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Silenzio, e poi ascolto

Icona Bruno

Cari amici voglio proporvi questa esternazione sul silenzio, da un certosino, che ci spiega in maniera semplice la ricchezza del loro silenzio per protendersi all’ascolto.

′′ Il silenzio è ascoltare: non l’aspettativa febbrile di una parola che colpirebbe le nostre orecchie o riempirebbe il nostro cuore, ma una tranquilla ricettività a colui che è presente e che lavora senza rumorosità nel nostro essere più intimo. Ecco perché si dice che la nostra solitudine è terra sacra, un luogo dove, come uomo con il suo amico, il Signore e il suo servo parlano spesso insieme; c’è l’anima fedele frequentemente unita alla Parola di Dio; c’è la sposa fatta una con il suo coniuge; c’è la terra unita al cielo, la divina all’umano Il silenzio, infatti, coniuga l’assenza di parole, sulle labbra e nel cuore, con un dialogo vivente con il Signore. …. . ‘ Il frutto che porta il silenzio è noto a chi lo ha sperimentato. Dio ci ha condotto in solitudine per parlare al nostro cuore. Questo è silenzio: lascia che il Signore pronunci dentro di noi una parola uguale a se stesso. Essa ci raggiunge, senza sapere come, senza poterne delineare i precisi contorni; tuttavia, la Parola stessa di Dio arriva e risuona nel nostro cuore.”

(Un certosino)

Come non collegarlo al meraviglioso XX° capitolo del primo libro de “L’imitazione di Cristo”, ai quali suggerimenti vi lascio. Che meraviglia!!!

Dom Ambroise Crollet

per priori generali

Oggi voglio portarvi a conoscenza di Dom Ambroise Crollet il Priore Generale che fu in carica per un brevissimo periodo.

Dom Ambroise Crollet, originario di Bourg en Bresse, abbandonò il mondo all’età di ventidue anni ed andò a chiudersi nella solitudine della Grande Certosa dove emise la Professione nel 1886. Il Reverendo Padre Dom Antoine de Montgeffond, che seppe apprezzarne i meriti, lo chiamò, nel 1731, alla carica di scriba o segretario dell’Ordine. Dom Ambroise Crollet esercitava ancora questa funzione quando fu chiamato a succedere al generale defunto, il 6 giugno 1731. Il noto zelo di Dom Ambroise per la disciplina regolare dava l’impressione che avrebbe continuato con fermezza l’opera dei suoi predecessori, ma Dio lo chiamò a sé pochi mesi dopo. La morte del Reverendo Padre Dom Ambroise Crollet è registrata nella Necrologia della Grande Certosa il 21 gennaio 1732. Aveva sessantanove anni e ne aveva passati quarantasette nell’Ordine. Vadano a lui un ricordo ed una prece.

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 23)

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CAPITOLO 23
Amministrazione temporale


