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“Aperta sull’infinito” di Dom Louis Marie Baudin

Dipinto proveniente dalla certosa di Moulins e attribuito a Gilbert I Sève_jpg.jpg

Oggi ecco per voi un testo di Dom Louis Marie Baudin, della cui devozione alla Vergine vi ho già narrato da questo blog. Il testo che segue, è un’altra testimonianza dell’impegno di questo certosino nella diffusione della devozione mariana.

Aperta sull’infinito

Il primo movimento del Cuore di Maria si porta verso Dio; esso aspira all’Infinito, suo centro e suo fine. Il Cuore della Vergine non ha conosciuto né esitazioni né lotte né ritorni, dal primo istante della sua esistenza ella ha visto che Dio era tutto e l’ha scelto come suo unico bene: «Ho posto le radici… nella porzione del Signore (Sir 24, 12). Il suo Cuore ha avuto sete di questo Bene al di sopra di qualsiasi altro bene e ha aspirato a possederlo con tutta la violenza dei suoi desideri, ha voluto fin da quaggiù la più intima unione con lui, che l’amore possa desiderare: «Mi baci con i baci della sua boccal (Ct 1, 2). Il bacio divino che ha risposto a tale invito è l’incarnazione. Aprendosi all’ Infinito, che era l’unico che la poteva riempire, ella lo attira anche come salvezza del mondo, come fine ultimo dell’umanità. Il suo Cuore era tutto di fiamme per gli interessi di coloro che avrebbe dovuto generare spiritualmente sul Calvario era un fuoco dove i poveri figli di Adamo si trovavano riscaldati, nell’attesa degli ardori del Cuore infiammato di Gesù.

Venne infine l’ora benedetta nella quale il Verbo eterno, obbedendo alla parola di colei che doveva esercitare su di lui l’autorità di Madre, discese nel suo grembo per gustarvi i frutti deliziosi della sua carità e riposarvisi in mezzo ai gigli, prima di correre ad inseguire le sue creature smarrite. Venga il mio diletto-sospirava la Vergine umile – nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti; e l’Amato rispondeva con la voce del arcangelo: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia (Ct 4, 16e 5, 2). (…) Ma Maria non si è chiusa in se stessa. Come Gesù ella è il dono di Dio alla terra; la sua azione è universale.

(Meditations cartusienne tomo 2 pp. 286-287)

“Piena di grazia”

Maria e certosini

Cari amici lettori ecco per voi un testo estratto da “Contemplations Mariales” di Dom Augustin Guillerand. Leggiamo e meditiamo sulle considerazioni di questo immenso autore certosino.

“Piena di grazia”

