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“Aperta sull’infinito” di Dom Louis Marie Baudin

Dipinto proveniente dalla certosa di Moulins e attribuito a Gilbert I Sève_jpg.jpg

Oggi ecco per voi un testo di Dom Louis Marie Baudin, della cui devozione alla Vergine vi ho già narrato da questo blog. Il testo che segue, è un’altra testimonianza dell’impegno di questo certosino nella diffusione della devozione mariana.

Aperta sull’infinito

Il primo movimento del Cuore di Maria si porta verso Dio; esso aspira all’Infinito, suo centro e suo fine. Il Cuore della Vergine non ha conosciuto né esitazioni né lotte né ritorni, dal primo istante della sua esistenza ella ha visto che Dio era tutto e l’ha scelto come suo unico bene: «Ho posto le radici… nella porzione del Signore (Sir 24, 12). Il suo Cuore ha avuto sete di questo Bene al di sopra di qualsiasi altro bene e ha aspirato a possederlo con tutta la violenza dei suoi desideri, ha voluto fin da quaggiù la più intima unione con lui, che l’amore possa desiderare: «Mi baci con i baci della sua boccal (Ct 1, 2). Il bacio divino che ha risposto a tale invito è l’incarnazione. Aprendosi all’ Infinito, che era l’unico che la poteva riempire, ella lo attira anche come salvezza del mondo, come fine ultimo dell’umanità. Il suo Cuore era tutto di fiamme per gli interessi di coloro che avrebbe dovuto generare spiritualmente sul Calvario era un fuoco dove i poveri figli di Adamo si trovavano riscaldati, nell’attesa degli ardori del Cuore infiammato di Gesù.

Venne infine l’ora benedetta nella quale il Verbo eterno, obbedendo alla parola di colei che doveva esercitare su di lui l’autorità di Madre, discese nel suo grembo per gustarvi i frutti deliziosi della sua carità e riposarvisi in mezzo ai gigli, prima di correre ad inseguire le sue creature smarrite. Venga il mio diletto-sospirava la Vergine umile – nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti; e l’Amato rispondeva con la voce del arcangelo: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia (Ct 4, 16e 5, 2). (…) Ma Maria non si è chiusa in se stessa. Come Gesù ella è il dono di Dio alla terra; la sua azione è universale.

(Meditations cartusienne tomo 2 pp. 286-287)

Dialogo con San Bruno 42

6 dialogo

Ancora domande e risposte per comprendere la vita certosina.

CG – Davvero, Padre, non possiamo dubitare della grandezza del dono che la chiamata a vivere per Dio, in Cristo, e diventare vittime con Lui, presuppone.

SB – E il modo migliore per rispondere a un dono è utilizzarlo secondo i desideri del donatore. Questa volontà ti è espressa chiaramente nelle parole del profeta Osea, che ti ho ricordato, e in ciò che gli Statuti ti dicono riguardo a questo dettaglio. Perciò non ti resta che vivere questo dono di Dio, questo dono pasquale che ti trasporta dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dall’odio per il peccato alla tenerezza incomparabile dell’amore di Dio.

E credici: nonostante il suo realismo, il suo idillio coniugale, le parole di Osea sono pura ombra della dolcezza, della delicatezza, della tenerezza fedele e paterna di questo amore di Dio. Solo qui, godendo della Sua compagnia e visione, comprendiamo perfettamente la Sua grandezza e bontà. Solo qui ci rendiamo conto esattamente che vale la pena lasciare tutto e soffrire tutto nel mondo, nella speranza di aumentare i gradi di quell’amore. Infatti, non si tratta solo di riuscire ad amare di più Dio attraverso l’eternità. Se vedessi quanta e quale gioia gode Dio nell’amore dei suoi figli!

CG – Padre, potresti aiutarmi a capire il senso di questo dono pasquale, del nostro esodo, al quale Dio ci chiama “ad unirci a Lui per amore”?