1 I beni affidati alla priora non sono né suoi né degli uomini; appartengono al Cristo povero, ed è a lui che dovrà rendere conto di tutto. Spetta quindi alla priora dirigere i suoi ufficiali ed i loro assistenti nell’amministrazione economica della casa, ed esercitare una prudente amministrazione, davanti a Dio, secondo la sua coscienza, secondo i principi dell’Ordine e le prescrizioni degli Statuti. Sarà cura di evitare ogni spesa ingiustificata. (St 29.1)
2 Quando una priora prende l’incarico, il contabile le presenta una dichiarazione dei principali beni mobili e immobili della casa. Questo documento, controfirmato dalla priora e dai membri del suo consiglio, deve essere conservato in archivio. (St 29.2)
5 Per la sussistenza dei loro monasteri, i nostri primi padri decisero di non fare affidamento su donazioni ricevute occasionalmente, ma di avere, per Dio, stabili rendite annuali. Era inopportuno, pensavano, assumere, sulla base di risorse incerte, certe responsabilità che non potevamo né assolvere né liberarci senza grandi rischi. Inoltre, andare in giro per il mondo a chiedere l’elemosina li inorridiva. (St 29,5)
6 Crediamo, tuttavia, che ci basteranno modeste risorse, con l’aiuto di Dio, se l’ispirazione originaria della nostra vita rimane viva in mezzo a noi, nella sua ricerca di ciò che è umile, povero e sobrio nell’abito, vivendolo, e tutto ciò che è per il nostro uso; infine, se ogni giorno progredisce il distacco dal mondo e l’amore di Dio, per il quale tutto bisogna fare e tutto sostenere. Indubbiamente, le parole del Signore sono rivolte a noi: Non ti preoccupare per il domani, il tuo Padre celeste sa che hai bisogno di tutto questo. Cerca prima il regno di Dio e la sua giustizia. (St 29.6)
14 La casa ha diritto di possedere ciò che è necessario per consentire alla comunità di vivere secondo la nostra vocazione; tuttavia, deve evitare ogni forma di lusso, guadagno smisurato o accaparramento; solo così potremo testimoniare l’autentica povertà. Non basta che le monache siano dipendenti dalle loro superiori nell’uso dei beni; devono, come Cristo, essere veramente poveri il cui tesoro è nei cieli. Non basterebbe liquidare lo sfarzo; bisogna ancora evitare le convenienze eccessive, perché tutto nelle nostre case respiri la semplicità della nostra vocazione. (St 29.14)
16 Avremo edifici sufficienti e adatti al nostro modo di vivere, ma saranno sempre molto semplici. Le nostre case, infatti, non sono monumenti alla vanagloria o all’arte, ma devono testimoniare la povertà evangelica. (St 29.16)
19 Infine rivolgiamo una fervida preghiera a tutte le priore. Nel nome di Gesù Cristo, nostro Dio e Salvatore, che per amore nostro ha dato se stesso interamente sul legno della croce, preghiamo ciascuno di loro di dedicare tutto il proprio cuore a fare abbondanti elemosine secondo i mezzi della sua Casa. Pensiamo che qualsiasi somma sprecata o sconsideratamente trattenuta sarebbe un furto commesso contro i poveri ed i bisogni della Chiesa. Manteniamo così i beni della terra come destinazione comune e prendiamo a modello i primi cristiani, tra i quali nessuno pretendeva di avere nulla di proprio, perché tutto era loro comune. (St 29.19)

NEWS: E’ online il nuovo sito ufficiale della certosa San Josè

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Cari amici Cartusiafollowers, è con gioia immensa, che diffondo la notizia di questa novità e voglio condividerla con tutti coloro che mi seguono su questo blog. Sono lieto di annunciarvi un nuovo sito ufficiale dell’Ordine certosino, riguardante la certosa argentina di san Josè. Raggiungibile al seguente indirizzo: https://www.cartujasanjose.org/ 

In esso sarà possibile scorgere contenuti inediti, come testi, immagini e video molto accattivanti delle attività quotidiane della comunità monastica.

Vedendo questi, potremo ammirare lo svolgimento dell’attività claustrale svolta da una comunità alquanto numerosa e giovane, frutto di un lavoro incessante svolto dai primi certosini che giunsero in Argentina. Un seme, che ha dato i suoi copioso frutti!

La decisione presa dai vertici dell’Ordine, credo sia in linea con quello che io ho percepito in questi anni. In un’epoca, dove la società è fortemente minata nelle fondamenta risultando impoverita, i giovani hanno voglia e desiderio di cercare Dio attraverso una vita semplice basata sulla ricerca dell’essenziale. Pertanto entrare in comunicazione con le nuove generazioni, attraverso un nuovo accattivante sito internet, credo sia una scelta encomiabile, poiché potrà consentire ai giovani di entrare in contatto diretto con l’Ordine certosino, ritenuto apparentemente quasi etereo.

Dom Stefano Cassiani, “il certosino”

Targa Cassiani

Cari amici, voglio oggi farvi conoscere un certosino noto per il suo talento pittorico. Dom Stefano Cassiani detto anche “il certosino”.

