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La morte d’amore

Ed eccoci giunti miei cari amici lettori al termine di questo mese di giugno, nel quale vi ho offerto diversi testi di autori certosini sui quali abbiamo meditato la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Oggi per concludere, vi propongo un testo di Dom Giovanni Battista Simoni estratto da un libro che scrisse e pubblicò nel 1924, esso rimane quello maggiormente conosciuto e diffuso: “Manete in dilectione mea”. Il contenuto dello scritto l’ho trovato davvero delizioso per una profonda riflessione.

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Amare il Cuore di Gesù significa saper soffrire molto, sempre, da soli, in silenzio, col sorriso sulle labbra, sotto lo sguardo di lui che scruta i cuori, nell’abbandono completo delle persone care, senza essere compresi, senza essere compianti e consolati; saper nascondere come un tesoro inestimabile, in fondo all’anima trafitta e dolorante, in mezzo al cuore coronato di spine il sacro “mistero della croce”.

Amarlo vuol dire dimenticare noi stessi e le nostre miserie per ricordarci solo di lui, che è la risurrezione e la vita, gettare in quel Cuore adorabile ogni ansiosa sollecitudine di progresso spirituale, e quando pure ci vedessimo caduti per la centesima volta nelle stesse imperfezioni, rialzarci sempre con prontezza con umiltà e con pace, confidando nel perenne miracolo della sua grazia onnipotente, riposandoci nella dolcezza infinita d perdono di Dio.

Amare il Cuore di Gesù significa venerare nei sofferenti le stimmate gloriose del Crocefisso, e circondare d tenero affetto le loro membra livide e straziate, nelle quali egli rinnova ogni giorno e perpetua nei secoli il poema ineffable della sua Passione.

Amarlo significa soffrire con lui per le sue pene, e riparare in modo affettivo ed effettivo, pratico, efficace, infaticabile, generoso, intelligente, per i delitti enormi coi quali i suoi nemici profanano la sua Persona, conculcano il suo onore, avviliscono nel fango la sua dignità, insultano chi lo rappresenta, e contemporaneamente espiare per le colpe – materialmente forse meno gravi, ma formalmente più ingiuriose – di quanti dovrebbero per professione e per libera scelta essere i suoi amici, e invece.. “di nuovo crocifiggono…”(Eb 6, 6).

Amare il Cuore di Gesù significa favorire ed aiutare «con la santità e la sincerità che vengono da Dio» (2Cor 1, 12) chiunque fatica per la sua gloria, rinunziando senza rammarico, per il bene comune, a pretesi diritti di precedenza o a brevetti di invenzione, coprendo col manto della carità debolezze e miserie, dimenticando nel silenzio e nel perdono parole amare gesti poco cortesi, evitando con cura puntigli d’onore, meschine gelosie e rivalità, che compromettono tanto spesso la dignità la riuscita del ministero.

Amarlo vuol dire compiere con fede e con sollecitudine il nostro dovere oscuro, nell’uniformità di una esistenza monotona e nascosta, senza pretendere approvazioni, senza denigrare chi emerge, senza intralciare, con mal celata invidia, le iniziative altrui senza esultare per il loro insuccesso, senza calpestare chi è caduto senza negare il merito o calunniare le intenzioni, in una parola senza impedire o condannare il bene, per il solo fatto che non porta la nostra marca di fabbrica: «Purché in ogni maniera.. Cristo venga annunziato» (Fil 1, 18).

Amare il Cuore di Gesù significa saperci contentare del necessario nelle cose materiali, e cedere lietamente il superfluo alle opere della Chiesa, al seminari, al monasteri poveri, alle missioni, alla sua università, a chiunque conosce la fame, il dolore, le strettezze, l’infermità, “le persecuzioni per la giustizia”(Mt. 5,10).

Amarlo vuol dire cambiar l’oro, l’argento, le gemme del nostro scrigno in quelle opere di carità illuminata che non temono la ruggine né i ladri: “far si che le pietre diventino pane” (Mt. 4,3), e che i doni immeritati dalla Provvidenza si cambino in strumenti di misericordia.

Amare il Sacro Cuore significa «ricambiarlo con tutto l’amore che richiede da noi; amore forte, che non si lascia piegare, amore puro, che ama senza secondi fini e senza interesse, amore crocefisso, amore di preferenza, d’oblio, di abbandono, per lasciare che il Sacro Cuore agisca, tagli, bruci, annienti in noi quanto gli dispiace. Ed ecco perché è tanto necessario lasciarci condurre da lui, e lasciarlo lavorare in noi – tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno, tutti gli anni della vita – lasciarci inebriare dalla follia della croce, compiere i sacrifici più duri, non solo con fedeltà e sottomissione perfetta ai suoi disegni, ma anche con gioia sovrabbondante: «Perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9, 7); e sia quando dona sia quando riprende i suoi doni, benedirlo nei secoli.

Amare il Cuore di Gesù vuol dire amare con passione la sua santa Chiesa, fiore verginale germogliato dal suo sangue, con un’adesione sempre più completa ai suoi precetti, diventando ognuno di noi “obbediente fino alla morte” (Fil 2,8).

Amarlo significa condividere cordialmente le gioie e le sofferenze del sommo Pontefice – «il dolce Cristo in terra» (Caterina da Siena) – e seguire in tutto e sempre, con docilità e prontezza, i suoi comandi, le sue esortazioni, le sue raccomandazioni, l’espressione dei suoi desideri, sotto qualunque forma e per qualunque mezzo ci siano trasmessi: accettarli pienamente, anche quando fossero contrari ai nostri modi di vedere, alle nostre corte vedute, alle pretese sempre nuove del nostro interesse, ai vuoti sofismi dei quali è così fecondo l’amor proprio ferito. Essere devoti del Cuore di Gesù significa bruciare dal desiderio di farlo conoscere e di farlo amare, di estendere il suo regno, di glorificare il suo nome, di compiere la sua volontà sotto qualunque aspetto ci si manifesti; significa amare gli uomini che costano il suo sangue: amarli tutti, amarli sempre, con purezza e sincerità, nella continua immolazione, immolazione perpetua, totale dei nostri gusti, dei nostri ideali, del nostro benessere.

