita la grazia vocazionale della solitudine.

Il punto è, nel corso delle diverse fasi della propria esistenza, non stancarti o perdere il coraggio.

È un dono di Dio che devi ricevere e vivere con la gioia dell’amore, perché questo dono contiene in sé:

la parte migliore, concessa a Maria;

la bellezza di Rachele, che è stata preferita alla fecondità di Lia;

il fuoco del puro amore che, come il fuoco della sunamite, ravviva e riscalda il cuore del Re.

Te l’ho detto prima che a volte la solitudine è dura e oscura, è vero. Ma, d’altra parte, questa oscurità è anche luminosa e, inoltre, anche nel dolore genera una felicità profonda.

Ricorda, , a questo proposito, le parole del Salmista: “nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno” (Sl 139, 11), o come dice un’altra versione, “in lei trovo le mie delizie”.

E giustamente la solitudine è il luogo del nostro incontro con Dio, e anche quando quell’incontro avviene nelle tenebre, è anche segno della presenza divina. E nonostante le tenebre, Dio non cessa di essere Luce. Quella Luce è Vita e in quella Luce vedremo la Luce (Sal 36, 10).

6 copertina tonda

Chartae Capituli Generalis Pro Provincia Tusciae

fig. 1- Copertina

Cari amici lettori, nell’articolo odierno voglio comunicarvi la pubblicazione di un’importantissimo volume, del quale vi riporto la brillante recensione dell’amica Giuliana Marcolini, giù coautrice di un libro di cui vi ho parlato da questo blog.

L’Autore di questo importante, impegnativo e specialistico lavoro è un monaco certosino che, secondo la consuetudine dell’Ordine, rimane nell’anonimato; l’argomento trattato, come si evince dal titolo, è l’edizione delle Carte prodotte dal Capitolo generale dell’Ordine certosino relative alla Provincia Tusciae dal 1701 al 1730; note anche come “Carte di Ferrara” o “Carte di Toscana”, sono conservate negli archivi della Grande Chartreuse, la casa madre dell’Ordine, situata a Saint-Pierre-de-Chartreuse, nei pressi di Grenoble.

Queste Chartae sono parte dell’intera documentazione prodotta durante le riunioni del Capitolo Generale, organo legislativo ed esecutivo supremo dell’Ordine certosino, indetto inizialmente ogni anno, ora ogni due, presso la Grande Chartreuse di Grenoble, e operante fin dal 1142. La pubblicazione delle Carte dei Capitoli Generali, a partire da quelle prodotte in epoca medievale era iniziata nel 1982 per volontà del grande studioso e grande esperto, anche per esperienza personale, del mondo certosino quale fu James Hogg, che le aveva inserite nella collana Analecta Cartusiana. Questa collana, l’unica raccolta internazionale di scritti dedicati alla storia e alla spiritualità dei certosini, era stata fondata dallo stesso Hogg nel 1970 e poi, dopo la sua morte nel 2018 e per volontà degli eredi, è entrata a far parte delle collezioni editoriali di carattere religioso di CERCOR (Centre européen de recerche sur les communautés, congrégations et ordres religieux); con l’acquisizione di questa collana, CERCOR è divenuto il polo europeo delle pubblicazioni relative al mondo certosino.

Tutte le pubblicazioni riguardanti l’edizione delle Chartae Capitulorum Generalium sono contrassegnate dal numero 100 di «Analecta Cartusiana» ed il volume qui recensito è il 76° della serie.

Il testo di questa pubblicazione consta di 515 pagine, articolato in più parti:

Prefazione, pp. 3-14:

L’autore della Prefazione, Giovanni Malpelo, scrive che, partendo dal presupposto che ogni carta d’archivio è uno spiraglio privilegiato da cui gettare uno sguardo verso la Storia, e sottolineando in particolare l’importanza degli archivi ecclesiastici per comprendere i rapporti tra Stati e Chiesa nei vari momenti storici, afferma che la trascrizione delle Chartae Capituli Generalis pro Provincia Tusciae certosina ci offre una lettura che va oltre la conoscenza della vita nelle certose italiane comprese in tale circoscrizione geografica durante il secolo XVIII, ma ci fa intravedere come l’Ordine si sia posto in relazione con lo spirito dell’epoca; epoca che la storiografia odierna vede contrassegnata dal termine “rivoluzione”, identificabile in molti campi, da quello politico a quello industriale fino a quello culturale, e che ha dato inizio alla “modernità”.