Tutto ciò che i più grandi teologi nei loro trattati, i pensatori cristiani nelle loro più alte speculazioni, gli stessi santi nelle intuizioni della loro pietà hanno potuto dire, pensare, intravedere la grandezza della Vergine, l’Angelo lo ha ottimamente espresso nella prima parole del suo saluto. Difficilmente potrebbe essere altrimenti. Egli è il messaggero del Dio Altissimo, parla in suo nome, trasmette il suo messaggio, dice quello che direbbe Dio se intervenisse di persona; le sue parole devono quindi avere una pienezza di significato e di espressione che non può essere superata. Ed ecco perché, è ancora meditando su queste parole così semplici, così spesso ripetute, che possiamo farci un’idea più precisa di questa grandezza.L’Angelo scopre e saluta in Maria una doppia grandezza: la sua grandezza davanti a Dio e la sua grandezza davanti agli uomini. La sua grandezza davanti a Dio è la sua grazia, ciò che in Lei c’è di veramente divino, questa vita superiore, soprannaturale, la vita stessa di Dio comunicata. Ogni grandezza naturale, paragonata a questa, non vale nulla; è come il fiore più bello che sboccia davanti a un bambino, non li paragoniamo, è di un altro ordine.In questa vita soprannaturale di grazia con la quale Dio si dona a noi, distinguiamo due realtà: una quindi creata e una dono increato. Infatti, queste due realtà sono legate, ordinate l’una all’altra, fuse… Le distinguiamo solo per studiarle meglio.Il dono creato ci rende partecipi della vita di Dio. Conoscete le due definizioni di Dio date da san Giovanni: “Dio è Luce” (I Giovanni I, 5) e, poi, “Dio è Amore” (Ibid. IV, 16). La Grazia è uno sfogo nell’anima di questa Luce e di questo Amore. Così come Dio illumina eternamente il suo essere per vederlo, per conoscere la ricchezza sconfinata; come, in questo essere come in un grembo, genera una chiarezza, uno splendore, un raggio che lo mostra, così, nell’anima in grazia, produce come uno splendore divino, splendore della sua Luce eterna che fa anima “figlia della Luce”. In questa chiarezza, l’anima lo conosce con una conoscenza nuova, superiore, che la sua natura non può neppure sospettare… Ecco ciò che, con il suo sguardo tutto puro e celestiale, l’Angelo scopre in Maria, ecco ciò che saluta: “ Ti saluto, piena di grazia. » La vede tutta ricolma, inondata di questa chiarezza, come immersa in questo splendore, tutta presa e trasportata da questo Soffio d’Amore. Là «Dio è luce e non ci sono tenebre in Lui» (1 Gv 15). Le parole sono vere della Vergine: in Lei il vaso è limitato, lo specchio ha limiti, la differenza c’è, è infinito, ma è infatti la stessa Luce, e la riproduce senza nuvola, senza ombra; è lo stesso Amore che anima senza contrarietà né resistenze, ma non è tutto, è solo il dono creato, la partecipazione finita alla Luce e all’amore infinito. Dio non si accontenta di versare nell’anima in grazia una parte di Lui, una comunicazione del movimento che è la sua vita; Lui stesso ha detto in persona: “Se qualcuno mi ama”, ha detto Gesù, “il Padre mio lo amerà e noi entreremo in lui e prenderemo dimora in lui. » (Giovanni XIV, 23). «Dio è amore», dice san Giovanni; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio in lui” (1 Giovanni IV, 16). Questo, sapete, è il tema essenziale dell’ultimo discorso di Gesù, il discorso dopo l’Ultima Cena e la preghiera da lui terminata. Questo è ciò che Egli vuole che ricordiamo del suo tempo tra noi e del suo insegnamento: Dio non ci offre solo qualcosa di Se stesso, offre Se stesso. Viene Lui stesso; Lui stesso è presente; le tre Persone sono lì e si donano nell’anima e si donano all’anima come si donano in Dio: questo vede e saluta l’Angelo in Maria. Non vede solo lo splendore di Dio, vede Colui che irradia e riempie quest’anima con la Luce del suo Amore. E per questo aggiunge: «Il Signore è con voi.» Donandosi, Dio dona se stesso. È una legge, possiamo addirittura dire che è la legge per eccellenza, la legge che governa il mondo creato come il mondo divino. Dio risplende nella Vergine affinché lei stessa risplenda Dio nel mondo. Ella deve ospitare il riflettore di Luce divina, i raggi divini devono assumere nel loro splendore misurato, proporzionato alla nostra debolezza e, come è tutta rivolta verso di Lui per accoglierlo in pienezza, così le anime devono volgersi verso di Lei per riceverlo, in pienezza , vedere in lei e riceverlo da lei.

Una lettera di Niccolò Albergati al popolo bolognese

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Cari amici, oggi 10 maggio si celebra la memoria del beato Niccolò Albergati, insigne figura dell’ordine certosino e della Chiesa. In questa ricorrenza ho scelto per voi una lettera scritta di suo pugno, ed indirizzata al “popolo bolognese” che lo acclamava per la nomina di Vescovo della città di Bologna.

“Lettera al popolo bolognese” del beato Nicolò Albergati, vescovo

(dalle Efemeridi dell’Ordine Certosino, a cura dí D. Leone Levasseur, I1, p. 19).

Il Beato rifiuta umilmente la dignità episcopale propostagli dalla comunità bolognese

“Non c’è bisogno o miei concittadini di questo nuovo attestato della vostra benevolenza verso di me, e non penso di esser tenuto a ringraziarvi a meno che — lo dirò liberamente — io non abbia a ringraziarvi per avermi sottratto la pace e la tranquillità dello spirito, a me tanto cara. Vi sono grato per la benevolenza, ma lo sarei molto di più se voi aveste desiderato per me quel bene, cui da tempo Dio mi ha legato, di vivere sulla terra, non solo come ospite e pellegrino, ma pure esule.