(Manete in dilectione mea, pp. 105-110)

La Grangia di Aversa

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Ritorno in questo articolo a parlarvi di una antica grangia certosina. Questa volta vi farò conoscere la Grangia di Aversa in provincia di Caserta appartenuta alla certosa di San Martino di Napoli. Come già vi ho esposto in altri articoli, il termine grangia etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi al loro interno la costruzione di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio). Ciò premesso, proviamo a localizzare ciò che resta di questo antico possedimento certosino. Si possono scorgere attualmente alte mura perimetrali di una imponente costruzione, nei pressi della chiesa di S. Antonio nei pressi di Corso Umberto. Questa grangia, fu la più importante dell’agro aversano a causa della sua importante ubicazione. Ma non solo una importanza agricola e commerciale, ma essa fu abbellita nella sua struttura architettonica da valenti artisti. Purtroppo oggi non vi sono tracce visibili dello splendore e dei pregevoli interventi architettonici, ma da antichi documenti, si evince che i certosini di San Martino nel 1638 commissionarono al celebre architetto bergamasco Cosimo Fanzago la realizzazione di una cappella. Egli la realizzò con l’aiuto del suo ultimogenito figlio Carlo, mentre gli affreschi furono realizzati da un’altro grande artista caro ai certosini napoletani. Massimo Stanzione Soprannominato il “Guido Reni napoletano” per il suo talento pittorico e protagonista di vari cicli pittorici alla certosa di san Martino, contribuì nel 1642 alle decorazione qui nella grangia di Aversa. Pur non essendovi rimasta traccia dei loro interventi, possiamo immaginarne l’alto valore artistico, che rendeva questa grangia particolarmente prestigiosa.

Attualmente non restano che pochissimi elementi superstiti, rappresentati da una serie di terranei, adibiti nella loro funzione originaria a depositi per gli attrezzi, a stalle per animali da traino e da cortile, a deposito per le derrate: su cui si sviluppavano le camere superiori e le terrazze, ora in parte trasformate in appartamenti.

Al di sotto del cortile troviamo un’imponente cisterna d’acqua, la quale ebbe la funzione di rendere autonoma idricamente questa cittadella monastica, raccogliendo l’acqua piovana, a simiglianza della cisterna monumentale del chiostro grande della certosa napoletana.

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Un miracolo di S. Antelmo

miracolo s. Antelmo

Oggi 26 giugno ricorre la celebrazione di un santo certosino, Antelmo di Chignin, Vescovo di Belley. Di questo illustre personaggio dell’Ordine certosino vi ho già parlato in precedenti articoli, ma lo spunto per riparlarne mi viene offerto da un dipinto. La tela in oggetto, fu realizzata dal pittore Giacomo Cavedone, allievo di Annibale Carracci, il quale la realizzò tra il 1613 ed il1614 su commissione dei certosini della certosa di Bologna, per adornare una parete di una cappelletta della chiesa. Oggi il dipinto è esposto alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Il pittore volle raffigurare Antelmo in uno dei due miracoli attribuitigli, e più precisamente la guarigione di un uomo morso da serpente.

L’ambientazione lascia percepire che la scena si svolge in un ambito rurale per via degli arnesi sparsi intorno al giovane, il quale è posto al centro della tela. La gamba destra del malcapitato evidenzia una ferita da morso di rettile, che sanguina copiosamente, colui che lo sostiene pare mostrare al santo certosino le gravi condizioni in cui versa la vittima. Questi, disteso pare privo di sensi, esanime, ma alla vista di Antelmo sembra rapito dallo sguardo magnetico del santo, il quale fissandolo negli occhi gli impartisce una solenne benedizione, al fine di ottenerne una prodigiosa guarigione. Sullo sfondo vengono raffigurati due fratelli conversi ed un cavallo che accompagnavano Antelmo, ed i quali assistono meravigliati alla scena.

La fama quando era in vita,  ed il culto e la devozione, dopo la morte, verso questo pio certosino crebbe a dismisura, basti pensare che la città di Belley di cui era stato vescovo per diversi anni venne ribattezzata in onore del santo vescovo certosino Antelmopoli.

Rinnoviamo una prece per la sua memoria

Antelmo

PREGHIERA

Signore, tu che ami l’unità e la pace,
donaci per intercessione di San Antelmo,
di cercare sempre, insieme, la tua volontà e
lode con una sola voce, ed un solo cuore.

Amen

Il Cuore di Gesù, la città dove trovare rifugio

carto

Il testo sul Sacro Cuore di Gesù che oggi voglio proporvi è di un certosino della certosa di Norimberga. Fu stampato nella cittadina tedesca da Kaspar Hochfeder nel 1480. Parole semplici su cui meditare con fervore.

Sei un luogo di rifugio, per farmi salvo: sii per me come una casa
Salmo 30,3

O Signore Gesù Cristo, sorgente inesauribile di amore e di grazia, mi lodo e Ti ringrazio per la ferita della tuo santissimo costato che hai ricevuto dopo la vostra morte; per allora, o Santo dei santi, era tuo lato destro così profondamente trafitto dalla lancia del soldato, che il punto del ferro penetrato attraverso il tuo petto anche a mezzo del Tuo cuore tenero, e da questa grande ferita cominciò a scorrere per noi il flusso di guarigione di sangue e di acqua che fertilizza la terra e salva il mondo. O spargimento benefico e meraviglioso di sangue dal costato di Gesù addormentato sulla Croce nel sonno della morte per la redenzione del genere umano! Flusso O più puro e dolce di acqua, proveniente dal seno del nostro Salvatore per lavare via tutte le nostre macchie!

Mosè, nel deserto, ha colpito la roccia, e ne uscì acqua fresca destinata solo per l’uso e le necessità del popolo di Israele e le loro greggi; ma quando il soldato Longino senza paura con la mano robusta ha colpito la roccia con la lancia, vale a dire che, quando si fendeva il diritto costato di Cristo, c’è venuto fuori, allora e sempre più, una misteriosa fonte d’acqua e di sangue da cui la nostra casta Madre, la santa Chiesa cattolica, disegna i suoi Sacramenti. Eva è stata chiamata la madre di tutti i viventi, e si è formata da una costola del marito, Adamo. La santa Chiesa militante è chiamata la madre di tutti coloro che vivono per fede, e lei è formata dal costato di Cristo suo Sposo.

O grande, preziosa e amorevole ferita del mio Salvatore, tu sei più profonda di tutti gli altri, e ha aperto così ampia che i fedeli possono entrare in Te !O ferita da cui sgorgano le benedizioni illimitate e senza fine, ferita del costato inflitto per ultimo, ma diventata comunque la più celebrata! Chiunque beve profondamente dalla fonte sacra e divina di questa ferita, o prende anche qualche goccia, si dimentica tutti i suoi mali, sarà liberato dalla sete di piaceri effimeri e vili, sarà infiammato con l’amore delle cose eterne e celesti , e riempito con la dolcezza indicibile dello Spirito Santo. Poi sarà portata nella sua anima “una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna” (Giovanni 4: 14).