Anche i Certosini, pur nella loro beata solitudo, avendo chiaramente percepito che al di fuori del loro desertum vi era allora un mondo che andava mutando rapidamente avevano scelto di inserire nello stemma dell’Ordine Certosino, o meglio, in quello della Grande Chartreuse, la Casa madre, il motto Stat crux dum volvitur orbis: la terra si muove, si agita, muta, si ‘rivoluziona’ ma la croce di Cristo è la realtà immobile e immutabile cui ogni certosino di ogni certosa aspira ad identificarsi.

Questa aspirazione alla fedeltà alla più grande espressione della religiosità cattolica ed alla volontà di mantenerla immutata nel tempo universalmente in ogni certosa in qualunque situazione geografica e politica prende forma tangibile nelle Chartae Capituli Generalis, le cui pagine riportano fatti, notizie, disposizioni che si rivolgono in modo immutato nel tempo e universale nella territorialità del mondo certosino. Come esempio concretamente esplicativo Malpelo ci segnala che nelle Chartae di tutti i Capitoli generali “si fa memoria e si menzionano i fratelli defunti nell’anno di qualsiasi certosa di provenienza presente nel mondo (i cosiddetti obiit). Quest’abbraccio universale si ripete poi quasi in ogni parte delle Chartae”.

Introduzione, pp. 15-58:

L’Autore (un monaco certosino) ci ricorda che le Chartae Capitulorum Generalium contengono i suffragi per i vivi e per i morti che le singole Case dovevano assolvere, le disposizioni sui cambiamenti di ufficio e le ordinanze con valore di legge emanate per tutto l’Ordine o per gruppi di monasteri. Pur di “un’appassionante monotonia”, data una struttura monolitica ed invariata nella forma espressiva ed un testo costituito da frasi stereotipate e ripetute, la lettura di queste Carte ci fa ‘intravedere’ come, nel corso del tempo e dei momenti storici, quel ‘mondo’ che i singoli monaci pensavano di aver abbandonato, in realtà sia penetrato nella trama della loro quotidianità. I grandi problemi che scuotevano l’Europa e le prospettive generali della Christianitas nei confronti degli Stati riuscivano a penetrare la clausura certosina e questo è chiaramente visibile attraverso i numerosi suffragi per singoli e comunità estranee al mondo certosino che i monaci erano tenuti ad assolvere. Questo, però, è chiaramente leggibile solo nelle Carte più antiche; l’Autore ci propone una tavola sinottica (vedi nel testo pp. 24-26) in cui vengono messi a confronto gli “obblighi” di suffragi in epoca medievale e quelli del XVIII secolo e si può notare come in questi ultimi scompaiono dal primo posto gli obblighi di suffragi per “Principi e sacerdoti secolari”, e compaiono quasi al termine dell’elenco. Chiaro sintomo del fatto che i Certosini, in questo secolo di grandi ‘rivoluzioni’, hanno sentito la necessità di rafforzare il loro ‘distacco’ della loro realtà dal mondo esterno.

L’intero corpus delle Chartae Provinciae Tusciae consta di nove tomi manoscritti in lingua latina, composti da fascicoli di varie dimensioni, che contengono carte o estratti di carte relative ai ‘verbali’ redatti durante i Capitoli generali tenutisi alla Grande Chartreuse dal 1462 al 1796, contenenti le relazioni dei visitatori delle varie certose della Provincia Tusciae con le notizie specifiche di ogni certosa e le eventuali decisioni prese in seno al Capitolo sia riguardo ad una specifica certosa sia riguardo a disposizioni di carattere normativo generale; le copie di questi verbali, dopo il Capitolo, venivano consegnate ai Visitatori che le portavano poi ai vari priori delle singole certose della Provincia.

Benché già note da tempo nella letteratura specializzata certosina, le Chartae Provinciae Tusciae, conservate negli archivi della Grande Chartreuse in nove volumi (Ms 1 Cart 24), non sono state finora oggetto di studio particolareggiato.