Baldassarre Cassiani, figlio di Giovanni e Caterina, nacque il 9 marzo 1636 ad Ansano presso Pescaglia (Lucca). Nel 1653, decise di prendere l’abito certosino nella vicina certosa di Farneta, assumendo il nome di Stefano. Durante lo scorrere della sua vita claustrale ebbe modo di entrare in contatto con un pittore minore, tale Giovanni Fondagna, il quale stava decorando alcuni ambienti della certosa lucchese. Fu così che Dom Cassiani apprese i primi rudimenti sulle tecniche pittoriche, sviluppando un gran talento innato. Erroneamente si narra che Bernardino Poccetti gli fece da maestro, ma ciò non fu possibile poichè il prolifico artista toscano morì nel 1612. A Farneta sotto la guida del Fondagna, Dom Stefano cominciò a dipingere qualcosa, poi notate le sue doti, fu inviato alla certosa di Pontignano, presso Siena dove effettuò lavori nella chiesa. Precisamente, nel 1660, Dom Cassiani completò le scene mancanti della seconda e della prima campata, adattandosi per quanto possibile allo stile del Poccetti che non aveva terminato il ciclo di affreschi. Egli esegue con maestria gli affreschi con la Gloria di San Bruno e San Pietro che consegna a San Bruno il libro dell´Uffizio della Beata Vergine, scena che sulla sinistra contiene il curioso inserto del pittore in abito da certosino, reggente la tavolozza e il pennello, chino davanti al suo superiore benedicente, contro una balaustra su cui è scritto “OBEDIENTIA PRAEVALET ARTI”. Dom Cassiani ricoprì anche l’incarico di Padre Procuratore a Farneta, integrando alla vita claustrale la sua attività pittorica, che lo fece peregrinare per le certose toscane di Farneta, Pontignano, Calci e Galluzzo. Nel 1685, nel presbiterio della chiesa della Certosa di Calci realizza il Martirio dei santi Gorgonio e Donato e il Martirio di San Giovanni Evangelista e nella cupola, la Vergine con la Trinità in gloria. Negli anni novanta del Seicento si colloca la decorazione del coro della chiesa di S. Paolino a Lucca con la Gloria del santo titolare, le figure dei santi Pietro e Paolo dipinte a monocromo, l´autoritratto del pittore e il ritratto del committente, il priore Jacopo Bernardini, accompagnati dall´iscrizione “DILEXI DECOREM DOMUS TUAE” a sottolineare l´impegno profuso dai due religiosi nell´ornamentazione del sacro luogo. Fu attivo anche alla certosa del Galluzzo a Firenze, laddove affresca la Gloria di S. Andrea Corsini, nell’omonima cappella sita nella certosa. L´ultimo lavoro di Dom Cassiani di cui si ha notizia è rappresentato dal complesso ciclo decorativo condotto nella chiesa della certosa di Farneta, dove il pittore finì i suoi giorni il 15 febbraio del 1714. Dom Cassiani un grande artista, che visse la sua arte subordinandola alla preghiera ed alla penitenza nella cella, nel rispetto della severa regola certosina.

Una perplessità da chiarire

maps Giaveno Avigliana

Recentemente, ho ricevuto da parte di alcuni lettori un quesito su di una perplessità che intendo chiarire in questo articolo, e che spero gradirete tutti.

Mi si chiedeva per quale motivo in Piemonte, in provincia di Torino, ed ad una breve distanza tra loro sorgono due certose, che spesso inducono alla confusione.

Facciamo chiarezza.

Certosa di Avigliana (1598-1630) monaci

Certosa di Giaveno (1904-1995) monache

Comprenderete, che a causa della quasi contiguità, si è ingenerato negli anni una ragionevole confusione.

Detto ciò, conosciamo la loro storia diversa per epoca e per utilizzo.

Cominciamo con la prima.

Certosa di Avigliana

veduta satellitare

La comunità della certosa di Banda subì una violenta incursione vandalica, ed in seguito a ciò si trasferì nel 1598 ad Avigliana, presso un convento abbandonato dagli Umiliati, e donatogli il 15 giugno del 1595.

Con la chiesa e il convento di Santissima Trinità viene accordato ai certosini le “vigne et alteni contigui”, un bosco, dell’estensione di 83 are, con unito un caseggiato, ai confini con Giaveno. I certosini si insediarono e trasformarono l’antica struttura per adeguarla alla propria regola, restaurarono in particolar modo il coro, la cappella della Beata Vergine delle Grazie e il chiostro. Essi dimorarono in suddetta certosa serenamente fino al 1630, quando Carlo Emanuele I di Savoia per difendere la città di Avigliana dall’attacco dei francesi, impose ai monaci di sgombrare il monastero obbligandoli a trasferirsi a Banda. Il complesso monastico fu distrutto ma Carlo Emanuele promise ai monaci che dopo la guerra avrebbe costruito una nuova certosa. Questa promessa fu mantenuta in seguito dalla figlia, la Duchessa reggente Cristina che nel 1642 fece edificare la certosa di Torino.