Inserire, anima mia, entrare nel lato destro del Tuo crocifisso Signore. Inserisci attraverso questa ferita benedetta nel centro della amorevole Cuore di Gesù, trafitto per amore di te. Prendere tuo riposo nelle fessure delle rocce riparate dai tempeste del mondo. Entra nella tua Dio! Coperto con erba e fiori profumati, il cammino della vita è aperta davanti a te. Questo è il modo di salvezza, ponte che conduce al cielo.
Il Cuore di Gesù è la città di rifugio in cui siamo al sicuro dalla ricerca del nemico. E ‘la città di rifugio, che ci difende da l’ira di un giudice arrabbiato. Questo cuore è la fonte inesauribile l’olio della misericordia per i peccatori penitenti veramente. Questo Cuore è la sorgente del fiume divino spuntano in mezzo al Paradiso per irrigare la superficie della terra, per placare la sete del secco e arido cuore umano, per lavare via il peccato, per spegnere i fuochi empi della concupiscenza, alla regolare i voli della fantasia e di placare l’ardore della rabbia. Avvicinatevi poi e prendere la bozza di amore da questa fontana del Salvatore, in modo che tu possa più vivere a te stesso, ma in Colui che è stato crocifisso per te. Dare il tuo cuore a Lui, perché Egli ha aperto il suo cuore a te. Non dare il tuo cuore al mondo, ma a Cristo tuo Signore. Dategli non sapienza mondana invano, ma alla Sapienza eterna. Dove puoi tu riposare più serenamente, soffermarsi in modo più sicuro, o il sonno più dolce rispetto nelle piaghe di Cristo crocifisso per te?
O tutto glorioso e più amabile Gesù, Creatore del mondo misterioso e invisibile della grazia, ospite Tu dei cuori amorosi, ad esempio crocifisso di anime schiacciate sotto il peso della croce, Tu che contieni tutte le ricchezze e tutti i doni del Cielo; Gesù, nostro Re, Salvatore dei fedeli, che hai voluto che il tuo santo costato dovrebbe essere aperto dal punto di lancia spietata, umilmente e con fervore supplichiamo ad aprire per me le porte della tua misericordia, e mi soffre di entrare per la larga ferita di tuo fianco adorabile e santissima, nel tuo cuore infinitamente amorevole, in modo che il mio cuore può essere unito al Tuo cuore da un legame indissolubile di amore. Ferisci il mio cuore con il Tuo amore. Lasciate che lancia del soldato penetri il mio seno. Sia il mio cuore aperto a Te solo e chiuso al mondo ed al diavolo. Proteggi il mio cuore, e il braccio contro gli assalti dei suoi nemici per il segno della tua santa croce.

Amen.

Chartae Capituli Generalis Pro Provincia Tusciae

fig. 1- Copertina

Cari amici lettori, nell’articolo odierno voglio comunicarvi la pubblicazione di un’importantissimo volume, del quale vi riporto la brillante recensione dell’amica Giuliana Marcolini, giù coautrice di un libro di cui vi ho parlato da questo blog.

L’Autore di questo importante, impegnativo e specialistico lavoro è un monaco certosino che, secondo la consuetudine dell’Ordine, rimane nell’anonimato; l’argomento trattato, come si evince dal titolo, è l’edizione delle Carte prodotte dal Capitolo generale dell’Ordine certosino relative alla Provincia Tusciae dal 1701 al 1730; note anche come “Carte di Ferrara” o “Carte di Toscana”, sono conservate negli archivi della Grande Chartreuse, la casa madre dell’Ordine, situata a Saint-Pierre-de-Chartreuse, nei pressi di Grenoble.

Queste Chartae sono parte dell’intera documentazione prodotta durante le riunioni del Capitolo Generale, organo legislativo ed esecutivo supremo dell’Ordine certosino, indetto inizialmente ogni anno, ora ogni due, presso la Grande Chartreuse di Grenoble, e operante fin dal 1142. La pubblicazione delle Carte dei Capitoli Generali, a partire da quelle prodotte in epoca medievale era iniziata nel 1982 per volontà del grande studioso e grande esperto, anche per esperienza personale, del mondo certosino quale fu James Hogg, che le aveva inserite nella collana Analecta Cartusiana. Questa collana, l’unica raccolta internazionale di scritti dedicati alla storia e alla spiritualità dei certosini, era stata fondata dallo stesso Hogg nel 1970 e poi, dopo la sua morte nel 2018 e per volontà degli eredi, è entrata a far parte delle collezioni editoriali di carattere religioso di CERCOR (Centre européen de recerche sur les communautés, congrégations et ordres religieux); con l’acquisizione di questa collana, CERCOR è divenuto il polo europeo delle pubblicazioni relative al mondo certosino.

Tutte le pubblicazioni riguardanti l’edizione delle Chartae Capitulorum Generalium sono contrassegnate dal numero 100 di «Analecta Cartusiana» ed il volume qui recensito è il 76° della serie.

Il testo di questa pubblicazione consta di 515 pagine, articolato in più parti:

Prefazione, pp. 3-14:

L’autore della Prefazione, Giovanni Malpelo, scrive che, partendo dal presupposto che ogni carta d’archivio è uno spiraglio privilegiato da cui gettare uno sguardo verso la Storia, e sottolineando in particolare l’importanza degli archivi ecclesiastici per comprendere i rapporti tra Stati e Chiesa nei vari momenti storici, afferma che la trascrizione delle Chartae Capituli Generalis pro Provincia Tusciae certosina ci offre una lettura che va oltre la conoscenza della vita nelle certose italiane comprese in tale circoscrizione geografica durante il secolo XVIII, ma ci fa intravedere come l’Ordine si sia posto in relazione con lo spirito dell’epoca; epoca che la storiografia odierna vede contrassegnata dal termine “rivoluzione”, identificabile in molti campi, da quello politico a quello industriale fino a quello culturale, e che ha dato inizio alla “modernità”.

Anche i Certosini, pur nella loro beata solitudo, avendo chiaramente percepito che al di fuori del loro desertum vi era allora un mondo che andava mutando rapidamente avevano scelto di inserire nello stemma dell’Ordine Certosino, o meglio, in quello della Grande Chartreuse, la Casa madre, il motto Stat crux dum volvitur orbis: la terra si muove, si agita, muta, si ‘rivoluziona’ ma la croce di Cristo è la realtà immobile e immutabile cui ogni certosino di ogni certosa aspira ad identificarsi.

Questa aspirazione alla fedeltà alla più grande espressione della religiosità cattolica ed alla volontà di mantenerla immutata nel tempo universalmente in ogni certosa in qualunque situazione geografica e politica prende forma tangibile nelle Chartae Capituli Generalis, le cui pagine riportano fatti, notizie, disposizioni che si rivolgono in modo immutato nel tempo e universale nella territorialità del mondo certosino. Come esempio concretamente esplicativo Malpelo ci segnala che nelle Chartae di tutti i Capitoli generali “si fa memoria e si menzionano i fratelli defunti nell’anno di qualsiasi certosa di provenienza presente nel mondo (i cosiddetti obiit). Quest’abbraccio universale si ripete poi quasi in ogni parte delle Chartae”.