SB – Il cammino dell’“Esodo” è stato per Israele un’uscita, un passaggio e un tempo per le sue “nozze” con Yahweh. Così accade anche a noi qualcosa di simile: è tempo di uscire dalle vanità dell’Egitto del mondo, per prepararci all’appartenenza totale a Dio.

L’ideale solitario e contemplativo della tua vocazione è un dono e un proposito pasquale perché richiede di lasciare tutto ed entrare nel deserto di un esodo, dov’è necessario rinunciare a tutto, compresi i desideri di quelle cose che in altri tempi ci davano gioia, per restare soli con Dio e accontentarsi di Lui è un cammino mosso da slanci di amore nuovo e da cammini di umiltà e di mitezza. Questo è il messaggio che il profeta Michea ti trasmette settimana dopo settimana, nell’ora della Tercia: «Ti è stato rivelato, o uomo, ciò che è bene, ciò che il Signore richiede da te: niente altro che fare giustizia, ama la fedeltà e cammina umilmente davanti al tuo Dio” (Mic 6,8).

Chiamo “dono e passaggio pasquale” questo ingresso nel deserto perché implica una conversione del cuore, un’obbedienza alla chiamata di Dio, una fiducia assoluta in Lui, che con amore e libertà Egli ci seduce e ci guida verso la solitudine per stabilirci nella pace del suo amore, per parlare ai nostri cuori, per sposarci per sempre a Lui nella santità, misericordia e fedeltà della sua bontà.

La grande gioia che ho espresso nella mia Lettera ai Fratelli della prima Certosa è stato, proprio, proprio perché ho visto realizzato in loro questo dono pasquale: ho contemplato la tenerezza dell’amore di Dio riversato nelle loro anime e ho conosciuto i frutti che la grazia produce in loro, quando con fede si lasciano portare la forza dell’amore e della fiducia.

Abbandonarono tutto, ma guadagnarono, a quel prezzo, il raggiungimento del più alto dei desideri: Dio.

Perciò, figlio, se vuoi sperimentare il dono di te stesso, accetta il dono di Dio, questa suprema manifestazione del suo amore, ottenuto in Cristo. Fissa il tuo sguardo su questo Cristo, che è la tua “Guida” attraverso il deserto; segui le loro orme; vivi per Lui, secondo il Suo disegno; accogli la tua tenerezza; e, con la forza del suo amore, supera le forze opposte che cercano di separarti da Lui e dal tuo scopo.

Una lettera di Niccolò Albergati al popolo bolognese

2-B.-Nicolò-Albergati

Cari amici, oggi 10 maggio si celebra la memoria del beato Niccolò Albergati, insigne figura dell’ordine certosino e della Chiesa. In questa ricorrenza ho scelto per voi una lettera scritta di suo pugno, ed indirizzata al “popolo bolognese” che lo acclamava per la nomina di Vescovo della città di Bologna.

“Lettera al popolo bolognese” del beato Nicolò Albergati, vescovo

(dalle Efemeridi dell’Ordine Certosino, a cura dí D. Leone Levasseur, I1, p. 19).

Il Beato rifiuta umilmente la dignità episcopale propostagli dalla comunità bolognese

“Non c’è bisogno o miei concittadini di questo nuovo attestato della vostra benevolenza verso di me, e non penso di esser tenuto a ringraziarvi a meno che — lo dirò liberamente — io non abbia a ringraziarvi per avermi sottratto la pace e la tranquillità dello spirito, a me tanto cara. Vi sono grato per la benevolenza, ma lo sarei molto di più se voi aveste desiderato per me quel bene, cui da tempo Dio mi ha legato, di vivere sulla terra, non solo come ospite e pellegrino, ma pure esule.

Non vogliate credere ad ogni ispirazione (1 Gv 4, 1): che direste se venisse dallo spirito maligno, quella che giudicate di ispirazione divina? Non conoscete le arti del nemico ingannatore, use a nascondersi specialmente dietro la maschera dell’onestà e della religione?

