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Dialogo con San Bruno 42

6 dialogo

Ancora domande e risposte per comprendere la vita certosina.

CG – Davvero, Padre, non possiamo dubitare della grandezza del dono che la chiamata a vivere per Dio, in Cristo, e diventare vittime con Lui, presuppone.

SB – E il modo migliore per rispondere a un dono è utilizzarlo secondo i desideri del donatore. Questa volontà ti è espressa chiaramente nelle parole del profeta Osea, che ti ho ricordato, e in ciò che gli Statuti ti dicono riguardo a questo dettaglio. Perciò non ti resta che vivere questo dono di Dio, questo dono pasquale che ti trasporta dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dall’odio per il peccato alla tenerezza incomparabile dell’amore di Dio.

E credici: nonostante il suo realismo, il suo idillio coniugale, le parole di Osea sono pura ombra della dolcezza, della delicatezza, della tenerezza fedele e paterna di questo amore di Dio. Solo qui, godendo della Sua compagnia e visione, comprendiamo perfettamente la Sua grandezza e bontà. Solo qui ci rendiamo conto esattamente che vale la pena lasciare tutto e soffrire tutto nel mondo, nella speranza di aumentare i gradi di quell’amore. Infatti, non si tratta solo di riuscire ad amare di più Dio attraverso l’eternità. Se vedessi quanta e quale gioia gode Dio nell’amore dei suoi figli!

CG – Padre, potresti aiutarmi a capire il senso di questo dono pasquale, del nostro esodo, al quale Dio ci chiama “ad unirci a Lui per amore”?

SB – Il cammino dell’“Esodo” è stato per Israele un’uscita, un passaggio e un tempo per le sue “nozze” con Yahweh. Così accade anche a noi qualcosa di simile: è tempo di uscire dalle vanità dell’Egitto del mondo, per prepararci all’appartenenza totale a Dio.

L’ideale solitario e contemplativo della tua vocazione è un dono e un proposito pasquale perché richiede di lasciare tutto ed entrare nel deserto di un esodo, dov’è necessario rinunciare a tutto, compresi i desideri di quelle cose che in altri tempi ci davano gioia, per restare soli con Dio e accontentarsi di Lui è un cammino mosso da slanci di amore nuovo e da cammini di umiltà e di mitezza. Questo è il messaggio che il profeta Michea ti trasmette settimana dopo settimana, nell’ora della Tercia: «Ti è stato rivelato, o uomo, ciò che è bene, ciò che il Signore richiede da te: niente altro che fare giustizia, ama la fedeltà e cammina umilmente davanti al tuo Dio” (Mic 6,8).

Chiamo “dono e passaggio pasquale” questo ingresso nel deserto perché implica una conversione del cuore, un’obbedienza alla chiamata di Dio, una fiducia assoluta in Lui, che con amore e libertà Egli ci seduce e ci guida verso la solitudine per stabilirci nella pace del suo amore, per parlare ai nostri cuori, per sposarci per sempre a Lui nella santità, misericordia e fedeltà della sua bontà.

La grande gioia che ho espresso nella mia Lettera ai Fratelli della prima Certosa è stato, proprio, proprio perché ho visto realizzato in loro questo dono pasquale: ho contemplato la tenerezza dell’amore di Dio riversato nelle loro anime e ho conosciuto i frutti che la grazia produce in loro, quando con fede si lasciano portare la forza dell’amore e della fiducia.

Abbandonarono tutto, ma guadagnarono, a quel prezzo, il raggiungimento del più alto dei desideri: Dio.

Perciò, figlio, se vuoi sperimentare il dono di te stesso, accetta il dono di Dio, questa suprema manifestazione del suo amore, ottenuto in Cristo. Fissa il tuo sguardo su questo Cristo, che è la tua “Guida” attraverso il deserto; segui le loro orme; vivi per Lui, secondo il Suo disegno; accogli la tua tenerezza; e, con la forza del suo amore, supera le forze opposte che cercano di separarti da Lui e dal tuo scopo.