Non vogliate credere ad ogni ispirazione (1 Gv 4, 1): che direste se venisse dallo spirito maligno, quella che giudicate di ispirazione divina? Non conoscete le arti del nemico ingannatore, use a nascondersi specialmente dietro la maschera dell’onestà e della religione?

Sappiate, figlioli, che le voci del popolo non sono senz’altro le voci di Dio. Non continuate ad ingannare voi stessi e me. E macabro voler dissotterrare, perché vi governi, un cadavere sepolto da ventidue anni. Non turbate la pace di un morto: vi sarà più utile nel suo sepolcro che fra i vivi, e impetrerà per voi il santo timor di Dio, in cui consiste la vera vita.

Forse ignorate che cosa significhi morire vivendo ed essere sepolto insieme con Cristo (Rom 6, 4). E tuttavia un errore reclamare un monaco, uno che non appartiene più alla città, ma è fuggito dal mondo e si è dato alla solitudine. Che un simile uomo non debba essere posto a capo della città, imparatelo dai vostri avi. Essi videro san Petronio venire al governo non da un eremo, ma dallo splendore della corte imperiale. Non sono amante di me a tal punto da non sentirmi anch’io figlio della mia patria, debitore della mia patria, ad essa legato da affetto congenito. Ma ci sono dei limiti che non è lecito varcare. Colui per il quale le tenebre sono luminose, sa bene se, sulla nave agitata da tanti pericoli, io noncurante dorma il sonno di Giona, o se con gli Apostoli io gridi: «Signore, salvaci: siamo perduti» (Mt 8, 25).

Andate, in nome di Dio, andate con Dio, carissimi, e cercate un pastore più adatto a voi. Lasciate stare questo Certosino inesperto: lasciatelo quieto fra i silenzi cui si è votato: e siate certi che ciò sarà sommamente caro a Dio”.

Nonostante questa accorato appello, Niccolò Albergati fu eletto vescovo della sua città natale il 4 luglio 1417.

Preghiera:

Concedici, o Signore, quella semplicità di

Vita, che ha permesso al beato Niccolò di rimanere

fedele alla sua vocazione di certosino tra le tante

mansioni del suo ministero.

Dom Ludolfo sulla Vergine Maria

LUDOLFO SAXE

Cari amici, eccoci giunti al mese di maggio, notoriamente dedicato alla beata Vergine Maria. Ho scelto per voi, un testo di Dom Ludolfo di Sassonia, estratto dal suo celebre “Vita Christi”, è una originale considerazione sull’aspetto materno della Vergine.

La Madre

Mentre ella pregava e dolcemente piangeνa, ecco venire all’improvviso Gesù in bianchissime vesti, cinto dalla gloria e della novità della sua risurrezione, e sereno in volte, bello gioioso, lieto e contento farsi innanzi alla Madre desolata e addolorata. Alla vista del figlio ella si alza e in lacrime di gioia con tenerezza e ineffabile amore lo abbraccia. Ogni nube di mestizia si dilegua dalla sua fronte e vi brilla il sereno della più tersa letizia. Poi, sedendo entrambi, lo guardava e contemplava nel volto, nelle cicatrici delle piaghe, per tutto il corpo, scrutando diligentemente se ogni sofferenza fosse passata, se ogni dolore si fosse da lui allontanato.

Chi può immaginare la gioia della Madre nel vedere il Figlio risorto per sempre, non solamente perchè non deve mai più morire, ma perchè ormai è l’arbitro assoluto del cielo, della terra e di ogni creatura! Seduti l’uno accanto all’altra parlano gioiosamente insieme e celebrano in questo modo la loro Pasqua. O cara e dolcissima Pasqua che fu quella per Maria! Gesù le raccontò come avesse liberato il suo popolo dalle tenebre della morte e tutto ciò che aveva compiuto in quei tre giorni.