Cronache della zona raccontano che in seguito i certosini si occuparono della riedificazione della chiesa: la cappella del coro e l’altare. L’8 dicembre 1638 sono lì a celebrare la “solennità della Concezione della Vergine Sacratissima” e la Comunità cittadina fa voto solenne di “farvi ogni anno in quel giorno una solenne processione da cominciarsi e finirsi ad essa cappella come sin qui si pratica col canto della Messa grande, Vespri, comunioni numerose et altre divozioni”. I monaci rientrano definitivamente in possesso di quello che è rimasto degli edifici e dei terreni circostanti. Si dedicano soprattutto alla completa ricostruzione della chiesa: le dimensioni sono più modeste. Viene intitolata alla Beata Vergine delle Grazie, ad essa vi affiancano un’abitazione e un caseggiato rustico per la conduzione dei terreni.

Oggi, possiamo ammirare la cappella, dedicata alla Madonna delle Grazie che sorge fuori le mura del Borgo Nuovo presso la Porta Folla.
L’attuale breve navata aderisce al coro, parzialmente scampato alla demolizione del convento, e divenuta certosa dal 1595 fu riedificata successivamente al culto dagli stessi monaci, cui si deve l’intitolazione attuale, fu da essi officiata fino al 1733, quando venne ceduta al farmacista Gallizio di Avigliana, che la utilizzò come cappella privata della propria contigua residenza, l’attuale scuola elementare Norberto Rosa.

Certosa di Giaveno

veduta satellitare

In un convento francescano fondato nel 1515 dal Beato Tommaso Illirico, situato lungo la strada panoramica che, all’imbocco della Val di Susa, si arrampica fino alla Sacra di San Michele, l’ordine certosino istituì una casa rifugio per le monache in fuga dalla Francia. Provenienti dalla certosa di Beauregard, esse vi si insediarono nel 1904. Soltanto alcuni anni dopo, nel 1912 essa divenne certosa autonoma, ospitando una piccola comunità femminile, comprendente un noviziato per le monache del coro e per le suore laiche. Nel 1994 la comunità di consorelle certosine si trasferì nella certosa di Dego. Dopo lunghi e impegnativi lavori di restauro, l’ex certosa di San Francesco (della Mortera) è stato riaperta nel 2011 come “luogo di riposo e riflessione”. Il Gruppo Abele si attivò per l’acquisto e per il restauro – un intenso lavoro durato 18 anni – affinché rimanesse luogo fedele alla sua storia. Il complesso è attualmente gestito dall’associazione Certosa1515 Onlus, ancora oggi qualcuno la chiama erroneamente certosa di Avigliana, confondendola con la precedente che vi ho descritto. Le foto satellitari e le immagini che accludo, sapranno fugare la confusione. 

foto con monaci

Cartolina con monaci certosini che assicurano, le funzioni sacerdotali alle monache.

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 22)