Una lettera di Niccolò Albergati al popolo bolognese

2-B.-Nicolò-Albergati

Cari amici, oggi 10 maggio si celebra la memoria del beato Niccolò Albergati, insigne figura dell’ordine certosino e della Chiesa. In questa ricorrenza ho scelto per voi una lettera scritta di suo pugno, ed indirizzata al “popolo bolognese” che lo acclamava per la nomina di Vescovo della città di Bologna.

“Lettera al popolo bolognese” del beato Nicolò Albergati, vescovo

(dalle Efemeridi dell’Ordine Certosino, a cura dí D. Leone Levasseur, I1, p. 19).

Il Beato rifiuta umilmente la dignità episcopale propostagli dalla comunità bolognese

“Non c’è bisogno o miei concittadini di questo nuovo attestato della vostra benevolenza verso di me, e non penso di esser tenuto a ringraziarvi a meno che — lo dirò liberamente — io non abbia a ringraziarvi per avermi sottratto la pace e la tranquillità dello spirito, a me tanto cara. Vi sono grato per la benevolenza, ma lo sarei molto di più se voi aveste desiderato per me quel bene, cui da tempo Dio mi ha legato, di vivere sulla terra, non solo come ospite e pellegrino, ma pure esule.

Non vogliate credere ad ogni ispirazione (1 Gv 4, 1): che direste se venisse dallo spirito maligno, quella che giudicate di ispirazione divina? Non conoscete le arti del nemico ingannatore, use a nascondersi specialmente dietro la maschera dell’onestà e della religione?

Sappiate, figlioli, che le voci del popolo non sono senz’altro le voci di Dio. Non continuate ad ingannare voi stessi e me. E macabro voler dissotterrare, perché vi governi, un cadavere sepolto da ventidue anni. Non turbate la pace di un morto: vi sarà più utile nel suo sepolcro che fra i vivi, e impetrerà per voi il santo timor di Dio, in cui consiste la vera vita.

Forse ignorate che cosa significhi morire vivendo ed essere sepolto insieme con Cristo (Rom 6, 4). E tuttavia un errore reclamare un monaco, uno che non appartiene più alla città, ma è fuggito dal mondo e si è dato alla solitudine. Che un simile uomo non debba essere posto a capo della città, imparatelo dai vostri avi. Essi videro san Petronio venire al governo non da un eremo, ma dallo splendore della corte imperiale. Non sono amante di me a tal punto da non sentirmi anch’io figlio della mia patria, debitore della mia patria, ad essa legato da affetto congenito. Ma ci sono dei limiti che non è lecito varcare. Colui per il quale le tenebre sono luminose, sa bene se, sulla nave agitata da tanti pericoli, io noncurante dorma il sonno di Giona, o se con gli Apostoli io gridi: «Signore, salvaci: siamo perduti» (Mt 8, 25).

Andate, in nome di Dio, andate con Dio, carissimi, e cercate un pastore più adatto a voi. Lasciate stare questo Certosino inesperto: lasciatelo quieto fra i silenzi cui si è votato: e siate certi che ciò sarà sommamente caro a Dio”.

Nonostante questa accorato appello, Niccolò Albergati fu eletto vescovo della sua città natale il 4 luglio 1417.

Preghiera:

Concedici, o Signore, quella semplicità di

Vita, che ha permesso al beato Niccolò di rimanere

fedele alla sua vocazione di certosino tra le tante

mansioni del suo ministero.

Energia solare per una certosa

Cari amici, la notizia che vi riporto, riguardante una certosa, è apparsa poche settimane fà ed ha destato un notevole interesse mediatico. Ma da dove nasce questo scalpore?

Ebbene, l’annuncio arriva dall’Inghilterra e più precisamente dalla certosa di St. Hugh a Parkminster, nel West Sussex. L’Ordine certosino ha infatti reso noto che per questa certosa inglese vi sarà un’ingente investimento, volto alla salvaguardia dell’ambiente ed al rispetto per il pianeta. Saranno installati 500 pannelli fotovoltaici per alimentare il loro sito di 240 ettari con energia solare gratuita, pulita e silenziosa. E’ stato calcolato che, questa lodevole iniziativa potrebbe portare a un risparmio di carbonio pari a un’enorme quantità di 2.307 tonnellate di CO2 in un periodo di 20 anni.