Introduzione, pp. 15-58:

L’Autore (un monaco certosino) ci ricorda che le Chartae Capitulorum Generalium contengono i suffragi per i vivi e per i morti che le singole Case dovevano assolvere, le disposizioni sui cambiamenti di ufficio e le ordinanze con valore di legge emanate per tutto l’Ordine o per gruppi di monasteri. Pur di “un’appassionante monotonia”, data una struttura monolitica ed invariata nella forma espressiva ed un testo costituito da frasi stereotipate e ripetute, la lettura di queste Carte ci fa ‘intravedere’ come, nel corso del tempo e dei momenti storici, quel ‘mondo’ che i singoli monaci pensavano di aver abbandonato, in realtà sia penetrato nella trama della loro quotidianità. I grandi problemi che scuotevano l’Europa e le prospettive generali della Christianitas nei confronti degli Stati riuscivano a penetrare la clausura certosina e questo è chiaramente visibile attraverso i numerosi suffragi per singoli e comunità estranee al mondo certosino che i monaci erano tenuti ad assolvere. Questo, però, è chiaramente leggibile solo nelle Carte più antiche; l’Autore ci propone una tavola sinottica (vedi nel testo pp. 24-26) in cui vengono messi a confronto gli “obblighi” di suffragi in epoca medievale e quelli del XVIII secolo e si può notare come in questi ultimi scompaiono dal primo posto gli obblighi di suffragi per “Principi e sacerdoti secolari”, e compaiono quasi al termine dell’elenco. Chiaro sintomo del fatto che i Certosini, in questo secolo di grandi ‘rivoluzioni’, hanno sentito la necessità di rafforzare il loro ‘distacco’ della loro realtà dal mondo esterno.

L’intero corpus delle Chartae Provinciae Tusciae consta di nove tomi manoscritti in lingua latina, composti da fascicoli di varie dimensioni, che contengono carte o estratti di carte relative ai ‘verbali’ redatti durante i Capitoli generali tenutisi alla Grande Chartreuse dal 1462 al 1796, contenenti le relazioni dei visitatori delle varie certose della Provincia Tusciae con le notizie specifiche di ogni certosa e le eventuali decisioni prese in seno al Capitolo sia riguardo ad una specifica certosa sia riguardo a disposizioni di carattere normativo generale; le copie di questi verbali, dopo il Capitolo, venivano consegnate ai Visitatori che le portavano poi ai vari priori delle singole certose della Provincia.

Benché già note da tempo nella letteratura specializzata certosina, le Chartae Provinciae Tusciae, conservate negli archivi della Grande Chartreuse in nove volumi (Ms 1 Cart 24), non sono state finora oggetto di studio particolareggiato.

La consultazione diretta della serie ne ha rilevato l’importanza per la storia dell’Ordine certosino e per la conoscenza del suo sviluppo in quelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto, che costituivano il territorio della storica Provincia Tusciae; da qui la decisione di progettare una pubblicazione della trascrizione di tutti i volumi manoscritti di dette Chartae nella collana «Analecta Cartusiana», cominciando dalle Carte del XVIII secolo, cioè i volumi 7-9 (con documentazione dal 1701 al 1789) dato che i primi sei (con documentazione dal 1462 al 1700) sono attualmente in fase di restauro e si potrà procedere alla loro trascrizione e pubblicazione al termine dell’operazione, in ragione di un tomo a stampa per ogni volume manoscritto, rendendoli così facilmente disponibili all’approfondimento degli studiosi della ‘certosinità’.

Trascrizione delle “Chartae Capituli Generalis pro Provincia Tusciae ab anno 1701 usque ad annum 1730 (manoscritto Grande Chartreuse 1 Cart 24 Volume 7) (pp- 59-438)

La trascrizione del volume manoscritto 7 delle Chartae Capituli Generalis pro Provincia Tuscia occupa la quasi totalità dell’intero testo in recensione; il volume contiene le carte di 30 Capitoli Generali tenutisi annualmente dal 1701 al 1730 ed è formato da 30 fascicoli composti ognuno di un numero di carte scritte variabile.

Anche il testo di queste carte, come quello di tutte quelle prodotte durante ogni Capitolo generale, era impostato prima della riunione generale in Grande Chartreuse. I fascicoli erano composti da 6 fogli in 4°, piegati al centro (12 carte); sul primo recto veniva scritto il nome della provincia (Provincia Tusciae, Provincia Sancti Brunonis, Provincia Picardiae, ecc.) cui il documento era indirizzato. Si preparavano poi i dati generali e sempre fissi fin dal primo Capitolo: il titolo e la data del Capitolo generale, la data della Settuagesima, la lista delle SS. Messe dello Spirito Santo e della Beata Vergine per varie intenzioni e la parte finale del documento con le generalità, e le disposizioni per le singole certose. I defunti (per i quali quella certa certosa aveva l’impegno di celebrare i suffragi) il cui obitus era già pervenuto alla Gran Certosa erano trascritti secondo l’ordine che si era codificato nel XVIII secolo, che vedeva in primis i visitatori, seguiti dai convisitatatori, dai monaci semplici, dai monaci diaconi, dai conversi, e, nel caso di un monastero femminile, dalle monache certosine, poi veniva l’elenco dei sacerdoti secolari, i secolari e per ultime le Donne. Ricordiamo che nelle carte più antiche, l’elenco dei defunti vedeva come prima voce i principi e i sacerdoti secolari, seguiti dai priori e monaci certosini (si veda nel testo la esplicativa tabella sinottica della situazione alle pp. 24-26).

È da rilevare che in questo volume 7 le Carte prodotte dal Capitolo generale dal 1715 al 1724 furono affidate a Dom Daniele Campanini, priore della certosa di Ferrara dal 1703 al 1725, convisitatore della Provincia Tusciae dal 1715 al 1720 e visitatore della stessa dal 1721 al 1725 e che in questi periodi fu presente ai vari Capitoli tenutisi nella Grande Certosa, perché le portasse alle certose della Provincia Tusciae; personaggio di grande spessore religioso e culturale, dom Campanini era già stato priore della Casa ferrarese dal 1692 al 1698 e fu committente per la sua Casa di varie importanti opere d’arte celebrative della ‘certosinità’.