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CAPITOLO 22

La povertà

1 La suora ha scelto di seguire il Cristo povero per arricchirsi nella sua povertà. Senza sostegno terreno, conta su Dio, e il suo tesoro è in cielo, dove anche il desiderio del suo cuore la chiama. Ai suoi occhi niente è suo: è quindi sempre disposta a mettere nelle mani della priora, quando chiede, tutto ciò che le resta a disposizione. (St 28.1)
2 Le donne che professano i voti solenni non hanno nulla di loro, se non ciò di cui l’Ordine semplicemente concede loro l’uso. Hanno anche rinunciato a chiedere, ricevere, dare o alienare qualsiasi cosa senza permesso. Anche tra di noi, è necessario il permesso per scambiare o ricevere qualsiasi cosa. (St 28.2)
3 I professi di voti temporanei e quelli conferiti conservano la proprietà dei loro beni e la capacità di acquistarli; ma non tengono con sé oggetti personali, non più dei novizi. La maestra delle novizie instillerà soprattutto il distacco dai beni materiali e dalle comodità, e l’amore per la povertà. (St 28.3)
4 Secondo un detto di Guigo, se un parente o un amico manda un vestito o qualche altro dono a un monaco, non è a lui, ma a un altro che viene dato, per evitare l’apparenza di proprietà. Nessuno, quindi, si permetterà di rivendicare un diritto d’uso o altro privilegio sui libri o su qualsiasi altro bene acquisito dall’Ordine grazie ad esso. Al contrario, se le viene concesso il godimento di tali oggetti, lo riceverà con gratitudine, nella convinzione che non le appartengono. Mai, però, una suora dovrebbe avere denaro a sua libera disposizione, né tenerne con sé. (St 28.4)
5 Poiché il Figlio dell’uomo non aveva dove posare il capo, conserviamo nelle nostre celle l’assoluta semplicità e povertà. Assicuriamoci instancabilmente di eliminare ogni superfluo e ogni ricerca, ricorrendo anche volentieri al parere della priora. (St 28,5)
8 Nelle nostre vesti evitiamo ogni raffinatezza e ogni superfluo che sarebbe contrario alla semplicità e alla povertà. I nostri padri non avevano altra cura in questo campo che proteggersi dal freddo e coprirsi decentemente; secondo loro, per i certosini erano perfettamente adatti tessuti o oggetti di uso quotidiano molto grossolano. Manteniamo questo spirito, assicurandoci che i nostri vestiti e la nostra cella siano puliti e decorosi. Tranne in caso di malattia o di viaggio, la nostra biancheria da letto deve essere conforme all’austerità monastica. (St 28.8)
9 Gli strumenti economici sono ammessi solo a coloro che, a giudizio della priora, ne hanno veramente bisogno. L’uso degli strumenti musicali non è conforme alla nostra vocazione. Tuttavia, per imparare la nostra canzone, possiamo ammettere i dispositivi che servono a guidare la voce o a registrarla. Ma radio e televisione sono del tutto esclusi dalle nostre case. (St 28.9)
10 Così grande è la varietà delle condizioni locali che spesso ciò che è necessario in un luogo diventa superfluo altrove, e difficilmente è possibile stabilire una legge valida ovunque e per tutti. Invitiamo piuttosto le priore a provvedere con buona grazia a tutti i bisogni reali delle loro monache secondo i mezzi della casa. Si lascino trascinare dalla carità di Cristo, e non potranno sopportare su questo punto un rimprovero degno, specialmente quello di aver spinto, con eccessiva parsimonia, le loro monache nel vizio della proprietà. Infatti, più la nostra povertà è volontaria, più piacerà al Signore. Ciò che è lodevole non è essere privati ​​delle comodità della vita, ma privarsi di esse. (St 28.10)

Una preghiera per l’Assunzione di Maria

Assunta, Battistello Caracciolo (1631)

Cari amici per celebrare oggi con voi la solenne Festività della Assunzione della Beata Vergine Maria, voglio offrirvi una sublime preghiera. Essa fu concepita dal certosino Dom Augustine Guillerand, qulache giorno prima della sua morte avvenuta il 12 aprile del 1945. Nel culmine delle sue sofferenze fisiche ed interiori, causategli da una perniciosa uremia e da una forma tubercolare che lo stava consumando, Dom Guillerand compose la preghiera che segue, e che oggi vogliamo innalzare alla Beata Vergine Maria per questa ricorrenza.

Lo sguardo celeste di incessante tenerezza, il tuo cuore amoroso si riversa sul mio cuore, Madre dell’Amore bello, è la carezza soave dove trovo ogni dolcezza, è sollievo nelle dure sofferenze, dove il Dio che mi vuole spezza la resistenza del mio corpo materiale a il suo Spirito d’Amore, vieni a portarlo nella sua dimora divina, è un sussulto nello sforzo dell’anima mia, che il nulla fugace vorrebbe trattenere, è una voce che lo reclama sulle alture, lontano dal pericolo. È un legame sacro, come il bacio di una madre, che forma intorno a me il sicuro baluardo di Colui che per mezzo di lei è diventato mio fratello, Gesù, adorato Maestro.

Dialogo con San Bruno 7

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

Cosa possiamo fare per uscire dal nostro “marasma”?

CG – Padre, poiché con te non si deve avere paura o sfiducia, mi sia concessa questa fiducia filiale: perché a volte siamo così duri, così ingenerosi, così reticenti nel dono di noi stessi e nel vivere la nostra vocazione? Cosa dobbiamo fare per uscire da questo marasma? Parlo per me stesso.

SB – Poiché parli per te stesso, io risponderò a te e, in te, a tutti coloro che si sentono come te.

La prima cosa che devi fare è non perdere mai di vista la tua vocazione; cioè quell’amore di predilezione che essa suppone, da parte di Dio verso di te.