Sembra paradossale che venga dai certosini, legati a tradizioni immutate in oltre nove secoli di storia, questa politica energetica ed ambientale proiettata verso il futuro maggiormente ecosostenibile. I certosini di Parkminster, stanno anche investendo in una batteria che immagazzinerà l’elettricità in eccesso che potrà essere utilizzata quando i pannelli non generano energia. L’ OHM Energy, è uno dei partner di energia rinnovabile più esperti della costa meridionale dell’Inghilterra, che presta la propria consulenza alle necessità della certosa. Jason Lindfield, direttore di OHM Energy Solutions, recentemente intervistato, ha affermato che il sistema adottato dai monaci, si ripagherà da solo in meno di sette anni: “Il nuovo sistema non solo è silenzioso ma trasformerà le operazioni, aiutando St Hugh’s sia dal punto di vista finanziario che ambientale. La resa energetica prevista è di 231.650 kWh con un risparmio annuo di £ 27.196. “Agli attuali prezzi dell’energia, l’intero sistema dovrebbe ammortizzarsi entro sei anni e sette mesi, il che costituisce un investimento molto sostenibile per la comunità monastica”.

Pannelli solari Parkminster

Ma ecco anche il parere monastico:

Fratello Hesychios, un monaco di St Hugh, spiega: “Inizialmente, quando abbiamo iniziato questo processo eravamo dei principianti assoluti, quindi speravamo di poter contare su un installatore di pannelli solari che avesse la capacità di mettersi nei panni – o sandali a seconda dei casi, dell’utente alle prime armi con i pannelli solari, e che fosse in grado di spiegarci in parole povere passo dopo passo il processo coinvolto. Sono molto lieto di dire che il team OHM lo ha fatto.”

Investire dunque nell’energia solare è stata la scelta per il futuro dell’Ordine certosino, che si proietta così nei secoli a venire!

la comunità certosina

Dialogo con San Bruno 41

6 dialogo

 

Prosegue l’intervista del nostro certosino al nostro amato San Bruno

CG – Al nostro egoismo e alla nostra codardia, tale radicalità assoluta sembra molto difficile, non importa quanto ne riconosciamo la necessità.

SB – Né Dio né io ti nascondiamo questa difficoltà. Ma credo che se prendi in considerazione queste parole di Osea come ti sono state dette, questo ti aiuterà; parole che, infatti, trovi citate, in parte, negli Statuti: «Così la sedurrò: la condurrò nel deserto, per parlare al suo cuore. (…) Allora ti fidanzerò per sempre; Ti sposerò secondo giustizia e diritto, con amore e misericordia. Ti sposerò fedelmente e conoscerai il Signore. [E dirai:] ‘Tu sei il mio Dio’”. (Os 2,16 ss). Questi sono i piani di Dio per te; ed il suo compimento è il supremo desiderio del mio cuore paterno e l’oggetto primario delle mie suppliche per voi. Non ti nascondo che questa è la gioia più grande che puoi darmi ora, quando le cose di Dio sono meglio comprese.

Infatti sulla terra anche questo è stato per me motivo di gioia. Ricordo, a proposito, quanto era grande la gioia del mio cuore quando scrivevo ai primi figli della Certosa e come rendevo grazie a Dio quando contemplavo in loro l’accoglienza fedele che avevano riservato alla chiamata divina e quando vedevo le ineffabili meraviglie che la Bontà del Signore operava su di loro. Per questo disse loro: “Rallegratevi, cari fratelli, della sorte che vi è toccata e dell’ampiezza della grazia di Dio su di voi”.

Quando li ho visti, per la loro generosità e fedeltà, nella “pace e tranquillità del rifugio del porto nascosto”, il minimo che ho potuto fare è stato rallegrarmi nel Signore, considerando questo dono puramente gratuito del Signore, donato a loro «perché è stato loro concesso dall’alto»; sapendo che molti altri, nonostante lo volessero, non ci erano riusciti.

Ai miei tempi si parlava molto, e non meno si scriveva, del Dio desiderans e del Dio desideratus, cioè del Dio che desidera, che cerca l’uomo, e del Dio desiderato, del Dio cercato dall’uomo.