A seguito della trascrizione di tutte le Carte del volume 7, l’Autore ha predisposto otto Appendici (pp. 439-496), con notizie ricavate da varie fonti di carattere certosino, utili per agevolare la consultazione del testo stesso e fornire molti dati ed informazioni inediti di particolare interesse per l’approfondimento della storia dell’ordine nel XVIII secolo:

Appendice I. Elenco dei fascicoli dei volumi 7, 8 e 9 delle Chartae Tusciae

Appendice II. Liste dei Priori della Provincia Tusciae secolo XVIII (fino alle soppressioni)

Appendice III. Lista dei Visitatori e Convisitatori della Provincia Tusciae secolo XVIII

Appendice IV. Lista dei Reverendi Padri, Priori della Gran Certosa XVIII secolo (fino alle soppressioni (tratta da La Grande Chartreuse per un charteux, Bellegarde 1984, pp. 292-293)

Appendice V. Lista dei Vicari della Gran Certosa XVIII (desunta dalle Chartae Provincia Tusciae)

Appendice VI. Elenco delle Ordinanze, Ammonizioni ed Esortazioni promulgate dai Capitoli Generali nel secolo XVIII, desunte dalle Chartae Provincia Tusciae

Appendice VII. Le Case della Provincia Tusciae (da Monasticon Cartusiense, IV, 4: Provincia Tusciae, «Analecta Cartusiana» 185/4/4, 2010)

Appendice VIII. Trascrizione del Manoscritto Grande Chartreuse 6/ITAL/11.

A corredo dell’intera pubblicazione si segnala una significativa e ricca Bibliografia, di riferimento (pp. 13-14) e specialistica (pp. 50- 58).

I documenti d’archivio sono lo strumento oggettivamente più efficace per la conoscenza e l’interpretazione della ‘storia’ di qualunque realtà che lo studioso attento e ‘curioso’ utilizza con particolare entusiasmo. Ma non sempre è possibile la consultazione diretta delle fonti, come nel caso della documentazione prodotta dall’Ordine Certosino che, nel suo eremitismo estremo, precludeva e preclude il contatto fisico diretto con le sue realtà; ecco che allora iniziative editoriali come quella che ha preso l’avvio con l’esperienza di «Analecta Cartusiana», di cui questo volume è un significativo esempio, sono preziosissimi strumenti per la conoscenza e l’interpretazione del mondo certosino.

Attraverso queste pubblicazioni riusciamo, infatti, a percepire quanto il mondo certosino non fosse così ‘impermeabile’ alla realtà esterna alle sue mura quanto si poteva ritenere e nel contempo, ci rendono possibile entrare in un mondo a noi totalmente precluso, conoscerne la sua struttura e le sue modalità di perpetuazione e mantenimento nel tempo di quella ideologia religiosa che ne determinò la nascita.

Giuliana Marcolini

fig. 2- Frontespizio Chartae

Nell’esprimere gratitudine all’amica Giuliana Marcolini, la quale ha redatto tale recensione che ho voluto ospitare su Cartusialover al fine di renderne nota tale pubblicazione e diffonderla a voi tutti.

Vi inoltro il link dove poter acquistare online questo prezioso volume, disponibile all’approfondimento di chiunque voglia studiare gli argomenti in esso illustrati.

https://www.i6doc.com/en/book/?gcoi=28001100197820

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 20)

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CAPITOLO 20

Lavoro e preghiera

18 La vita della monaca è tutta fatta per unirla a Cristo, perché rimanga nel suo amore. Nella solitudine della cella come operante nelle obbedienze, ha messo tutto il suo cuore, aiutata dalla grazia della sua vocazione, a preservare la presenza di Dio. (St 15.18)
19 Il raccoglimento spirituale durante il lavoro condurrà la monaca alla contemplazione. A tal fine, si consiglia sempre di ricorrere a brevi impulsi verso Dio; possiamo anche interrompere un po’ il compito per una breve preghiera. A volte anche il peso del lavoro, come un’ancora, mantiene il flusso dei pensieri a riposo e permette al cuore di rimanere fisso in Dio a lungo, senza alcuna tensione d’animo. (St 15.10; 5.3)
20 Il desiderio di fare tutto per Dio, e non per la soddisfazione personale, dà l’amore della regolare osservanza. Anche le suore seguono l’orario con grande fedeltà. Ovunque si trovino, al suono della campana che annuncia una funzione in chiesa, lasciano tutto per arrivarci senza indugio. (St 15.13)
21 Il valore del lavoro non viene solo dalla preghiera solitaria che lo accompagna. È anche un servizio che ci unisce a Cristo che non è venuto per essere servito ma per servire. Per risparmiare alle loro sorelle quanto più lavoro possibile, le monache si sforzano di essere autosufficienti. Si aiutano a vicenda con grazia quando necessario e richiesto, felici di portare i pesi l’uno dell’altro. (St 5.4; 15.9)
22 Unite a Cristo Gesù, che si è fatto povero per noi mentre era ricco, le monache lavorano sempre in spirito di povertà. Evitano gli sprechi e si prendono cura di macchinari, mobili e oggetti della cella. Hanno cura di non perdere alcun utensile e di non trattenere per il loro uso le cose che appartengono a un’obbedienza. (St 15,5-6)
23 La nostra attività scaturisca sempre dalla sorgente interiore, ad immagine di Cristo che agisce costantemente in unione con il Padre, affinché il Padre che risiede in lui sia l’autore stesso delle sue opere. Accompagneremo così Gesù nella sua vita umile e nascosta a Nazaret, o con la nostra preghiera rivolta in segreto al Padre, o con il nostro lavoro compiuto nell’obbedienza sotto lo sguardo del Padre. (St 5.7)

Gratitudine al Cuore di Gesù

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Ecco per voi un testo su cui meditare, l’autore è Dom Giovanni Giusto Lanspergio certosino particolarmente devoto al Sacro Cuore di Gesù.

Io ti celebrerò, o Signore, con tutto il cuore.
Salmo 110,1

Tu, dolcissimo Gesù, sei il mio unico amore, la mia salvezza, e la mia consolazione. O più fedele amico degli uomini, il mio Creatore e mio Redentore, la luce del mio cuore, il riposo della mia mente, e il rimedio della mia anima, io ti adoro. Tu Divina Riconciliatore di uomini, sostenitore più amorevole dei peccatori, che dài conforto agli afflitti, sollievo a coloro che lavorano, e al solo la loro ricompensa, io ti adoro. O Gesù, Vittima gradito agli occhi del Signore, Vittima onnipotente con Dio, Tu sei la pace-offerta il cui odore di soavità ha misericordiosamente inclinato verso di noi Dio Padre, che abita nel più alto dei cieli. Tu che hai costretto a cercare su di noi con amorevole gentilezza e la pietà, per portarci in Suo favore, e per farci eredi del suo Regno. O più Gesù misericordioso, lodo Te, ti benedica, e darà gloria per la tua infinita misericordia, inesauribile e traboccante verso di noi. Non era sufficiente per Te di essere il nostro Signore, nostro Creatore e nostro Protettore, tu vuoi diventare anche il nostro Redentore, il nostro fratello e nostro compagno di esilio! Tu hai avuto il piacere di prendere la nostra natura umana, per condividere la nostra debolezza e la povertà, e anche a presentare alla legge della morte. Questo è il motivo per cui, durante trentatré anni, Ti sei affaticato e sofferto tanto per procurare la nostra salvezza. O più compassionevole di Gesù, quante volte è stata suddivisa la stanchezza in seguito ai tuoi viaggi! Quante volte hai sofferto da fonti di calore, il freddo, la sete, la fame e la povertà! Quante volte sei stato disprezzato, insultato o rimproverato! E – ciò che è più bello di tutti – Tu hai finalmente ceduto la tua anima alla morte più ignominiosa e amaro per noi che eravamo i tuoi nemici!