Sappiate, figlioli, che le voci del popolo non sono senz’altro le voci di Dio. Non continuate ad ingannare voi stessi e me. E macabro voler dissotterrare, perché vi governi, un cadavere sepolto da ventidue anni. Non turbate la pace di un morto: vi sarà più utile nel suo sepolcro che fra i vivi, e impetrerà per voi il santo timor di Dio, in cui consiste la vera vita.

Forse ignorate che cosa significhi morire vivendo ed essere sepolto insieme con Cristo (Rom 6, 4). E tuttavia un errore reclamare un monaco, uno che non appartiene più alla città, ma è fuggito dal mondo e si è dato alla solitudine. Che un simile uomo non debba essere posto a capo della città, imparatelo dai vostri avi. Essi videro san Petronio venire al governo non da un eremo, ma dallo splendore della corte imperiale. Non sono amante di me a tal punto da non sentirmi anch’io figlio della mia patria, debitore della mia patria, ad essa legato da affetto congenito. Ma ci sono dei limiti che non è lecito varcare. Colui per il quale le tenebre sono luminose, sa bene se, sulla nave agitata da tanti pericoli, io noncurante dorma il sonno di Giona, o se con gli Apostoli io gridi: «Signore, salvaci: siamo perduti» (Mt 8, 25).

Andate, in nome di Dio, andate con Dio, carissimi, e cercate un pastore più adatto a voi. Lasciate stare questo Certosino inesperto: lasciatelo quieto fra i silenzi cui si è votato: e siate certi che ciò sarà sommamente caro a Dio”.

Nonostante questa accorato appello, Niccolò Albergati fu eletto vescovo della sua città natale il 4 luglio 1417.

Preghiera:

Concedici, o Signore, quella semplicità di

Vita, che ha permesso al beato Niccolò di rimanere

fedele alla sua vocazione di certosino tra le tante

mansioni del suo ministero.

Dialogo con San Bruno 41

6 dialogo

 

Prosegue l’intervista del nostro certosino al nostro amato San Bruno

CG – Al nostro egoismo e alla nostra codardia, tale radicalità assoluta sembra molto difficile, non importa quanto ne riconosciamo la necessità.

SB – Né Dio né io ti nascondiamo questa difficoltà. Ma credo che se prendi in considerazione queste parole di Osea come ti sono state dette, questo ti aiuterà; parole che, infatti, trovi citate, in parte, negli Statuti: «Così la sedurrò: la condurrò nel deserto, per parlare al suo cuore. (…) Allora ti fidanzerò per sempre; Ti sposerò secondo giustizia e diritto, con amore e misericordia. Ti sposerò fedelmente e conoscerai il Signore. [E dirai:] ‘Tu sei il mio Dio’”. (Os 2,16 ss). Questi sono i piani di Dio per te; ed il suo compimento è il supremo desiderio del mio cuore paterno e l’oggetto primario delle mie suppliche per voi. Non ti nascondo che questa è la gioia più grande che puoi darmi ora, quando le cose di Dio sono meglio comprese.

Infatti sulla terra anche questo è stato per me motivo di gioia. Ricordo, a proposito, quanto era grande la gioia del mio cuore quando scrivevo ai primi figli della Certosa e come rendevo grazie a Dio quando contemplavo in loro l’accoglienza fedele che avevano riservato alla chiamata divina e quando vedevo le ineffabili meraviglie che la Bontà del Signore operava su di loro. Per questo disse loro: “Rallegratevi, cari fratelli, della sorte che vi è toccata e dell’ampiezza della grazia di Dio su di voi”.

Quando li ho visti, per la loro generosità e fedeltà, nella “pace e tranquillità del rifugio del porto nascosto”, il minimo che ho potuto fare è stato rallegrarmi nel Signore, considerando questo dono puramente gratuito del Signore, donato a loro «perché è stato loro concesso dall’alto»; sapendo che molti altri, nonostante lo volessero, non ci erano riusciti.