La vocazione monastica era considerata come una chiamata, un desiderio peculiare di Dio nei confronti dell’uomo e come una ricerca, un desiderio supremo dell’uomo nei confronti del suo Dio.

La realizzazione di questa vocazione è stata la convergenza, la soddisfazione di questa sete di Dio di donarsi e di unirsi all’uomo per amore e della sete dell’uomo per questo desiderio infinito che sente nel cuore di accogliere e possedere Dio.

Dio perseguita l’uomo perché lo ama; e l’uomo cerca Dio perché ha bisogno di Lui, perché è stato creato per Lui.

Come puoi vedere, una vocazione d’amore, che può essere vissuta solo nell’amore; in quell’amore che porta al vittimismo di cui abbiamo già parlato.

Ecco perché non pochi autori del mio tempo amavano considerare i tre voti monastici come altrettanti chiodi che fissano il monaco alla Croce di Gesù, affinché sia, su di essa e con Lui, “vittima viva, gradita a Dio”.

La regina Giovanna I ed i certosini di Napoli

La regina Giovanna I

Il personaggio di cui voglio oggi parlarvi, è la regina Giovanna I d’Angiò, la quale ebbe un rapporto particolare con l’Ordine certosino, come di seguito vi spiegherò.

Giovanna, rimasta l’unica discendente diretta di suo nonno Roberto d’Angiò, con un atto anticonvenzionale, venne da lui nominata sua erede legittima a fronte di numerosi altri aspiranti parenti maschili. Per far fronte alle pretese sul trono del Regno di Napoli vantate dal ramo ungherese degli angioini, Giovanna venne fatta sposare giovanissima al lontano cugino Andrea d’Ungheria, riunificando la dinastia. Alla morte del nonno, nel 1343, Giovanna divenne di fatto una delle prime regine sovrane d’Europa. Fu regina regnante di Napoli, monarca titolare di Sicilia e di Gerusalemme nonchè contessa di Provenza e di Forcalquier dal 1343 al 1381, anno della sua deposizione.

Essendo nata nel 1326, Giovanna dunque a soli diciassette anni divenne regina!

I rapporti con i certosini

Come sappiamo la fondazione della certosa di San Martino a Napoli fu voluta nel 1325 da Carlo d’Angiò, duca di Calabria e primogenito di Roberto d’Angiò il saggio, alla prematura morte di Carlo, avvenuta improvvisamente l’11 novembre 1328, la figlia Giovanna successivamente, come già scritto, ereditò il trono di Napoli.

La certosa fu finalmente inaugurata il 26 febbraio del 1368, sotto il regno della regina Giovanna I, anche se i certosini vi si erano già insediati dal 1337. Essa, come vedremo, fu molto generosa con la comunità monastica certosina napoletana offrendo loro molti privilegi.

Nella certosa napoletana, vi sono diverse raffigurazioni della regina angioina, nel pronao della chiesa, in uno dei riquadri, in alto a destra del portale, Belisario Corenzio nel 1632 raffigura in un’affresco La regina Giovanna I che offre la custodia della chiesa a san Bruno. Altro affresco in cui appare la regina Giovanna è situato in una stanza del Quarto del Priore dove è raffigurata, in una grande tela, insieme a suo padre Carlo d’Angiò con il modello della certosa da porre sulla collina del Vomero sovrastata dal vescovo San Martino nell’atto di benedire il luogo.

Va anche ricordato che su un terreno di proprietà della regina, nel 1373, venne edificata la certosa di San Giacomo a Capri, laddove vi è un’altra raffigurazione pittorica volta a omaggiare Giovanna I.

Vi sono alcuni episodi storici, che si verificarono in quegli anni, che testimoniano l’intenso rapporto di stima e fiducia tra la regina di Napoli ed i certosini,

Nel 1345 dopo l’uccisione del marito Andrea d’Ungheria, a seguito di una congiura, Giovanna dovette subire un processo per omicidio durante il quale i certosini di San Martino la sostennero e difesero strenuamente, ma dal quale venne assolta.