Di questa apparizione di Gesù a sua Madre, prima di tutti gli altri, non c’è alcun accenno nel Vangelo, ma io l’ho riferita e premessa a tutte le altre, perché oltre a trovarsi in un’antica leggenda della risurrezione, è anche una pia credenza. Infatti non era forse conveniente, degno e giusto che il Signore volendo mostrarsi risorto, visitasse prima di ogni altro sua Madre, e della sua risurrezione allietasse prima di tutti colei che lo amò più di tutti, ne pianse la morte più profondamente di tutti, ne desiderò con più fede e ardore di tutti la risurrezione? Non era giusto che colei che aveva condiviso più di tutti i dolori del Crocifisso, fosse la prima a partecipare delle gioie del Risorto? S. Ambrogio afferma: «Maria vide la risurrezione del Signore; fu la prima a vedere e credette; vide anche Maria Maddalena quantunque essa fosse incerta».

(Vita Jesu Christi, parte II, c. LXX, n. 6, pp. 666-667)

Dom Innocent Le Masson sulla Misericordia

Le Masson, Innocent

Cari lettori, oggi per voi ho scelto una preghiera di Dom Innocent Le Masson per esercitare la Misericordia di Dio verso il prossimo.

O Cuore di Gesù, Fonte viva di Misericordia, insegnami a riconoscere degnamente e ad imitare la Tua Misericordia”

“Considera, o anima mia, i sacri movimenti del Cuore di Gesù verso le anime convertite e penitenti che si avvicinavano a Lui. In che modo ha accolto santa Maddalena, Zaccheo, san Matteo e in genere tutti coloro che sono ricorsi a lui. Che amore, che rispetto, che fiducia non merita questo Sacro Cuore, che piange, che geme sulle miserie dei peccatori, che li abbraccia, che dimentica tutte le ingiurie commesse contro di Lui, che festeggia per aver ricondotto a Dio un’anima peccatrice. Dopodiché, cuore mio, oseresti comparire davanti al Sacro Cuore di Gesù, se nutrissi risentimenti o volontarie avversioni contro il tuo prossimo. Il Cuore di Gesù non merita che gli perdoni tutto per amor suo? O Sacro Cuore di Gesù, adoro con tutto il cuore i tuoi movimenti di gentilezza e di misericordia verso i peccatori, perché ho sperimentato i loro effetti in modo davvero singolare. La tua Bontà è talmente desiderosa di Misericordia che minaccia di non mostrare Misericordia a chi non la mostrerà. Ehi, quanta Misericordia posso esercitare verso il mio prossimo che può avvicinarsi a coloro che ho ricevuto, e che ricevo ogni giorno da Te. O Cuore di Gesù, Fonte viva di Misericordia, insegnami a riconoscere e imitare degnamente la Tua Misericordia. Viva il Cuore di Gesù, il Re dei cuori; e regni eternamente su tutti i cuori. O Sacro Cuore di Gesù, sii lodato e benedetto nei secoli, e permettimi di offrirti, come faccio al tuo Eterno Padre, come unico supplemento a tutta la nostra impotenza. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò sollievo».

Così sia.

Amore per amore

Margherita d' Oyngt (Calci)

Ecco per voi un testo della autrice certosina Margherita d’Oyngt. Leggiamo e meditiamo su queste deliziose parole.

Signore, dolce mio Gesù, che devo fare, giacché mi circondano i flutti della morte e mi atterriscono i tuoi giudizi? Il tempo è infatti cosi incerto, che oggi ci sono e domani non so se vivrò ancora, e nessuno è sicuro della sua salvezza. Non so neppure se tu mi ami o no so soltanto, o dolce Signore, che le tue parole sono fedeli e veraci, poiché tu affermi di amare coloro che ti amano. Perciò metterò in atto tutto quello che ritengo possa muovermi ad amarti. Mio dolce Signore, mi pare che la natura spinga l’uomo ad amare i genitori, i fratelli, le sorelle, gli amici, lo sposo e chi gli fa del bene, ma, dolce Creatore, se lo amo mio padre che è un semplice mortale, molto più devo, senza alcun confronto, amare te che sei mio Padre nello spirito e la mia vita in eterno. Io però non son degna di essere chiamata tua figlia, perché ho peccato davanti a te e agli angeli tuoi; tuttavia, siccome so che non vuoi la morte del peccatore, ma che si converta e viva, mi rivolgo a te, come una creatura che non ha né padre, né amico fuori dite. Signore Dio mio, Signore mio caro, non offenderti se ti chiamo Padre, poiché tu mi creasti dal nulla, donandomi l’anima e il corpo, e nella tua bontà mi facesti a tua immagine e somiglianza.