Eppure, tutti questi segni di amore, e le grandi benefici elargiti su di noi creature vili e ingrati, non soddisfacevano la Tua carità inconcepibile. Durante trentatré anni Tu eri caricato con sofferenze e ignominia; ma, per espiare pienamente al nostro posto, c’era ancora una cosa che tu vuoi fare, dopo la vostra morte, nel sottoporre ad un ultimo oltraggio, quando Tu hai permesso ad un soldato crudele e insolente di perforare il Tuo Cuore più tenero, già ferito con il dardo del Tuo amore. Ma perché hai desiderio Tuo Cuore da trafiggere in tal modo da una ferita terribile? Ah! è stato che potremmo vedere tutta la profondità e l’ampiezza del Tuo amore infinito, e imparare con ciò che hai sofferto la carità per il nostro bene. Tu vuoi insegnarci che tutte le tue azioni erano animate dalla carità più perfetta. Tuo santo corpo era stato rotto e lividi per noi, e tu avessi Si offerto a Dio come sacrificio vivente, puro ed accettabile ai Suoi occhi. E ‘stato difficile per te da dimostrare in modo più chiaro o più perfettamente il Tuo potente amore per noi. Tu vuoi comunque aprire il santuario dell’amore stesso, e divulgare la bara mistica che contiene questo tesoro, aprendo a noi il tuo cuore, in modo da permetterci di vedere con i nostri occhi da dove è venuto tutto ciò che tu avessi fatto per noi. Non riservando nulla per te stesso, nel dare a tutti noi, anche il tuo cuore, non ti sembra come se Tu volessi dire a ciascuno di noi, la nostra ingratitudine e la freddezza, ahimè! Tu sapevi: Ecco, o uomo, e vedere tutto quello che ho fatto, tutto quello che ho sofferto per la tua salvezza. Tu eri Il nostro nemico, e ti hanno restituito il favore di mio padre. Tu devi vagare a caso come una pecora smarrita; Ho cercato di te lungo, con molta difficoltà e fatica, e quando finalmente ti ho trovato, ti ho portato in braccio, e ti riportai all’ovile celeste. Ma chinai la mia testa che potrebbe essere coronata di spine. Ho tenuto le mie mani e piedi per essere trafitto con le unghie. Con pazienza ho sofferto il supplizio della flagellazione. Ho versato il mio sangue fino all’ultima goccia; E il mio cuore era così infiammato di amore per te, che mi è stato lacerato e ferito sia internamente che esternamente. Infine, ho rinunciato a morte della mia anima che mi è piaciuta, e quindi consumato, dalla Mia perfetta e completa obbedienza, il lavoro della tua salvezza. Dopo di che, cosa ci può essere ancora da fare? Non ho più nulla da offrire a te .Tu vedi bene che il mio amore per te era forte come la morte, e il mio amore fa che ti posso avvicinare a me e te unisco a Me con l’amore. Eppure tu andrai lontano, e che hai te stesso separato da me. Bambino di Adamo, l’anima insensibile, se tutto quello che ho già fatto non è sufficiente a sciogliere il tuo cuore congelato, e fare una profonda impressione su di te, accettare il mio cuore, oltre a tutto quello che ti ho dato, e capire che cosa è. Ricevere il sangue che ne deriva. Se potessi fare qualcosa di più e avevi il diritto di pretenderlo, dovrei essere molto disposti a offrire a te. Chiedi a Me, Che fai ancora richiedo? Fai notare a me quello che sarà in grado di muoversi, di convertire te decidere di te ad amarmi, e certamente non voglio rifiutare di concederla.

Dom Lèon Tixier

Dom Lèon Tixier

Oggi vi farò conoscere il Priore Generale dell’Ordine certosino in carica dal 1643-1649 , Dom Lèon Tixier. Egli nacque a Felletin, piccolo paesino nei pressi di La Marche, educato in una famiglia molto religiosa che vide lui ed i suoi due fratelli, Pacifique ed Antoine diventare monaci certosini. Lèon fece ingresso e poi fece la professione alla Grande Chartreuse nel 1600, ben presto fu notato per le sue doti, e fu inviato a svolgere le funzioni di Vicario alla certosa di Rouen. Poi nel 1616 fu nominato priore alla certosa di Digione, pochi anni dopo, nel 1619 fu invece eletto priore della certosa di Lione. Le virtù e la santa esistenza di questo certosino, lo portarono ad essere eletto Priore Generale dell’Ordine nel 1643. Dom Tixier, durante i pochi anni in cui ha governato l’Ordine, ha saputo farsi amare da tutti coloro che gli si avvicinavano; lasciò tra i suoi confratelli il ricordo di una pietà soave e affettuosa verso Dio, di grande indulgenza per i suoi sottoposti e di tenera carità verso i poveri. Il Reverendo Padre Dom Léon Tixier morì dopo sei anni di Casa Generalizia, il 13 novembre 1649, in mezzo a grandi dolori sopportati con instancabile pazienza.

Ma che ne fu dei suoi due fratelli che vestirono l’abito certosino?

Pacifique Tixier, fu professo a Port-Sainte-Marie, poi priore a Villefranche-de-Rouergue, nel 1614; di Port-Sainte-Marie, nel1616; priore-fondatore della certosa di Bordeaux, fu trasferito a Toulouse nel1627. Morì nel 1645

Antoine Tixier, fu professo a Toulouse, poi priore alla certosa di Rodez nel1617, dopo a Cahors nel 1627, fu priore a Bordeaux nel 1642, in seguito a Cahors nel 1643, fu poi trasferito a Toulouse nel1645. Morì nel 1655

Firma Dom Tixier

Firma di Dom Tixier

Testimonianza da Reillanne

monaca certosina cartoon

Molte sono le testimonianze di esperienze fatte in certosa, che mi giungono e che io pubblico al fine di divulgarle a tutti i lettori di Cartusialover, consapevole di farne cosa gradita. Ecco per voi amici una inedita testimonianza, di una aspirante monaca certosina. Ovviamente per rispettare la sua volontà le sue dichiarazioni resteranno anonime, posso solo aggiungervi che trattasi di una donna proveniente dagli Stati Uniti.