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I rapporti della regina con i certosini furono eccellenti, essa ebbe sempre molta stima per i monaci verso i quali fu molto munifica. Nel 1348, Giovanna I con “Regal Diploma” del 15 luglio, esentò la comunità certosina di San Martino da ogni dazio, dogana, gabella, collette e decime e stabilì che, in caso di controversie, salva la legge, si sarebbe dovuto decidere sempre a favore della certosa.

La chiesa napoletana di Santa Maria Spina Corona, oggi detta l’Incoronata, fu fondata nel corso degli anni sessanta del trecento dalla regina Giovanna I d’Angiò, nell’attuale via Medina, un tempo detta Largo delle Corregge, cioè delle giostre, per essere luogo in cui si svolgevano tornei. Consacrata nel 1373, essa è ciò che resta di un più ampio complesso ospedaliero, dismesso già nel corso del Cinquecento, rispetto al quale la chiesa ha continuato ad avere vita autonoma. La chiesa insieme all’ospedale fu affidata ai certosini, l’8 ottobre del 1372, Giovanna scrisse al priore di San Martino, Giovanni Grillo da Salerno, per affidare ai certosini la gestione dell’ospedale. I monaci accettarono, ma nominarono dei sacerdoti secolari alla gestione della chiesa-ospedale, affinché non fossero disturbati nella loro clausura.

La titolazione di questa chiesa a Santa Maria Spina Corona, testimonia l’esistenza della famosa reliquia che essa conteneva, ovvero una spina della corona di Gesù Cristo dagli attributi miracolosi. Questa eccezionale reliquia fu poi donata ai certosini di San Martino che ebbero cura di conservarla tra le molte altre che avevano nella cappella delle reliquie, oggi cappella del Tesoro.

In seguito, l’8 aprile 1378 Papa Urbano VI si insediò a Roma, mentre poco dopo, un gruppo di tredici cardinali francesi, non riconoscendolo come legittimo pontefice, si riunirono a Fondi. La regina Giovanna I di Napoli, loro sostenitrice, decise di inviare a Fondi, presso i cardinali scismatici, il priore Giovanni Grillo della certosa di S. Martino di Napoli, il quale dopo averli incontrati, fu da loro inviato da Urbano VI per convincerlo di rinunciare al Pontificato, ma ciò non avvenne. Il 20 settembre del 1378, a Fondi, i cardinali elessero come antipapa Clemente VII, il quale stabilì la propria sede ad Avignone, dando così inizio al Grande Scisma d’Occidente che sarebbe durato quaranta anni.

La figura di questa ragazza, sposa a soli 7 anni ed incoronata a soli diciassette anni regina di un’importante regno, nel corso dei secoli è stata vista in maniera controversa e considerata vittima o carnefice nelle tormentate lotte di potere del suo tempo. Giovanna, ebbe 4 mariti e innumerevoli amanti e di lei si dice che fosse bellissima, fu suo malgrado al centro di vari intrighi. Trascorsi 40 anni di regno, dopo un lungo assedio fu catturata dal figlioccio Carlo di Durazzo e imprigionata a Muro di Lucania morendo decapitata o strangolata nel 1384. Quando giunse questa tragica notizia, immenso fu il rammarico dei certosini, che vollero ricordare con speciali preghiere la sovrana loro protettrice.

Voglio ricordare questa discussa regina, come la definì Boccacciogloria non solo delle donne ma anche dei re

Dom Ludolfo sulla Vergine Maria

LUDOLFO SAXE

Cari amici, eccoci giunti al mese di maggio, notoriamente dedicato alla beata Vergine Maria. Ho scelto per voi, un testo di Dom Ludolfo di Sassonia, estratto dal suo celebre “Vita Christi”, è una originale considerazione sull’aspetto materno della Vergine.

La Madre

Mentre ella pregava e dolcemente piangeνa, ecco venire all’improvviso Gesù in bianchissime vesti, cinto dalla gloria e della novità della sua risurrezione, e sereno in volte, bello gioioso, lieto e contento farsi innanzi alla Madre desolata e addolorata. Alla vista del figlio ella si alza e in lacrime di gioia con tenerezza e ineffabile amore lo abbraccia. Ogni nube di mestizia si dilegua dalla sua fronte e vi brilla il sereno della più tersa letizia. Poi, sedendo entrambi, lo guardava e contemplava nel volto, nelle cicatrici delle piaghe, per tutto il corpo, scrutando diligentemente se ogni sofferenza fosse passata, se ogni dolore si fosse da lui allontanato.