Ai miei tempi si parlava molto, e non meno si scriveva, del Dio desiderans e del Dio desideratus, cioè del Dio che desidera, che cerca l’uomo, e del Dio desiderato, del Dio cercato dall’uomo.

La vocazione monastica era considerata come una chiamata, un desiderio peculiare di Dio nei confronti dell’uomo e come una ricerca, un desiderio supremo dell’uomo nei confronti del suo Dio.

La realizzazione di questa vocazione è stata la convergenza, la soddisfazione di questa sete di Dio di donarsi e di unirsi all’uomo per amore e della sete dell’uomo per questo desiderio infinito che sente nel cuore di accogliere e possedere Dio.

Dio perseguita l’uomo perché lo ama; e l’uomo cerca Dio perché ha bisogno di Lui, perché è stato creato per Lui.

Come puoi vedere, una vocazione d’amore, che può essere vissuta solo nell’amore; in quell’amore che porta al vittimismo di cui abbiamo già parlato.

Ecco perché non pochi autori del mio tempo amavano considerare i tre voti monastici come altrettanti chiodi che fissano il monaco alla Croce di Gesù, affinché sia, su di essa e con Lui, “vittima viva, gradita a Dio”.

Dialogo con San Bruno 40

6 dialogo

Continuano le domande del certosino a San Bruno su temi escatologici. Meditiamo sulle risposte.

CG – Perché “essere una vittima vivente” ci costa così tanto, pur sapendo che ciò è necessario per la nostra stessa fecondità?

SB – Perché costa? Semplicemente, perché è costato anche a Gesù. Questa consiste nel compimento della nostra Pasqua, nel nostro “passaggio”, nella nostra totale dedizione a Dio nello spogliamento del deserto e nel distacco assoluto da noi stessi.

L’intimità con Dio è un bene superiore, che si paga caro. Sperimentiamo un’intimità con Lui che è dolcezza, amore, ma dobbiamo pagarla: l’unione con Dio ci rende partecipi della Croce, del sacrificio di vittimismo di Gesù.

Dobbiamo vivere nell’intimità con Dio, ma portando anche un po’ il peso della croce, il peso dei peccati del mondo, lil peso della sua condanna: «non muoia, ma abbia la vita in abbondanza”.

Non ritenere quindi strano se senti dentro di te una sorta di agonia, quando devi rinunciare a tutto e perfino rinunciare alla sicurezza che ti danno i mezzi da te scelti o inventati. Nel deserto dell’esodo non possiamo scegliere nuove strade; Dobbiamo accogliere le vie aperte e indicate da Dio.

Ciò, ovviamente, richiederà da parte tua un incessante atteggiamento di fiducia; ma da una fiducia che scaturisce non da te stesso, dalle tue forze, dai tuoi mezzi, ma dalla forza di Dio, che ami e che cerchi attraverso i cammini della conversione, il tuo passaggio, della tua “Pasqua al Padre”.

Inoltre, con questa fiducia, illuminata dalla fede e sorretta dall’ancora della speranza, sentirai la violenza che sperimenta il cuore quando deve effettuare la consegna di sé stesso, senza riserve, a Dio, per rispondere al tuo amore infinito.

CG – Da dove viene tutto questo?

SB – Sono i misteri del cuore umano, le tendenze naturali, le forze create dalle nostre precedenti esperienze terrene che si fanno sentire, anche quando ci orientiamo verso Dio.

Devi superare queste forze opposte e superare le tue paure, padroneggiare queste difficoltà e rinunciare alle tue astuzie, confidare pienamente nel dono di Dio.

E tu lo sai bene: Dio non si consegna completamente se tu ti doni a gocce. La pienezza del suo amore esige la pienezza del tuo. “L’amore si ripaga con l’amore”…

Entra dunque in quella strada e lì compi la tua oblazione, la donazione del tuo amore. Sarà questa la testimonianza più grande della vostra fedeltà a Colui “che vi ha chiamato nell’amore”, a Colui “che vi ha amato e ha dato se stesso per voi”, a Colui che “vi ama di un amore eterno e che vi porta a Lui stesso nella misericordia» (Ger 31,3).