La consultazione diretta della serie ne ha rilevato l’importanza per la storia dell’Ordine certosino e per la conoscenza del suo sviluppo in quelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto, che costituivano il territorio della storica Provincia Tusciae; da qui la decisione di progettare una pubblicazione della trascrizione di tutti i volumi manoscritti di dette Chartae nella collana «Analecta Cartusiana», cominciando dalle Carte del XVIII secolo, cioè i volumi 7-9 (con documentazione dal 1701 al 1789) dato che i primi sei (con documentazione dal 1462 al 1700) sono attualmente in fase di restauro e si potrà procedere alla loro trascrizione e pubblicazione al termine dell’operazione, in ragione di un tomo a stampa per ogni volume manoscritto, rendendoli così facilmente disponibili all’approfondimento degli studiosi della ‘certosinità’.

Trascrizione delle “Chartae Capituli Generalis pro Provincia Tusciae ab anno 1701 usque ad annum 1730 (manoscritto Grande Chartreuse 1 Cart 24 Volume 7) (pp- 59-438)

La trascrizione del volume manoscritto 7 delle Chartae Capituli Generalis pro Provincia Tuscia occupa la quasi totalità dell’intero testo in recensione; il volume contiene le carte di 30 Capitoli Generali tenutisi annualmente dal 1701 al 1730 ed è formato da 30 fascicoli composti ognuno di un numero di carte scritte variabile.

Anche il testo di queste carte, come quello di tutte quelle prodotte durante ogni Capitolo generale, era impostato prima della riunione generale in Grande Chartreuse. I fascicoli erano composti da 6 fogli in 4°, piegati al centro (12 carte); sul primo recto veniva scritto il nome della provincia (Provincia Tusciae, Provincia Sancti Brunonis, Provincia Picardiae, ecc.) cui il documento era indirizzato. Si preparavano poi i dati generali e sempre fissi fin dal primo Capitolo: il titolo e la data del Capitolo generale, la data della Settuagesima, la lista delle SS. Messe dello Spirito Santo e della Beata Vergine per varie intenzioni e la parte finale del documento con le generalità, e le disposizioni per le singole certose. I defunti (per i quali quella certa certosa aveva l’impegno di celebrare i suffragi) il cui obitus era già pervenuto alla Gran Certosa erano trascritti secondo l’ordine che si era codificato nel XVIII secolo, che vedeva in primis i visitatori, seguiti dai convisitatatori, dai monaci semplici, dai monaci diaconi, dai conversi, e, nel caso di un monastero femminile, dalle monache certosine, poi veniva l’elenco dei sacerdoti secolari, i secolari e per ultime le Donne. Ricordiamo che nelle carte più antiche, l’elenco dei defunti vedeva come prima voce i principi e i sacerdoti secolari, seguiti dai priori e monaci certosini (si veda nel testo la esplicativa tabella sinottica della situazione alle pp. 24-26).

È da rilevare che in questo volume 7 le Carte prodotte dal Capitolo generale dal 1715 al 1724 furono affidate a Dom Daniele Campanini, priore della certosa di Ferrara dal 1703 al 1725, convisitatore della Provincia Tusciae dal 1715 al 1720 e visitatore della stessa dal 1721 al 1725 e che in questi periodi fu presente ai vari Capitoli tenutisi nella Grande Certosa, perché le portasse alle certose della Provincia Tusciae; personaggio di grande spessore religioso e culturale, dom Campanini era già stato priore della Casa ferrarese dal 1692 al 1698 e fu committente per la sua Casa di varie importanti opere d’arte celebrative della ‘certosinità’.

A seguito della trascrizione di tutte le Carte del volume 7, l’Autore ha predisposto otto Appendici (pp. 439-496), con notizie ricavate da varie fonti di carattere certosino, utili per agevolare la consultazione del testo stesso e fornire molti dati ed informazioni inediti di particolare interesse per l’approfondimento della storia dell’ordine nel XVIII secolo:

Appendice I. Elenco dei fascicoli dei volumi 7, 8 e 9 delle Chartae Tusciae

Appendice II. Liste dei Priori della Provincia Tusciae secolo XVIII (fino alle soppressioni)

Appendice III. Lista dei Visitatori e Convisitatori della Provincia Tusciae secolo XVIII

Appendice IV. Lista dei Reverendi Padri, Priori della Gran Certosa XVIII secolo (fino alle soppressioni (tratta da La Grande Chartreuse per un charteux, Bellegarde 1984, pp. 292-293)

Appendice V. Lista dei Vicari della Gran Certosa XVIII (desunta dalle Chartae Provincia Tusciae)

Appendice VI. Elenco delle Ordinanze, Ammonizioni ed Esortazioni promulgate dai Capitoli Generali nel secolo XVIII, desunte dalle Chartae Provincia Tusciae

Appendice VII. Le Case della Provincia Tusciae (da Monasticon Cartusiense, IV, 4: Provincia Tusciae, «Analecta Cartusiana» 185/4/4, 2010)

Appendice VIII. Trascrizione del Manoscritto Grande Chartreuse 6/ITAL/11.

