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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 21)

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CAPITOLO 21

I malati

1 La malattia o la vecchiaia ci invitano a un nuovo atto di fede nel Padre, che attraverso queste prove ci rende più simili a Cristo. Siamo allora associati in modo speciale all’opera di redenzione, e la nostra unione con tutto il Corpo Mistico diventa più intima. (St 27.1)
2 La priora deve, in modo speciale, mostrare compassione piena di premura agli ammalati, alle sorelle anziane ed a coloro che sono nella prova. La stessa sollecitudine è raccomandata a tutti coloro che si prendono cura dei malati. Si procurerà loro caritatevolmente, secondo i mezzi della casa, tutto l’aiuto necessario o utile; anche i servizi più intimi che non sono in grado di rendere a se stessi saranno loro resi umilmente da altri, che si riterranno felici di aver ricevuto un tale ufficio. Le malattie nervose sono particolarmente pesanti da sopportare in solitudine: si cercherà ogni mezzo per sostenere coloro che ne soffrono, aiutandoli a comprendere che possono dare gloria a Dio, se dimenticano se stessi e guariscono con fiducia nella volontà di Colui che è il loro padre. (St 27.2)
3 Eppure, come dice san Benedetto, bisogna ricordare ai malati di stare molto attenti a non turbare le loro infermiere con richieste superflue o addirittura impossibili da soddisfare, o magari con mormorii. Né l’infermiera dovrebbe, con il pretesto della compassione, danneggiarli con sfrenata benevolenza. Il ricordo della vocazione che hanno abbracciato farà loro vedere che la differenza tra loro e gli uomini del mondo deve essere tanto grande nella malattia quanto nella salute. Dio non voglia che la malattia sia un’opportunità per loro di ritirarsi in se stessi, e che invano Dio sia venuto a visitarli. (St 27.3)
4 Sta dunque al malato meditare sulle sofferenze di Cristo, agli infermieri, ai suoi gesti di misericordia. Il primo sarà più forte nella prova, il secondo più disposto ad aiutare. Se tutti ricordano che è per amore di Cristo, alcuni che sono serviti, altri che servono, non ci sarà né arroganza da una parte, né negligenza dall’altra; ma ciascuno attenderà dallo stesso Signore la ricompensa del dovere compiuto, qui con la sofferenza, là con la compassione. (St 27.4)

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5 Come poveri di Cristo, ci accontentiamo del medico ordinario della casa, o, se necessario, di uno specialista della zona. Se una suora ha bisogno di consultare uno specialista oltre al medico abituale, la priora può permetterle di recarsi in uno dei paesi vicini designati dai Visitatori con l’approvazione del Capitolo Generale o del Reverendo Padre; ma deve tornare lo stesso giorno. Se il medico ritiene necessario il ricovero immediato, senza avere il tempo di chiedere il permesso al Reverendo Padre, ne sarà informato. Quando il medico visita un paziente, di solito rimane da solo per il consulto; può tuttavia richiedere la presenza della priora o di un’altra suora. (St 27,5)
6 I nostri pazienti, condannati alla solitudine, ricevono il più possibile le cure di cui hanno bisogno in cella. Se capita che certi medici, in modo sconsiderato, incoraggino uscite o indichino trattamenti contrari al nostro scopo, non dovremmo tenerne conto: noi soli, infatti, risponderemo davanti a Dio dei nostri desideri. Guardiamoci anche dall’abusare dei rimedi, a danno della perfezione, della nostra stessa salute e del bilancio familiare. (St 27.6)

7 In tutte queste occasioni, affidiamoci docilmente alla volontà di Dio, e non dimentichiamo che la prova della malattia ci prepara alle gioie dell’eternità. Diciamo allora con il salmista: mi sono rallegrato quando mi è stato detto: andremo alla casa del Signore. (St 27.7)

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