Chi può immaginare la gioia della Madre nel vedere il Figlio risorto per sempre, non solamente perchè non deve mai più morire, ma perchè ormai è l’arbitro assoluto del cielo, della terra e di ogni creatura! Seduti l’uno accanto all’altra parlano gioiosamente insieme e celebrano in questo modo la loro Pasqua. O cara e dolcissima Pasqua che fu quella per Maria! Gesù le raccontò come avesse liberato il suo popolo dalle tenebre della morte e tutto ciò che aveva compiuto in quei tre giorni.

Di questa apparizione di Gesù a sua Madre, prima di tutti gli altri, non c’è alcun accenno nel Vangelo, ma io l’ho riferita e premessa a tutte le altre, perché oltre a trovarsi in un’antica leggenda della risurrezione, è anche una pia credenza. Infatti non era forse conveniente, degno e giusto che il Signore volendo mostrarsi risorto, visitasse prima di ogni altro sua Madre, e della sua risurrezione allietasse prima di tutti colei che lo amò più di tutti, ne pianse la morte più profondamente di tutti, ne desiderò con più fede e ardore di tutti la risurrezione? Non era giusto che colei che aveva condiviso più di tutti i dolori del Crocifisso, fosse la prima a partecipare delle gioie del Risorto? S. Ambrogio afferma: «Maria vide la risurrezione del Signore; fu la prima a vedere e credette; vide anche Maria Maddalena quantunque essa fosse incerta».

(Vita Jesu Christi, parte II, c. LXX, n. 6, pp. 666-667)

Dialogo con San Bruno 40

6 dialogo

Continuano le domande del certosino a San Bruno su temi escatologici. Meditiamo sulle risposte.

CG – Perché “essere una vittima vivente” ci costa così tanto, pur sapendo che ciò è necessario per la nostra stessa fecondità?

SB – Perché costa? Semplicemente, perché è costato anche a Gesù. Questa consiste nel compimento della nostra Pasqua, nel nostro “passaggio”, nella nostra totale dedizione a Dio nello spogliamento del deserto e nel distacco assoluto da noi stessi.

L’intimità con Dio è un bene superiore, che si paga caro. Sperimentiamo un’intimità con Lui che è dolcezza, amore, ma dobbiamo pagarla: l’unione con Dio ci rende partecipi della Croce, del sacrificio di vittimismo di Gesù.

Dobbiamo vivere nell’intimità con Dio, ma portando anche un po’ il peso della croce, il peso dei peccati del mondo, lil peso della sua condanna: «non muoia, ma abbia la vita in abbondanza”.

Non ritenere quindi strano se senti dentro di te una sorta di agonia, quando devi rinunciare a tutto e perfino rinunciare alla sicurezza che ti danno i mezzi da te scelti o inventati. Nel deserto dell’esodo non possiamo scegliere nuove strade; Dobbiamo accogliere le vie aperte e indicate da Dio.

Ciò, ovviamente, richiederà da parte tua un incessante atteggiamento di fiducia; ma da una fiducia che scaturisce non da te stesso, dalle tue forze, dai tuoi mezzi, ma dalla forza di Dio, che ami e che cerchi attraverso i cammini della conversione, il tuo passaggio, della tua “Pasqua al Padre”.

Inoltre, con questa fiducia, illuminata dalla fede e sorretta dall’ancora della speranza, sentirai la violenza che sperimenta il cuore quando deve effettuare la consegna di sé stesso, senza riserve, a Dio, per rispondere al tuo amore infinito.

CG – Da dove viene tutto questo?

SB – Sono i misteri del cuore umano, le tendenze naturali, le forze create dalle nostre precedenti esperienze terrene che si fanno sentire, anche quando ci orientiamo verso Dio.

Devi superare queste forze opposte e superare le tue paure, padroneggiare queste difficoltà e rinunciare alle tue astuzie, confidare pienamente nel dono di Dio.