Sai qual è il massimo della felicità in questo e nel tuo mondo? Vediamo che non siamo un prodotto accidentale e senza senso, ma sperimentiamo che ciascuno di noi è voluto, amato e “necessario” per amore di Dio. E non c’è niente di più bello o di più sorprendente che essere innamorati di Cristo. Sì, non c’è niente di più bello che conoscerlo e comunicare agli altri il nostro amore, la nostra amicizia con Lui.

Dialogo con San Bruno 39

6 dialogo

Ancora domande e risposte edificanti tra il certosino e San Bruno

CGCercare la propria morte non è masochismo?

SB – Non si tratta di cercare la propria morte o aspettarla con rassegnazione, una volta accettata l’inesorabilità del suo arrivo. Si tratta, piuttosto, di impegnarti a vivere la tua vita con Cristo, la tua sequela, la tua condizione di “vittima viva, gradita a Dio”, con tutto il tuo amore, senza calcoli, fino alla fine, fin dove Egli vuole portarti. Si tratta di ammettere e accettare le “vie di Gesù” che, come è successo a Pietro, possono portarti “dove non vuoi”, cioè al sacrificio, alla sofferenza… Ma non dimenticare: tutto questo segue la risurrezione e la vita eterna.

CG – Padre, puoi dirmi come dovrebbe essere la nostra “passione” per Gesù, come “centro” della nostra vita?

SB – Questa “passione” ha lo scopo di offrire la nostra esistenza alla ricerca emotiva di Dio e ad amarlo cercando di incontrarlo. E, come puoi intuire, è una tendenza verso il più grande e il più sublime, che riempie di entusiasmo nel viverlo, anche nelle situazioni più semplici e quotidiane.

CG – Nell’Apocalisse Gesù riceve il nome di “Testimone Fedele”. Ha a che fare questo con la testimonianza che dobbiamo dare nella nostra vita consacrata?

SB – Direi di sì. Tutto ciò che appartiene a Gesù ci appartiene “per diritto naturale”; Voglio dire, ci appartiene perché Lui è il nostro Capo. Dobbiamo partecipare anche al suo titolo di “Testimone fedele”.

Gesù è il “Testimone fedele” perché ci ha trasmesso tutto ciò che ha visto e ha compiuto in nostro favore: l’Opera che il Padre gli aveva affidato; e questo lo fece a costo della sua vita.

Essere martire significa anche testimoniare. Quindi, se la vostra vita consacrata ha, come abbiamo detto, un elemento o un aspetto “martiriale”, ciò significa che dovete essere anche voi, con Gesù, “Testimone fedele”.

Inoltre, quanto maggiore sarà la fedeltà e la veridicità della tua testimonianza, tanto maggiore sarà la tua santità e la fecondità della tua vita.

Infatti, sempre secondo l’Apocalisse, la santità è la testimonianza che avviene attraverso la partecipazione al Mistero di Cristo. E non c’è santità che non sia partecipazione ed esperienza effettiva di questo Mistero

CG – Cosa intendi con questo?

SB – Nello specifico, che la santità è Gesù e che i santi sono coloro che hanno vissuto Gesù, cioè coloro che hanno vissuto la sua vita, morte e risurrezione; che si sono identificati con Lui “nella vita e nella morte”.

Crede a quello che ti dico, il monaco che non è un vero testimone di Gesù non vale niente. La santità non è data dal nome che hai, né dal luogo in cui vivi, né dal posto che occupi nella Chiesa, né dal ruolo che ricopri in essa. La santità dipende solo dal grado di carità vissuta con Cristo. Un laico che accoglie generosamente la carità divina nel suo cuore e nella sua vita è più santo di un monaco, sacerdote o vescovo che l’accoglie e vive in modo mediocre.