Ah! Signore, ora vedo che non v’è nessuna cosa tanto preziosa e di tanto valore quanto l’anima dell’uomo e della donna poiché tu, la vera Sapienza, in cui risiede la pienezza di ogni scienza e della cui ricchezza è piena la città celeste, conoscendo quanto fosse grande la dignità delle anime create a tua immagine e somiglianza, hai voluto farti negoziatore per comprarle a un cosi caro prezzo, che non è possibile né esprimere né immaginare. Non ti è bastato discendere dal cielo sulla terra e sopportare tanti dolori e obbrobri, ma hai, per di più, voluto effondere tutto il tuo prezioso sangue, per l’immenso amore che avevi per noi.

Allorché considero i tuoi benefici che sono tali e tanti e cosi pieni di amore, penso che se il peggior uomo del mondo vi riflettesse e meditasse, si convertirebbe subito a te. Io invece, misera e afflitta, non so amare te che mi hai nutrita e protetta fin dalla mia nascita. Dolce Signore, non so che altro fare, se non ripensare alle grazie e ai benefici di cui mi hai ricolmata. Concedimi, glorioso Gesù, la grazia di saperli comprendere e meditare in modo tale da acquistare il tuo santo amore.

(Pagina meditationum, Œuvres, pp. 4-5. 11-12. 7-8)

Dialogo con san Bruno 37

6 dialogo

Un’altra esaustiva risposta di San Bruno, in questo immaginario dialogo.

SB – «Essere ostie vive per Dio, sante e gradite», come chiede san Paolo ai cristiani in Rm 12,1, che è il testo evocato dagli Statuti, non è nulla di nuovo né di straordinario; È un’esigenza della vocazione cristiana. Non stupitevi, quindi, che, essendo chiamato e volendo vivere questa vocazione autenticamente, nello Spirito, attraverso gli Statuti, io ti ricordi questa esigenza o questo “dovere”, secondo quanto gli stessi Statuti ti dicono.

Compiere, o meglio, vivere giorno per giorno questo “ufficio”: questo è ciò che oggi ti piace chiamare “l’aspetto o il carattere martiriale della vita religiosa”.

Gli Statuti richiamano esplicitamente la tua attenzione sul fatto che non puoi vivere questo “aspetto o carattere martiriale” separatamente da Cristo, perché Egli è stato “vittima viva, santa e gradita a Dio” poiché il suo “ecco, io vengo, oh Padre, a fa’ la tua volontà” (Eb 10,7) – progetto di salvezza dell’umanità –, finché “tutto sia compiuto” (Gv 19,30) – compimento del piano – Tutta l’esistenza di Gesù è stata “croce e martirio”.

Concretamente, e tu lo sai bene quanto me, è stato un morire un po’ ogni giorno, un perdere la vita nel corso di trent’anni, un donare vita senza sosta, come espressione visibile del suo amore per Dio e uomini.

E tu sai che il desiderio supremo era questo: “Che abbiano la vita in abbondanza” (Gv 10,10). Il suggello di questo desiderio e il pagamento di questa vita abbondante sono stati la sua sofferenza e il suo sacrificio.

Ma nota questo: la sua sofferenza era solidale, cioè a favore degli altri. Con questo Gesù ci ha lasciato la migliore dimostrazione di come ogni sofferenza possa convertirsi – come è successo a Lui – in valore e fonte di vita.

Questa è, direi, la “peculiarità” e l’esemplarità della testimonianza martiriale di Gesù durante la sua vita, che, nella morte, raggiunge l’altezza del suo vero amore, sia come “fonte di vita” che come “esempio” (1 Pt 2,21) e anche come “aiuto” (Eb 2,18).