E tu lo sai bene: Dio non si consegna completamente se tu ti doni a gocce. La pienezza del suo amore esige la pienezza del tuo. “L’amore si ripaga con l’amore”…

Entra dunque in quella strada e lì compi la tua oblazione, la donazione del tuo amore. Sarà questa la testimonianza più grande della vostra fedeltà a Colui “che vi ha chiamato nell’amore”, a Colui “che vi ha amato e ha dato se stesso per voi”, a Colui che “vi ama di un amore eterno e che vi porta a Lui stesso nella misericordia» (Ger 31,3).

Sai qual è il massimo della felicità in questo e nel tuo mondo? Vediamo che non siamo un prodotto accidentale e senza senso, ma sperimentiamo che ciascuno di noi è voluto, amato e “necessario” per amore di Dio. E non c’è niente di più bello o di più sorprendente che essere innamorati di Cristo. Sì, non c’è niente di più bello che conoscerlo e comunicare agli altri il nostro amore, la nostra amicizia con Lui.

“The House at the end of the World”

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Cari amici sono trascorsi ormai quattro anni da quando vi annunciai che la tv nazionale della Corea del Sud, KBS, aveva mandato in onda un documentario dal titolo “La casa alla fine del Mondo”.

Un dettagliato ed interessantissimo reportage sulla certosa “Nostra Signora di Corea“, i cui testi e dialoghi erano in lingua coreana, pertanto da questo blog feci un’appello a tutti coloro erano intenzionati ad aiutarmi nella traduzione. Ebbene con immensa gioia riuscii ad ottenere il prezioso contributo da diversi amici di Cartusialover, i quali mi inviarono le traduzioni e mi consentirono di proporvi i testi tradotti in inglese, portoghese, francese, spagnolo. Essendo un documento video prezioso, lo inserìì, nella versione integrale, nella slide di sinistra della home page del blog, affinchè tutti potessero facilmente vederlo. Oggi a distanza di quattro anni ho il piacere di proporvelo con i sottotitoli in inglese, per una visione ancora più gradevole ed immersiva.

Il film è stato suddiviso in tre parti. Buona visione a tutti!

The House at the end of the World, The Carthusian Cloistered Monastery Part 1

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The House at the end of the World, The Carthusian Cloistered Monastery Part 2

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The House at the end of the World, The Carthusian Cloistered Monastery Part 3

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La certosa ed il tesoro di Venezia

mappa

In questo articolo, cari lettori, torno a parlarvi della poco nota certosa di Venezia. Nel 2014, vi informai su gli ingenti lavori di restauro che interessarono le poche tracce del complesso certosino, soppresso da Napoleone nel 1810. Ebbene oggi voglio parlarvi della leggenda che aleggia intorno ai resti di questa certosa. Quando Bonaparte con le sue truppe occupò la città lagunare, iniziò a depredarla, questo saccheggio non risparmiò la certosa, che spoliata delle opere d’arte poco tempo dopo fu soppressa, e la sua comunità costretta ad allontanarsi e rifugiarsi alla certosa di Montello.

Ma ora veniamo alla leggenda ed al tesoro…

Nel 1797 le truppe di Napoleone conquistarono Venezia, ponendo fine a una storia lunga undici secoli durante i quali la Serenissima fu una delle potenze più ricche e longeve della storia d’Europa e il cui impero commerciale dominò il Mediterraneo. Fu la prima volta nella sua lunga storia che Venezia cadde in mani nemiche e subì un saccheggio di proporzioni colossali. La leggenda vuole che in questo drammatico marasma, mentre i francesi usavano le fonderie della Zecca per sciogliere i reliquiari ed i preziosi dei tanti monasteri della città, il cosiddetto “Savio Cassier’, (colui che custodiva il pubblico denaro) ed i suoi collaboratori furono costretti a prendere una decisione per il bene comune. Si narra che costoro possedevano, nel chiostro piccolo della certosa, dei loculi che sarebbero dovuti servire per conservare le proprie spoglie mortali in questo luogo sacro di cui loro erano benefattori. Decisero quindi di occultare l’oro della Zecca di Stato in questi nicchie, con l’intento di mettere in salvo le ingenti risorse auree per sottrarle all’invasore e poterle recuperare in seguito. Questi fatti che vi ho descritto, sembrano sospesi tra leggenda e realtà, difatti ancora oggi c’è chi sostiene che il tesoro di Venezia sia ancora sepolto nell’isola della certosa.

