Prosegue l’intervista del nostro certosino al nostro amato San Bruno
CG – Al nostro egoismo e alla nostra codardia, tale radicalità assoluta sembra molto difficile, non importa quanto ne riconosciamo la necessità.
SB – Né Dio né io ti nascondiamo questa difficoltà. Ma credo che se prendi in considerazione queste parole di Osea come ti sono state dette, questo ti aiuterà; parole che, infatti, trovi citate, in parte, negli Statuti: «Così la sedurrò: la condurrò nel deserto, per parlare al suo cuore. (…) Allora ti fidanzerò per sempre; Ti sposerò secondo giustizia e diritto, con amore e misericordia. Ti sposerò fedelmente e conoscerai il Signore. [E dirai:] ‘Tu sei il mio Dio’”. (Os 2,16 ss). Questi sono i piani di Dio per te; ed il suo compimento è il supremo desiderio del mio cuore paterno e l’oggetto primario delle mie suppliche per voi. Non ti nascondo che questa è la gioia più grande che puoi darmi ora, quando le cose di Dio sono meglio comprese.
Infatti sulla terra anche questo è stato per me motivo di gioia. Ricordo, a proposito, quanto era grande la gioia del mio cuore quando scrivevo ai primi figli della Certosa e come rendevo grazie a Dio quando contemplavo in loro l’accoglienza fedele che avevano riservato alla chiamata divina e quando vedevo le ineffabili meraviglie che la Bontà del Signore operava su di loro. Per questo disse loro: “Rallegratevi, cari fratelli, della sorte che vi è toccata e dell’ampiezza della grazia di Dio su di voi”.
Quando li ho visti, per la loro generosità e fedeltà, nella “pace e tranquillità del rifugio del porto nascosto”, il minimo che ho potuto fare è stato rallegrarmi nel Signore, considerando questo dono puramente gratuito del Signore, donato a loro «perché è stato loro concesso dall’alto»; sapendo che molti altri, nonostante lo volessero, non ci erano riusciti.
Ai miei tempi si parlava molto, e non meno si scriveva, del Dio desiderans e del Dio desideratus, cioè del Dio che desidera, che cerca l’uomo, e del Dio desiderato, del Dio cercato dall’uomo.
La vocazione monastica era considerata come una chiamata, un desiderio peculiare di Dio nei confronti dell’uomo e come una ricerca, un desiderio supremo dell’uomo nei confronti del suo Dio.
La realizzazione di questa vocazione è stata la convergenza, la soddisfazione di questa sete di Dio di donarsi e di unirsi all’uomo per amore e della sete dell’uomo per questo desiderio infinito che sente nel cuore di accogliere e possedere Dio.
Dio perseguita l’uomo perché lo ama; e l’uomo cerca Dio perché ha bisogno di Lui, perché è stato creato per Lui.
Come puoi vedere, una vocazione d’amore, che può essere vissuta solo nell’amore; in quell’amore che porta al vittimismo di cui abbiamo già parlato.
Ecco perché non pochi autori del mio tempo amavano considerare i tre voti monastici come altrettanti chiodi che fissano il monaco alla Croce di Gesù, affinché sia, su di essa e con Lui, “vittima viva, gradita a Dio”.
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