A corredo dell’intera pubblicazione si segnala una significativa e ricca Bibliografia, di riferimento (pp. 13-14) e specialistica (pp. 50- 58).

I documenti d’archivio sono lo strumento oggettivamente più efficace per la conoscenza e l’interpretazione della ‘storia’ di qualunque realtà che lo studioso attento e ‘curioso’ utilizza con particolare entusiasmo. Ma non sempre è possibile la consultazione diretta delle fonti, come nel caso della documentazione prodotta dall’Ordine Certosino che, nel suo eremitismo estremo, precludeva e preclude il contatto fisico diretto con le sue realtà; ecco che allora iniziative editoriali come quella che ha preso l’avvio con l’esperienza di «Analecta Cartusiana», di cui questo volume è un significativo esempio, sono preziosissimi strumenti per la conoscenza e l’interpretazione del mondo certosino.

Attraverso queste pubblicazioni riusciamo, infatti, a percepire quanto il mondo certosino non fosse così ‘impermeabile’ alla realtà esterna alle sue mura quanto si poteva ritenere e nel contempo, ci rendono possibile entrare in un mondo a noi totalmente precluso, conoscerne la sua struttura e le sue modalità di perpetuazione e mantenimento nel tempo di quella ideologia religiosa che ne determinò la nascita.

Giuliana Marcolini

fig. 2- Frontespizio Chartae

Nell’esprimere gratitudine all’amica Giuliana Marcolini, la quale ha redatto tale recensione che ho voluto ospitare su Cartusialover al fine di renderne nota tale pubblicazione e diffonderla a voi tutti.

Vi inoltro il link dove poter acquistare online questo prezioso volume, disponibile all’approfondimento di chiunque voglia studiare gli argomenti in esso illustrati.

https://www.i6doc.com/en/book/?gcoi=28001100197820

Dialogo con San Bruno 4

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

Cos’era per te la solitudine?

CG – Padre, per grazia di Dio condividiamo la tua vocazione al deserto. Sappiamo che, come te, anche noi dobbiamo santificarci nella solitudine. Ma poiché lo Spirito Santo ti ha illuminato, come Fondatore, sui misteri di quella solitudine, vuoi dirci qualcosa di cos’era per te la solitudine?

SB – Avrai già notato che nelle mie lettere quasi non mi soffermo sulla solitudine materiale, per quanto essa sia la base e la condizione della solitudine spirituale. Preferisco esaminare la solitudine spirituale di questo elemento così importante del nostro carisma vocazionale.

E la prima cosa che scopro è che la solitudine è un dono gratuito di Dio. Se ci ha chiamati perché l’ha voluto e ci ha portato nel deserto, la solitudine profonda e stabile è una grazia divina ordinata per la realizzazione dei disegni di Dio su di noi.

Perciò ora non posso dirti di meno di quanto dissi ai primi figli: “Rallegratevi della felice fortuna che vi è data e dell’abbondanza della grazia di Dio su di voi. Rallegratevi di aver raggiunto il tranquillo e sicuro rifugio di un porto nascosto” (Lettera ai monaci della Certosa).

Con questo voglio ricordarti ora quanto segue: se la solitudine è una grazia di Dio, dobbiamo esserne grati. Se è ordinata alla nostra vocazione, dobbiamo custodirla con amore preferenziale; essendo una grazia, è evidente che non possiamo conquistarla con le nostre forze; essendo un dono di Dio, è inutile impiegare tecniche umane; infine, essendo grazia vocazionale, è necessario coltivarla con la preghiera, per conservarla, vivificarla, per non lasciarla sprecare o lasciarla sterile a causa della vostra incuria.

Sì, “avete paura di perdere per colpa vostra quella fortuna inestimabile, quel desiderato bene, se non volete rimpiangerlo per tutta la vita» (ib.).

Durante la mia permanenza nel mondo, mi piaceva essere realistico perché la realtà è parte della verità. Ora che sono in paradiso, non voglio nasconderti una realtà che fa parte della solitudine, per quanto tu la sappia.