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Recentemente sono stata a Reillanne per quasi tre mesi, per un ritiro di discernimento vocazionale. Il ritiro di discernimento di solito non è così lungo, ma mi hanno invitato per un tempo più lungo, poiché sono stata in noviziato in altre due comunità e avrei bisogno di tempo per adattarmi a un carisma diverso e anche perché venivo da un altro continente e non volevo essere in grado di venire per più ritiri più brevi. Venendo così a lungo, ho anche potuto vivere la vita di una suora di clausura per circa un mese e la vita di una suora conversa per oltre un mese. Ecco alcune riflessioni della mia esperienza.

certosa Reillanne

La partenza

“Perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla” (Dt 8:7-9a). Questo versetto faceva parte della lettura della Messa nel mio ultimo giorno intero a Reillanne, e penso che si ricolleghi alla mia esperienza. Ho contattato per la prima volta le certosine a metà agosto 2021. Quando mi hanno invitato a fare una visita, ho deciso che dovevo andare in fretta, nel caso in cui il confine si chiudesse di nuovo a causa della pandemia. Però penso che lo Spirito Santo abbia usato la pandemia per portarmi lì, perché avevo così tanta trepidazione prima di partire che forse me ne sarei convinta, se ci avessi pensato più a lungo. Avevo così paura delle pratiche ascetiche che quando sono arrivata a Parigi, mi sono fermata alla Basilica del Sacre Coeur e ho detto: “Signore, sono venuta in Francia per soffrire per te“. Io, come immagino molti altri, immaginavo che ci sarebbe molta sofferenza fisica dall’ascesi.

Le impressioni delle pratiche della vita ascetica…

Certamente la penitenza fa parte della vita certosina, ma quelle cose vengono introdotte gradualmente, e le cose che più temevo non erano realtà. Ad esempio, avevo così paura del freddo che la maggior parte dello spazio nella mia valigia era occupato da calzini di lana ed indumenti intimi lunghi e termici per tenermi al caldo, soprattutto di notte. La realtà, però, era che le suore, nella loro carità, erano così preoccupate per il mio freddo, che mi hanno messo così tante coperte sul letto che mi sono svegliata sentendomi accaldata, anche senza usare tutte le coperte! Certo, c’erano volte in cui avevo freddo, se non ero avvolta correttamente o mi trovavo in una zona senza calore, ma il Signore mi aveva preparato il corpo e l’anima anche per quello. (A causa della pandemia, la mia parrocchia ha celebrato la messa all’aperto l’anno scorso, anche quando era intorno ai -15°C.) Il freddo certosino è molto più caldo di quello. Avevo anche paura di avere sempre fame. La realtà era che le sorelle non volevano che avessi fame; Avevo troppo da mangiare e ho dovuto chiederle più volte di non darmi così tanto. È davvero una terra dove scorre latte e miele e non mi mancava davvero nulla. Nel corso degli anni, le monache hanno imparato che i loro corpi non sono costruiti per le stesse pratiche penitenziali dei monaci. Ad esempio, molto presto, le suore hanno scoperto che avevano bisogno di fare un po’ di colazione. A Reillanne mangiano pane e una bevanda calda a colazione. Almeno durante il noviziato le monache hanno anche più di pane e acqua il venerdì. Le suore sono rimaste senza latte, yogurt e formaggio per circa una settimana prima del Natale. Penso che sia simile prima della Pasqua. Però al Padre Vicario (il monaco certosino che vi è cappellano), non è stato permesso di avere quelle cose per tutto l’Avvento. Avevo anche visto le immagini dei monaci con le stufe a legna nelle loro celle. Ero preoccupata per questo perché sono stata in un eremo un’anno e mezzo fa, quando c’erano circa -15°C, con una stufa a legna, e l’ho trovato un po’ travolgente e non ero sicura di avere la forza per tagliare la legna. Alla fine, non conosco le altre località delle suore, ma a Reillanne hanno i radiatori elettrici. La maestra delle novizie mi ha detto che mentre il loro digiuno è più leggero di quello dei monaci, la loro pratica ascetica primaria è la solitudine.

Altre impressioni spirituali…

Ho menzionato prima le cose pratiche perché quelle erano le cose che mi preoccupavano di più prima di partire. Tuttavia la vocazione è certamente molto più e molto più profonda di queste cose: sono stata davvero toccata da alcune cose che Padre Andre Ravier, SJ, ha scritto della vita certosina nel suo libro “L’Approche de Dieu par le Silence de Solitude“, che si traduce come “L’approccio di Dio attraverso il silenzio della solitudine”. Padre Ravier dice che la vocazione certosina trascende la Certosa. È una chiamata all’amore puro in una vita tutta dedicata ad amare Cristo, a riprodurre la vita interiore di Cristo e a prolungare la preghiera di Cristo, la sua adorazione, la sua offerta filiale, il suo amore per il Padre, nel segreto della solitudine ( pag 48-49, 51). Sebbene gran parte della vocazione certosina sia vissuta in solitudine, non è solo per la salvezza degli stessi certosini. Invece, Padre Ravier ha citato Papa Pio XI il quale ha affermato che si tratta di un apostolato nascosto e silenzioso (p. 52) e che i certosini contribuiscono alla salvezza della Chiesa in modo tale che senza le loro preghiere e penitenze, gli operatori nel campo dell’evangelizzazione darebbero poco frutto ( pag. 47). Perciò ho appreso che la vocazione certosina è anche quella di essere missionaria, così come santa Teresa di Lisieux, lei stessa patrona dei missionari, è stata chiamata ad essere missionaria.

La conclusione…

Nel complesso, ho davvero trovato la mia esperienza a Reillanne un momento gioioso per incontrare il Signore. Lui è così buono e ha chiarito esperienze che non avevo capito nel corso degli anni e ha mostrato come mi ha condotto a questo punto. Come nella vita spirituale in generale, ci sono momenti più facili e altri più difficili. Tuttavia, coloro che mi hanno aiutato con la formazione a Reillanne sono stati molto disponibili e attenti nell’aiutare nei momenti più difficili. Non vedo l’ora di tornarci presto, ma questa volta come postulante, piuttosto che solo per ritiro.

Grazie

a questa amica che ha voluto concedermi questa prezioso testo nutro la certezza che essa rappresenti un valido contributo per tutti coloro che sono attratti dalla ricerca di Dio all’interno di una certosa.

Possa san Bruno illuminare il prosieguo del cammino di questa giovane aspirante monaca certosina.