Il suo martirio costò molto a Gesù; e, da allora in poi, ogni martirio, cruento o incruento, sarà costoso e doloroso per i suoi discepoli. Non è conveniente nascondere questa realtà. Al contrario, è necessario accoglierlo con lucidità, con umiltà evangelica, senza pretendere o rivendicare un “eroismo” che non ci appartiene. Con la convinzione che una legione di cristiani soffre il suo “martirio” nel mondo e dona la propria vita a Dio per la salvezza dell’umanità, nella fedeltà dell’amore al loro Signore Gesù Cristo.

Ti voglio, quindi, non un “eroe”, ma un martire. “Eroe” è qualcuno che compie azioni portentose, forse sovrumane, e che, attraverso questo percorso, entra nella sfera dell’irrealizzabile e irraggiungibile per la gente comune. Martire, al contrario, è il cristiano che, spinto dal suo amore per Dio, dà ragione della sua fede, del suo amore, della sua vita in Dio, costi quel che costi.

La figura dell'”eroe” può essere manipolata; in effetti, questo è ciò che è stato fatto con la vita di alcuni dei primi monaci del deserto, che furono trasformati in “eroi della penitenza”, anche se non era mai venuto loro in mente di pensare a un simile “eroismo”. Il vero martire fugge da tale manipolazione e non farà mai nulla per adorare la propria personalità. Lui stesso ignora il suo martirio. A lui interessa solo Dio, gli interessa solo comunicare la salvezza di Dio e non gli importa nulla del giudizio umano.

Perciò, figlio, consacrandoti a Dio sarai, oggi come ieri, parte di quell’esercito di martiri sconosciuti, testimoni di un amore sempre più grande: «Nessuno ha un amore più grande di colui che offre la vita per i suoi amici» (Gv 15, 13).

Le sofferenze di Cristo come antidoto all’avversione

nella cella

Ecco per voi uno splendido testo di Adamo Scoto estratto dal suo “Libro sul quadruplice esercizio della cella” e rivolto ai suoi confratelli, ma sul quale vi invito a meditare.

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Quando sei solo in cella, sei spesso preso da un certo disincanto, un rallentamento della mente, una riluttanza del cuore. Senti in te una certa, e molto severa, stanchezza; sei un peso per te stesso; quel conforto interiore di cui eri così felicemente abituato a godere ora manca. La dolcezza che avevi ieri e l’altro ieri si è ora trasformata in grande amarezza. Quel flusso di lacrime completamente prosciugato, da cui eri abituato a essere cosparso così abbondantemente. La forza vitale spirituale è scomparsa in te, la bellezza è perita. Porti con te un’anima lacerata e frantumata, un’anima confusa e squarciata, un’anima triste e amara, e non trovi dove posarla per riposare. Neanche a te piace la lettura; la preghiera non reca dolcezza; non troverete più le solite piogge di contemplazione spirituale.

Ma alzati, liberati dalla polvere, sciogli i ceppi del tuo collo! Consideriamo colui il cui fianco è stato ferito dalla lancia del soldato; che ha versato il sangue per la nostra redenzione e l’acqua per il nostro lavacro spirituale. Tolto dalla croce, fu sepolto, depredò il mondo sotterraneo, lo pugnalò, uccise la morte, fu risuscitato, apparve, mangiò con i discepoli, ascese dove era prima. Certo, non è partito da lì quando è venuto qui, né ha lasciato questo luogo quando è tornato lì. In questo modo dovresti guardarlo e quindi avere gli occhi nella tua testa. Se consideri costantemente questa e altre cose che in questo modo si riferiscono a Lui con la necessaria devozione e la corrispondente preoccupazione in te stesso, sì in te.

Distacco, fonte di serenità

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In questo testo Dom Augustin Guillerand, afferma che ci si avvicina alla serenità, come deve fare ogni asceta, parlandoci di distacco. Leggiamo e meditiamo!