La solitudine, ti dicevo prima, vissuta con la pace, la gioia e il silenzio che le sono propri, ci permette di vivere con Dio, di stare con Lui senza vederlo, per quanto questo è possibile sulla terra.

Ma quella stessa solitudine ha anche le sue ore buie e dolorose, dure e austere. E che, come dice Guigo, che cito, “esige uno spirito che sia padrone di sé”, cioè uno spirito che sappia e voglia accettare le conseguenze di una scelta coraggiosa, che ha la sua origine nella chiamata di Dio e che è disposto ad accontentarsi di Dio.

Sì, a volte la solitudine è dura. Ma non siate sorpresi di questo: è la durezza della croce. Il deserto, l’esodo dalla sua vita, è stato duro anche per Gesù, e non parlo solo del deserto della Quarantena.

Ma se apprezzi l’essere “soldati di Cristo”, “atleti di Dio”, allarga il tuo cuore e accetta, con gioia, le dure ore della solitudine. Solo con questa generosa accoglienza si può ricevere la ricompensa promessa: «la pace che il mondo non conosce e la gioia nello Spirito Santo» (Lettera a Raul). È questa gioia e questa pace che fanno vivere appieno la vostra solitudine, sono loro che portano al compimento della vostra vocazione.

La Nube della non-conoscenza 68

NUBE

CAPITOLO 68

«In nessun posto» materialmente, significa «dappertutto» spiritualmente; il nostro uomo esteriore chiama «niente» il lavoro di cui parla questo libro.

Allo stesso modo va inteso l’invito che un altro ti potrebbe rivolgere, di raccogliere le tue facoltà e i tuoi sensi nell’intimo di te stesso e di adorare Dio dentro di te. Quantunque questo sia certamente del tutto giusto e vero, e nessuno potrebbe dire cosa più assennata, se ben la si comprende, io invece per paura che tu abbia a intendere in maniera fisica, e quindi sbagliata, queste parole, non ti dico assolutamente di far così. Questo è quanto voglio da te: che tu non sia in alcun modo dentro di te. E di conseguenza, voglio che tu non sia nemmeno fuori di te stesso, né sopra, né dietro, né da una parte, né dall’altra. «Ma allora», mi dirai, «dove devo stare? A quanto pare, da nessuna parte!» Ebbene, sì, hai pienamente ragione: è così che ti voglio. Perché quando non sei in nessun posto materialmente, sei dappertutto spiritualmente. Pertanto sta’ ben attento, perché il tuo lavoro spirituale non sia ancorato a nessun posto materiale. In questo caso, dovunque si trovi l’oggetto su cui stai coscientemente applicando la tua intelligenza, è proprio lì che ti trovi in spirito, in modo così vero e reale come il tuo corpo si trova nel luogo dove tu sei materialmente. E anche se i tuoi sensi non vi possono trovar nulla di cui nutrirsi, perché secondo loro tu non stai facendo assolutamente niente — proprio così! —, continua a fare questo «niente», se non altro per amore di Dio. Perciò, non smettere in alcun modo, ma lavora alacremente in questo «niente», con desiderio sempre vigilante e volontà ferma di possedere Dio, che nessun uomo può conoscere. Ti dico, in verità, che preferirei essere in questo «nessun posto» fisicamente, a lottare con questo cieco «niente», piuttosto che essere un signore così potente da poter essere fisicamente dappertutto, se solo lo volessi, intento a godere allegramente di tutto come fa un padrone con le proprie cose. Lascia perdere questo «dappertutto» e questo «tutto», in cambio di questo «nessun posto» e di questo «niente». Che importa se le tue facoltà intellettuali non riescono a scandagliare questo «niente»? Io lo amo ancor di più! È una cosa così eccelsa in se stessa, che non la si può comprendere in alcun modo. Questo «niente» è più facile sentirlo per esperienza che vederlo, perché è completamente cieco e oscuro agli occhi di coloro che solo da poco si son messi a guardarlo. Ma a voler parlare più correttamente, l’anima che ne fa esperienza è accecata dalla sovrabbondanza di luce spirituale, piuttosto che dall’oscurità o dall’assenza di luce fisica. Chi è che allora lo chiama «niente»? Il nostro uomo esteriore, di certo, e non quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama «tutto», perché per mezzo suo impara a conoscere la ragione di tutte le realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in se stessa.