Dom Innocent Le Masson sulla Misericordia

Le Masson, Innocent

Cari lettori, oggi per voi ho scelto una preghiera di Dom Innocent Le Masson per esercitare la Misericordia di Dio verso il prossimo.

O Cuore di Gesù, Fonte viva di Misericordia, insegnami a riconoscere degnamente e ad imitare la Tua Misericordia”

“Considera, o anima mia, i sacri movimenti del Cuore di Gesù verso le anime convertite e penitenti che si avvicinavano a Lui. In che modo ha accolto santa Maddalena, Zaccheo, san Matteo e in genere tutti coloro che sono ricorsi a lui. Che amore, che rispetto, che fiducia non merita questo Sacro Cuore, che piange, che geme sulle miserie dei peccatori, che li abbraccia, che dimentica tutte le ingiurie commesse contro di Lui, che festeggia per aver ricondotto a Dio un’anima peccatrice. Dopodiché, cuore mio, oseresti comparire davanti al Sacro Cuore di Gesù, se nutrissi risentimenti o volontarie avversioni contro il tuo prossimo. Il Cuore di Gesù non merita che gli perdoni tutto per amor suo? O Sacro Cuore di Gesù, adoro con tutto il cuore i tuoi movimenti di gentilezza e di misericordia verso i peccatori, perché ho sperimentato i loro effetti in modo davvero singolare. La tua Bontà è talmente desiderosa di Misericordia che minaccia di non mostrare Misericordia a chi non la mostrerà. Ehi, quanta Misericordia posso esercitare verso il mio prossimo che può avvicinarsi a coloro che ho ricevuto, e che ricevo ogni giorno da Te. O Cuore di Gesù, Fonte viva di Misericordia, insegnami a riconoscere e imitare degnamente la Tua Misericordia. Viva il Cuore di Gesù, il Re dei cuori; e regni eternamente su tutti i cuori. O Sacro Cuore di Gesù, sii lodato e benedetto nei secoli, e permettimi di offrirti, come faccio al tuo Eterno Padre, come unico supplemento a tutta la nostra impotenza. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò sollievo».

Così sia.

Dialogo con San Bruno 38

6 dialogo

Prosegue il dialogo tra il certosino intervistatore e San Bruno.

CG – Fino a che punto può arrivare il mio impegno?

SB – Fino a dov’è arrivato l’impegno di Gesù. Tutta la tua vita vissuta come quella di Gesù, povero, vergine, obbediente al Padre, totalmente dedito a Lui, impegnato a compiere la volontà del Padre, fino alla morte, per redimere e santificare l’umanità.

Se questi aspetti non sono stati estranei o accidentali alla vita di Gesù o alla sua missione redentrice, non possono esserlo nemmeno alla tua, che è una vita corredentrice. Infatti sei chiamato a prolungare, a ravvivare nel mondo questi aspetti della vita di Gesù. Ed è così che puoi vivere il tuo modo di essere “vittima viva, gradita a Dio”, unita a Cristo.

Perché seguire Gesù non significa solo imitarlo per essere più perfetti, più santi. Seguire Gesù significa, soprattutto, una comunione illimitata di vita, di affetti e di destino, che, come dicevamo prima, comporta sacrificio e lì finisce.

Perciò, figlio, non commettere l’errore di limitare la tua sequela di Gesù a una mistica pacata, senza impegno e senza la preoccupazione di donare, ogni giorno un po’, la tua vita: “quotidie morior”. Con quella “mistica” si possono fare alcune cose, ma resta fuori la principale: l’offerta di sé, che è caratteristica dell’essere “vittima viva, gradita a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”.

Ricorda bene che Gesù ci ha detto: “Se qualcuno mi serve, seguimi e dove sono io, lì sarà anche il mio servo» (Gv 12.26). Egli attira la nostra attenzione sulla circostanza in cui pronunciò queste parole: prima della sua passione, quando era già arrivata “l’ora” di dare la vita per l’uomo. E come se l’invito non bastasse, aggiunge la parabola: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano gettato in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).