È vero che mentre rimanete in questo mondo terreno, voi uomini siete – così come eravamo e come saranno quelli a venire – fragili, incostanti, deboli…Tutti germi di corruzione che provengono dalla prima ferita. Eppure, è nel piano di Dio che rispondiamo al suo amore con tutto ciò che siamo e abbiamo. Nella nostra debolezza si manifesta la potenza della sua grazia. In effetti, è così che dovremmo vivere la nostra continua conversione; questo atteggiamento e disponibilità dell’anima verso la fedeltà costante, che gli antichi monaci chiamavano “conversione dei costumi”.

Sì, caro figlio, non pensare che siano i tanti anni trascorsi nella vita certosina, nella solitudine e nel silenzio, non pensare che siano loro a darci la soluzione del problema. No. Non sono gli anni trascorsi che coltivano la santità dell’anima, ma l’amore con cui si vivono quegli anni.

Ricorda che l’opzione preferenziale che è sorta nel tuo cuore, nei primi giorni della tua vocazione, esige subito il “tutto” del dono di te stesso. E la risposta deve venire dallo stesso luogo in cui è entrata la chiamata del Signore: dal profondo del tuo cuore, dal profondo del tuo amore. Sì, in lui deve regnare, dominare, imperare Dio, il suo amore, la sua gloria. Questa è stata la tua scelta monastica: essere tutto di Dio, con l’integrità del tuo amore, con la purezza del tuo cuore.

Hai notato l’insistenza con cui ho esortato Raul sulla necessità di rispondere a Dio con assoluta onestà, cioè di adempiere a quello che gli abbiamo promesso? E non ho esitato un attimo a ricordargli il fatto, come accadde nel giardino della casa di Adamo, dove lui e Fulco erano insieme a me: “Ardendo nell’amore divino, abbiamo promesso, abbiamo fatto voto di abbandonare il mondo fugace, e a ciò ci siamo disposti a catturare l’eterno e ricevere l’abito monastico. L’avremmo fatto subito…ma, con il ritardo, il coraggio si raffreddò e il fervore svanì (Lettera a Raul).

La tentazione di Raul, impegnato con Dio senza essere monaco, compare spesso anche – e non solo all’inizio – nella vita del monaco impegnato con Dio e già residente nel monastero. Il buon vino rischia sempre di perdere la sua qualità. Bisogna fare attenzione!

“Omnes et omnia videat”

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L’articolo odierno è tratto da un post pubblicato sui canali social della Certosa monumentale di Calci, oggi visitabile come museo. Trattasi di una bizzarra curiosità che voglio proporre alla vostra attenzione.

Come voi sapete, miei cari lettori, la massima comunità di una comunità monastica certosina è guidata da un Padre priore, il quale come tutti gli altri monaci ha una cella che si affaccia sul chiostro. Ha però la peculiarità di avere una dimensione maggiore, o meglio di estendersi in altri ambienti di solito molto curati, con stanze di rappresentanza atte ad ospitare eventuali ospiti illustri e non. Loggiati, studioli e talvolta meridiane o orologi e biblioteche impreziosiscono questi spazi, adornati solitamente da pregevoli dipinti affreschi e mobili. Essenzialmente il Padre Priore ha la possibilità di poter controllare l’intera certosa con tutti i suoi spazi monastici.

Premesso ciò ecco per voi questa singolare tabella che veniva affissa sulla porta della cella priorale, attraverso essa il priore indicava di volta in volta gli ambienti in cui poteva essere rintracciato in caso di necessità, in basso anche una sorta di orologio per indicare forse il tempo della sua assenza. Insomma grazie all’ingegno come al solito nulla era lasciato alla casualità!

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Inoltre forte è l’espressione simbolica in certosa, motivo per cui il sovraporta che decora l’accesso alla cella sul lato del chiostro è caratterizzato da un soggetto fortemente simbolico. Sul copricapo priorale campeggiano tanti piccoli occhi bene aperti, esplicito riferimento alla onnivegenza, il tutto accompagnato da un messaggio di grande chiarezza: “Omnes et omnia videat”, ad indicare la capacità del priore di vedere tutti ed ogni cosa, a monito per tutti i confratelli.

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Ma vorrei sapere se qualcuno è in grado di testimoniare la presenza di qualcosa di simile in qualche altra certosa, sarebbe interessante saperlo.