O più verosimilmente, i nobiluomini, “savi della Serenissima”, nella disperazione di quel momento potrebbero essersi spartiti quelle ingenti ricchezze.

Sta di fatto, che di quel tesoro non si ha avuto più notizia, e nessun documento ne fa riferimento. Del resto l’ignoto e la fantasia popolare, sono tipici elementi che alimentano ogni leggenda. A Venezia questa antica leggenda è ancora viva!

A seguire un breve video che ci mostra l’isola ed i pochi resti del complesso certosino.

Dialogo con San Bruno 39

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Ancora domande e risposte edificanti tra il certosino e San Bruno

CGCercare la propria morte non è masochismo?

SB – Non si tratta di cercare la propria morte o aspettarla con rassegnazione, una volta accettata l’inesorabilità del suo arrivo. Si tratta, piuttosto, di impegnarti a vivere la tua vita con Cristo, la tua sequela, la tua condizione di “vittima viva, gradita a Dio”, con tutto il tuo amore, senza calcoli, fino alla fine, fin dove Egli vuole portarti. Si tratta di ammettere e accettare le “vie di Gesù” che, come è successo a Pietro, possono portarti “dove non vuoi”, cioè al sacrificio, alla sofferenza… Ma non dimenticare: tutto questo segue la risurrezione e la vita eterna.

CG – Padre, puoi dirmi come dovrebbe essere la nostra “passione” per Gesù, come “centro” della nostra vita?

SB – Questa “passione” ha lo scopo di offrire la nostra esistenza alla ricerca emotiva di Dio e ad amarlo cercando di incontrarlo. E, come puoi intuire, è una tendenza verso il più grande e il più sublime, che riempie di entusiasmo nel viverlo, anche nelle situazioni più semplici e quotidiane.

CG – Nell’Apocalisse Gesù riceve il nome di “Testimone Fedele”. Ha a che fare questo con la testimonianza che dobbiamo dare nella nostra vita consacrata?

SB – Direi di sì. Tutto ciò che appartiene a Gesù ci appartiene “per diritto naturale”; Voglio dire, ci appartiene perché Lui è il nostro Capo. Dobbiamo partecipare anche al suo titolo di “Testimone fedele”.

Gesù è il “Testimone fedele” perché ci ha trasmesso tutto ciò che ha visto e ha compiuto in nostro favore: l’Opera che il Padre gli aveva affidato; e questo lo fece a costo della sua vita.

Essere martire significa anche testimoniare. Quindi, se la vostra vita consacrata ha, come abbiamo detto, un elemento o un aspetto “martiriale”, ciò significa che dovete essere anche voi, con Gesù, “Testimone fedele”.

Inoltre, quanto maggiore sarà la fedeltà e la veridicità della tua testimonianza, tanto maggiore sarà la tua santità e la fecondità della tua vita.

Infatti, sempre secondo l’Apocalisse, la santità è la testimonianza che avviene attraverso la partecipazione al Mistero di Cristo. E non c’è santità che non sia partecipazione ed esperienza effettiva di questo Mistero

CG – Cosa intendi con questo?

SB – Nello specifico, che la santità è Gesù e che i santi sono coloro che hanno vissuto Gesù, cioè coloro che hanno vissuto la sua vita, morte e risurrezione; che si sono identificati con Lui “nella vita e nella morte”.

Crede a quello che ti dico, il monaco che non è un vero testimone di Gesù non vale niente. La santità non è data dal nome che hai, né dal luogo in cui vivi, né dal posto che occupi nella Chiesa, né dal ruolo che ricopri in essa. La santità dipende solo dal grado di carità vissuta con Cristo. Un laico che accoglie generosamente la carità divina nel suo cuore e nella sua vita è più santo di un monaco, sacerdote o vescovo che l’accoglie e vive in modo mediocre.