Ed ora per voi…un breve estratto dal film “Una vita in certosa

 

Roma ed i certosini

ex certosa Santa Croce in Gerusalemme

Molti conoscono la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, costruita dall’imperatore Costantino e legata a sua madre Elena, e alle reliquie da lei portate dalla Terra Santa (in particolare, un frammento di legno della croce di Cristo). Ma la chiesa è sorta all’interno di un preesistente complesso di edifici e di giardini di grande bellezza, di cui rimangono testimonianze non sempre visibili.

Nell’articolo odierno, cari amici vi parlerò della presenza dei monaci certosini nella certosa di Santa Croce di Gerusalemme a Roma. Dapprima intendo farvi una premessa circa la presenza certosina nella città eterna.

Il primo insediamento certosino in Italia, avvenne a Roma nel 1090, quando Papa Urbano II, donò a San Bruno la chiesa di San Ciriaco nei pressi delle Terme di Diocleziano. Bruno rifiutò, perchè il luogo non era consono per svolgere la vita certosina. Nel 1304 Padre Boson chiese l’insediamento dei Certosini nelle antiche terme. Quest’ ultima ipotesi fu ritenuta troppo costosa, si optò allora, per l’ex convento Agostiniano di Santa Croce di Gerusalemme a Roma, il quale da diversi anni era vacante, perché priva di persone che celebrassero il culto divino. Nel 1370 con una Bolla Urbano V autorizzò il benefattore Nicola Orsini a fondare una certosa.

Furono donate, oltre alla chiesa anche tutti gli edifici annessi, ovvero chiostro celle, cimitero campane e campanile oltre agli orti ed ai terreni adiacenti. Nell’atto di donazione con cui Nicola Orsini trasmette questi beni all’Ordine, egli promette di ricostruire la casa, di dotarla e arredarla a sue spese, perché vi possano vivere un priore e dodici monaci, chierici e conversi, secondo le consuetudini certosine. Fu inserita nell’atto una clausola particolare, infatti il nobile benefattore dichiara che qualora la chiesa di Santa Croce non sembrasse adatta ai certosini, egli promette di costruirne un’altra nell’ ambito adiacente, a sue spese. La nuova certosa fu incorporata nell’Ordine nel 1370 e nella Prov. Lombardiae remotioris (Prov. S.Bruno), fu nominato come primo priore Dom Guido Favullia, già vicario della certosa di Bologna. Nel 1382 a causa dello scisma, nella certosa di Roma fu celebrato un Capitolo Generale in esso alcuni priori elessero quindi come altro Generale, Giovanni di Bari, il quale nel 1381 aveva sostituito come priore della certosa di San Martino di Napoli, il già citato, Giovanni Grillo, che era stato rimosso dal suo incarico poiché considerato un partigiano dell’antipapa. Giovanni di Bari scelse come sua sede la certosa di Firenze di cui era già stato precedentemente priore.

Nel 1390 le Cronache riferiscono che Dom Stefano Maconi, quand’era ancora a Bologna, prima di essere rieletto Generale dell’Ordine, fu incaricato con il priore di Roma, Dom Roberto, per recarsi dal pontefice Bonifacio IX, al fine di chiedere un trasferimento dato che i monaci “vix corpore coeli locique gravitatem sustinere poterant” ovvero vi erano delle difficoltà per proseguire la vita monastica a S.Croce.

Alle oggettive difficoltà denunciate dai certosini, purtroppo non si riuscì a trovare nell’immediato una soluzione soddisfacente, anche se Bonifacio IX concesse ai monaci un ex monastero benedettino di Palazzolo con una Bolla del 21 ottobre 1391, che fu utilizzata come luogo per far ritemprare i monaci vecchi e malati.

Successivamente anche Innocenzo VII, il successore di Bonifacio IX, verrà incontro alla situazione precaria della certosa romana, riparando la copertura della Chiesa e accordando loro edifici attigui, in una Bolla del 1406.

Il disagio a Santa Croce di Gerusaleme continuò ad esserci, al punto tale che nel Capitolo Generale del 1429 fu deciso di rinunciare a tale insediamento comunicandolo direttamente al pontefice, ma a causa di varie situazioni, tra cui la peste il caos regnava. Pertanto il Pontefice non potè venir in aiuto dei certosini e tanto meno accondiscendere alla chiusura del loro convento. Tuttavia quel luogo aveva un clima assai malsano e neppure offriva la solitudine indispensabile per la vita claustrale certosina, ma bisognerà attendere l’inizio del XVI secolo, allorquando il cardinale du Bellay, ambasciatore di Francesco I, aveva costruito vicinissima alle Terme di Diocleziano una villa circondata da giardini. Alla sua morte, nel 1560, il cardinale san Carlo Borromeo l’acquistò e lo donò a suo zio, Papa Pio IV, il quale lo concesse in favore dei Certosini (1560). Con bolla del 27 luglio 1561 papa Pio IV dispose la trasformazione delle Terme di Diocleziano nella Chiesa e nella Certosa di Santa Maria degli Angeli.

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(Concessione delle Terme ai Certosini 10 marzo 1560)

Già dalle lettere, che ci sovviene di averti scritte fin dall’anno passato, avrai inteso che Noi in onore della B.V.M. degli Angeli e di tutti i Santi, non senza ispirazione divina come si può credere abbiamo determinato di edificare in Roma a nostre spese e della Sede Apostolica una Chiesa nelle Terme di Diocleziano, anzi di convertir le Terme stesse, le quali furono dall’empio tiranno e crudelissimo nemico della Chiesa per i comodi e i piaceri degl’Idolatri con infinito sangue e sudore dei Fedeli edificate, in culto di Dio e in devozione dei medesimi cristiani. Potrai ancora aver conosciuto dalle stesse nostre lettere la distinzione con cui abbiamo trattato l’Ordine tuo Certosino; poiché non trovandosi in Roma Comunità religiosa che non reputasse grazia e beneficio singolare l’avere un luogo così ameno e di aria così salubre, noi nondimeno a tutti gli altri abbiamo voluto anteporre l’Ordine tuo. Della qual predilezione non solo abbiamo fatta una grazia particolare ai tuoi religiosi, ma abbiamo preteso anche di provvedere alla loro sanità. Poiché essendo la Chiesa di S.Croce in Gerusalemme, cui il loro monastero è unito in luogo d’aria insalubre in modo che d’estate ogni anno vi si ammalavano gravemente e anche vi morivano.

Perciò Noi onde condurre a termine col divino aiuto ciò che ci siamo proposti di fare, come abbiamo promesso ai tuoi religiosi, dopo aver purgato e consagrato quel luogo, abbiamo già cominciato a edificare la Chiesa, nella quale opera abbiamo impiegato molti artefici, e con non piccola spesa messe in ordine le altre cose necessarie.

Dato in Roma ai X di Marzo 1560 anno II del n. Pontif.

Breve di Pio IV

navata e altare