Distacco

Il distacco è l’unico segreto della serenità vera e duratura. Risiedono nel distacco dalle realtà e dagli eventi effimeri che costituiscono il tessuto superficiale della nostra vita. Tutta questa superficie ci lascia vuoti e delusi quando non ci fa male. Abbiamo bisogno d’altro e istintivamente andiamo all’unica realtà duratura quaggiù che è il profondo della nostra anima. Portiamo dentro di noi, infatti, un germe primitivo da cui ha origine tutto il nostro essere e tutti i suoi sviluppi. Questo piccolo seme, alla sua radice iniziale, non cambia. È Lei che garantisce la sostenibilità del nostro essere attraverso il cambiamento incessante di ogni giorno e di ogni ora. È il dono continuo che Colui che è ci fa di Sé. Partecipa alla sua Immensità e alla sua Immutabilità. Quando ci distacchiamo da tutto ciò che passa e scendiamo in queste profondità, ci sentiamo fuori dall’effimero e dal nulla, e gustiamo una pace che è la Sua pace: “Vi do la mia pace”.

Ora Gesù ci ha insegnato che questo luogo intimo è il regno del Padre, che chi vi regna non è solo l’Essere che è ma l’Amore che si dona. È il suo luogo, il seno del Padre, “in sinu Patris”. È lì che ci chiama: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi darò sollievo”. Ti farò di nuovo. Lì, infatti, avviene una creazione continua. (…)

Troppo spesso immaginiamo che il distacco cristiano consista nel non amare nulla. Ciò è terribilmente impreciso. Non c’è mai stato un cuore più amorevole di quello di Gesù; e i nostri cuori devono essere modellati sul suo. Amare è il grande, e anche l’unico, comandamento. (…) Ma l’amore deve immolare tutto ciò che gli impedisce di donarsi. Questa immolazione è distacco. Il distacco è quindi il lato negativo dell’attaccamento o dell’amore. »

( Scritti spirituali, volume 2, pagina 209s)

Pasqua 2024

Pasqua 2024

Nell’augurarvi una serena e gioiosa Pasqua, piena di luce e speranza, voglio offrirvi un testo concepito dal certosino Dom Tarcisio Geijer, egli ci parla di un dono.

Leggiamo e meditiamo!

Un dono necessario

Carissimi fedeli, prima di allontanarsi con la sua umanità gloriosa dalla terra, Gesù assicura la continuità della presenza divina fra gli uomini promettendo l’effusione dello Spirito Santo. Ai suoi che rimangono lascia come eredità preziosa il Paraclito – cioè: l’avvocato e il consolatore – il quale altro non è che l’amore di Dio in persona. Lo Spirito di Dio ci appartiene, e prende possesso di noi, nella misura in cui noi vogliamo appartenere a Cristo. L’azione dello Spirito conduce per gradi l’uomo a una somiglianza effettiva col Cristo e garantisce la natura umana dall’oscuro passaggio della morte, poiché “renderà la vita anche ai nostri corpi mortali” nella risurrezione finale, della quale la risurrezione del Salvatore è fondamento, preludio e anticipo. La vita del cristiano ha da essere, essenzialmente, una vita di fede, ossia di serena accettazione dell’esistenza, della presenza e dell’azione che lo Spirito Santo, procedente dal Padre e dal Figlio e costituente con loro un’unica Divinità nella Trinità delle Persone, viene disgelando e svolgendo nelle singole anime e in tutta la Chiesa. Dove un uomo crede, ivi lo Spirito agisce; dove uno soffre per amore, ivi è lo Spirito; dove uno ama secondo la legge della carità, lo Spirito ama in lui. Lo Spirito effettua per conto di Dio la lotta incessante del bene contro il male; per le vittorie ch’egli ottiene, il maligno, “principe di questo mondo, è già condannato”. Per subire con docilità l’influenza dello Spirito e tradurla nella pratica caritativa, il cristiano deve chiedere allo Spirito lasciatoci da Gesù come Consolatore, avvocato e custode, la grazia di non farsi coinvolgere nelle vicende di questo mondo sino a dimenticare che lui – redento dal Cristo – è più grande, più nobile e forte del mondo. Deve chiedere ogni giorno di sentirsi su questa terra come straniero e pellegrino. Lasciati in eredità dal Cristo allo Spirito di Dio, noi abbiamo a nostra volta ereditato da Gesù lo Spirito; egli è nostro nella misura con cui noi vogliamo appartenere a Cristo.

E come di consueto vi inoltro gli auguri della comunità certosina di Serra San Bruno.