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Dialogo con San Bruno 45

6 dialogo

Continua l’immaginario colloquio con san Bruno.

CG – Cosa significa “il tuo essere più intimo”?

SB – La stessa cosa che ti avevo già indicato prima: la realtà e la sincerità dell’amore che si dona, che si dona totalmente. È estremamente bella la metafora che il vostro attuale Pontefice Giovanni Paolo II ha utilizzato per significare questa “intimità” della tua oblazione.

Ti dice che la vita religiosa comporta caratteristiche sponsali nella Chiesa e nel Regno: a un amore “primo”, un amore di elezione da parte di Dio che chiama, risponde un altro amore, questo, ora, di donazione e di consegna la parte di chi è chiamato; poi, nel vivere, camminare e soffrire ogni giorno, si manifesta un amore di fedeltà indissolubile, testimoniato in tutte le opzioni che scaturiscono dalla vita soprannaturale o che da essa sono richieste (cfr RD 3-7).

Ti ho detto prima che qui in cielo noi Fondatori siamo consapevoli di tutto ciò che riguarda la vita religiosa; non solo di tutto ciò che fai e vivi, ma anche di ciò che la Chiesa fa per la tua vita.

Posso pertanto ricordarti quanto la Congregazione dei Religiosi ha rafforzato nei tuoi confronti: «La vita religiosa, per sua natura, è una testimonianza che deve manifestare con chiarezza il primato dell’amore di Dio con la forza che viene dallo Spirito Santo. I religiosi (sul modello degli Apostoli, che comunicavano e testimoniavano la loro esperienza di vita con il Maestro) (…) sono chiamati a testimoniare un’esperienza simile, profonda e personale di Cristo e a condividere la fede, la speranza, l’amore e la gioia che la sua esperienza produce” (ET 32-33).

CG – Credo di capire: vivere in profondità il dono della mia consacrazione è dare testimonianza costante che Cristo è la norma, la via e l’esempio della mia vita. Rendo testimonianza della sua croce, della mia incorporazione a Lui, della sua opera redentrice e della sua gioia di uomo risorto. Non è così?

SB – E’ così. Come vedi, la dottrina è chiara e sublime.

CG – Però, Padre, confesso che le sue implicazioni sono – parlo per me – estasianti e allo stesso tempo umilianti; estasianti perché mi spingono a vivere secondo lo Spirito, al cammino dell’amore, alla gioia di un’oblazione; e umilianti perché sono lo specchio in cui si riflettono quotidianamente le mie debolezze, la mia impotenza, le mie dimenticanze…

SB – Non pensare che questa realtà umana sia strana. È vero che la tua testimonianza dovrebbe avere qualcosa del modo divino di agire bene e di diffondere il “buon odore di Cristo”. Ma tutto questo può essere visto in un “vaso d’argilla”. Questo vaso si vede in tutto. È qualcosa a cui non si può rimediare.

Ciò che Dio ti chiede, e di cui si rallegra, non è che tu smetta di essere un “vaso d’argilla”, né che tu lo trasformi in un mucchio di cocci, ma che tu persista nel tuo desiderio di oblazione e nella tua lotta per superare.

D’altra parte, la consapevolezza di essere un “vaso d’argilla” deve fungere da monito e da contrappeso per non lasciarsi trasportare dal vento della vanità o, quel che è peggio, dall’ondata dell’orgoglio spirituale di essere “eletto”. Il tuo umile “vaso d’argilla” ti ricorda la tua condizione di “figlio povero, bisognoso e grato”.

CG – È la semplicità certosina.

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