Solo donando la propria vita a Dio, e attraverso Lui agli altri, la vita può moltiplicarsi e comunicare. Dove sembra che ci sia stato un fallimento, potrebbe esserci vita nella germinazione fertile.

Con questo, ciò che Gesù ci chiede è di restare consapevolmente disponibili, disposti a essere “il chicco di grano”, quella “vittima viva”, che muore ogni giorno per donare un po’ di vita a ciascuno. Cadere a terra e morire è la condizione imposta al grano affinché germogli e diventi spiga. Che si lasci consumare interamente nel fuoco è condizione indispensabile perché vi sia un vero olocausto della vittima.

CG – Padre, cosa significa “seguire Gesù” ed “essere dove Lui è”?

SB – Seguire Gesù ed essere dove Lui è “dimorare nel suo amore” (Gv 15,9) e in comunione di sentimenti con Lui (cfr Fil 2,5). Per questo gli Statuti ti dicono che non puoi essere una “vittima viva, gradita a Dio” separata da Gesù, slegata dai suoi sentimenti.

Quando manca Gesù si perde il centro e la calamita che unisce i nostri cuori e le nostre azioni attorno a Lui. Siamo quindi come atomi isolati e dispersi per coloro che non fondono la carità mistica del cuore di Gesù. Allora il nostro egoismo e i nostri interessi personali ci disperdono, come prima ci univa lo stesso amore e la convergenza di tutti verso Lui. Si direbbe che una forza centrifuga e maligna ci divide e ci separa sia da Gesù che dai fratelli. Allora ci giriamo da soli e ci scontriamo come uccelli ciechi gli uni contro gli altri, oppure corriamo in direzioni opposte, non importa quanto tutti dicano di andare alla ricerca di Gesù.

Qui hai una conferma di quanto ti dicevo prima: la tua unione, la tua vita e permanenza in Gesù non è statica, ma dinamica, sotto l’influsso e il dinamismo e la guida dello Spirito Santo. Lo stesso Spirito che spinse Gesù ad andare nel deserto e a dare la sua vita «per riunire i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52), è colui che chiama e spinge i seguaci di Gesù ad un amore senza limiti, arrendersi senza condizioni, “all’estremo”; anche dare la vita, se necessario.

Distacco, fonte di serenità

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In questo testo Dom Augustin Guillerand, afferma che ci si avvicina alla serenità, come deve fare ogni asceta, parlandoci di distacco. Leggiamo e meditiamo!

Distacco

Il distacco è l’unico segreto della serenità vera e duratura. Risiedono nel distacco dalle realtà e dagli eventi effimeri che costituiscono il tessuto superficiale della nostra vita. Tutta questa superficie ci lascia vuoti e delusi quando non ci fa male. Abbiamo bisogno d’altro e istintivamente andiamo all’unica realtà duratura quaggiù che è il profondo della nostra anima. Portiamo dentro di noi, infatti, un germe primitivo da cui ha origine tutto il nostro essere e tutti i suoi sviluppi. Questo piccolo seme, alla sua radice iniziale, non cambia. È Lei che garantisce la sostenibilità del nostro essere attraverso il cambiamento incessante di ogni giorno e di ogni ora. È il dono continuo che Colui che è ci fa di Sé. Partecipa alla sua Immensità e alla sua Immutabilità. Quando ci distacchiamo da tutto ciò che passa e scendiamo in queste profondità, ci sentiamo fuori dall’effimero e dal nulla, e gustiamo una pace che è la Sua pace: “Vi do la mia pace”.

Ora Gesù ci ha insegnato che questo luogo intimo è il regno del Padre, che chi vi regna non è solo l’Essere che è ma l’Amore che si dona. È il suo luogo, il seno del Padre, “in sinu Patris”. È lì che ci chiama: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi darò sollievo”. Ti farò di nuovo. Lì, infatti, avviene una creazione continua. (…)

Troppo spesso immaginiamo che il distacco cristiano consista nel non amare nulla. Ciò è terribilmente impreciso. Non c’è mai stato un cuore più amorevole di quello di Gesù; e i nostri cuori devono essere modellati sul suo. Amare è il grande, e anche l’unico, comandamento. (…) Ma l’amore deve immolare tutto ciò che gli impedisce di donarsi. Questa immolazione è distacco. Il distacco è quindi il lato negativo dell’attaccamento o dell’amore. »

( Scritti spirituali, volume 2, pagina 209s)

Il grido, il giudizio e la croce.

1

Giunti al terzo giorno della settimana Santa, vi offro una descrizione di ciò che accadde, con le relative considerazioni di Dom Ludolfo di Sassonia. L’autore certosino, nel suo testo “La vita di Gesù Cristo“ analizza dettagliatamente i fatti accaduti.

Pilato disse loro beffardo: Devo crocifiggere il vostro re? La vergogna ricadrà su di te. Come a dire: perché temi che regni da re? Ora che se ne è parlato in lungo e in largo, non credi che il tuo re debba essere condannato, e ti vergognerai se muore di morte ignominiosa. Non commuovere la sua umiltà, ma il pensiero della tua vergogna se lo avessi fatto crocifiggere.

Ma si escludevano dalla libertà del regno di Dio e di Cristo, e scelsero il giogo del diavolo; si sottomisero alla schiavitù e alla tirannia perpetua, dicendo: Non abbiamo re all’infuori di Cesare (Giovanni 19:15). Da ciò ne consegue che da allora in poi si impegnarono alla costante sottomissione ai Romani e rinunciarono a qualsiasi altra regalità. Inoltre, mostrando l’ostinazione con cui volevano portare alla morte di Cristo, ammisero apertamente di volersi mettere in perenne schiavitù in vista della sua condanna. – Su questo Crisostomo osserva: “Hanno rigettato il regno di Dio e si sono consegnati all’Impero Romano; non rendendosi conto di ciò che avevano, ricevettero ciò che desideravano”.

Allo stesso modo gridano i nostri vescovi, ministri o pastori che abbandonano le loro congregazioni e interferiscono negli affari terreni del governo o del paese. In questo modo anche gli ebrei instillarono timore in Pilato. Secondo Agostino, Pilato si sarebbe apertamente rivoltato contro Cesare se, quando non si professavano re all’infuori di Cesare, avesse voluto fare re qualcun altro e lasciare impunito colui che gli avevano consegnato a morte perché aveva osato usurpare la regalità.

Ma presto Pilato fu sopraffatto dal suo timore e si allontanò dal sentiero della verità e della giustizia. Infatti, dopo che tutta la folla dei Giudei aveva gridato che Cristo fosse crocifisso, Pilato, il misero governatore, fu preso dal timore di Cesare. Per amore del popolo ebraico, sul quale era stato posto e dal quale sperava di raccogliere denaro, condannò a morte l’innocente con un verdetto crudele contro la sua convinzione e la sua coscienza; poiché sapeva che Cristo era innocente e non c’era bisogno della pena di morte. Così consegnò loro Gesù in una sentenza definitiva per essere crocifisso dal potere giudiziario del governatore (Giovanni 19:16).

Quando fu pronunciato il giudizio, il Signore fu ricondotto e spogliato della tunica color porpora con cui lo avevano vestito. E a coloro che stavano in piedi nudi di fronte a loro difficilmente era permesso indossare l’essenziale.

Anche qui guardate al Signore come prima nel considerare la flagellazione.

Infine gli rivestirono le sue stesse vesti (Mc 15,20), che gli avevano tolto, perché sulla via della morte fosse meglio riconosciuto nelle sue stesse vesti che in quelle di un altro. E quando fu vestito con le sue stesse vesti, lo portarono fuori il più presto possibile, perché la sua morte non fosse più rimandata.

Gli legarono una corda intorno alle mani e al collo, lo condannarono a morte e lo cacciarono dalla sua stessa città come un criminale.