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  • Memini, volat irreparabile tempus

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La morte d’amore

Ed eccoci giunti miei cari amici lettori al termine di questo mese di giugno, nel quale vi ho offerto diversi testi di autori certosini sui quali abbiamo meditato la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Oggi per concludere, vi propongo un testo di Dom Giovanni Battista Simoni estratto da un libro che scrisse e pubblicò nel 1924, esso rimane quello maggiormente conosciuto e diffuso: “Manete in dilectione mea”. Il contenuto dello scritto l’ho trovato davvero delizioso per una profonda riflessione.

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Amare il Cuore di Gesù significa saper soffrire molto, sempre, da soli, in silenzio, col sorriso sulle labbra, sotto lo sguardo di lui che scruta i cuori, nell’abbandono completo delle persone care, senza essere compresi, senza essere compianti e consolati; saper nascondere come un tesoro inestimabile, in fondo all’anima trafitta e dolorante, in mezzo al cuore coronato di spine il sacro “mistero della croce”.

Amarlo vuol dire dimenticare noi stessi e le nostre miserie per ricordarci solo di lui, che è la risurrezione e la vita, gettare in quel Cuore adorabile ogni ansiosa sollecitudine di progresso spirituale, e quando pure ci vedessimo caduti per la centesima volta nelle stesse imperfezioni, rialzarci sempre con prontezza con umiltà e con pace, confidando nel perenne miracolo della sua grazia onnipotente, riposandoci nella dolcezza infinita d perdono di Dio.

Amare il Cuore di Gesù significa venerare nei sofferenti le stimmate gloriose del Crocefisso, e circondare d tenero affetto le loro membra livide e straziate, nelle quali egli rinnova ogni giorno e perpetua nei secoli il poema ineffable della sua Passione.

Amarlo significa soffrire con lui per le sue pene, e riparare in modo affettivo ed effettivo, pratico, efficace, infaticabile, generoso, intelligente, per i delitti enormi coi quali i suoi nemici profanano la sua Persona, conculcano il suo onore, avviliscono nel fango la sua dignità, insultano chi lo rappresenta, e contemporaneamente espiare per le colpe – materialmente forse meno gravi, ma formalmente più ingiuriose – di quanti dovrebbero per professione e per libera scelta essere i suoi amici, e invece.. “di nuovo crocifiggono…”(Eb 6, 6).

Amare il Cuore di Gesù significa favorire ed aiutare «con la santità e la sincerità che vengono da Dio» (2Cor 1, 12) chiunque fatica per la sua gloria, rinunziando senza rammarico, per il bene comune, a pretesi diritti di precedenza o a brevetti di invenzione, coprendo col manto della carità debolezze e miserie, dimenticando nel silenzio e nel perdono parole amare gesti poco cortesi, evitando con cura puntigli d’onore, meschine gelosie e rivalità, che compromettono tanto spesso la dignità la riuscita del ministero.

Amarlo vuol dire compiere con fede e con sollecitudine il nostro dovere oscuro, nell’uniformità di una esistenza monotona e nascosta, senza pretendere approvazioni, senza denigrare chi emerge, senza intralciare, con mal celata invidia, le iniziative altrui senza esultare per il loro insuccesso, senza calpestare chi è caduto senza negare il merito o calunniare le intenzioni, in una parola senza impedire o condannare il bene, per il solo fatto che non porta la nostra marca di fabbrica: «Purché in ogni maniera.. Cristo venga annunziato» (Fil 1, 18).

Amare il Cuore di Gesù significa saperci contentare del necessario nelle cose materiali, e cedere lietamente il superfluo alle opere della Chiesa, al seminari, al monasteri poveri, alle missioni, alla sua università, a chiunque conosce la fame, il dolore, le strettezze, l’infermità, “le persecuzioni per la giustizia”(Mt. 5,10).

Amarlo vuol dire cambiar l’oro, l’argento, le gemme del nostro scrigno in quelle opere di carità illuminata che non temono la ruggine né i ladri: “far si che le pietre diventino pane” (Mt. 4,3), e che i doni immeritati dalla Provvidenza si cambino in strumenti di misericordia.

Amare il Sacro Cuore significa «ricambiarlo con tutto l’amore che richiede da noi; amore forte, che non si lascia piegare, amore puro, che ama senza secondi fini e senza interesse, amore crocefisso, amore di preferenza, d’oblio, di abbandono, per lasciare che il Sacro Cuore agisca, tagli, bruci, annienti in noi quanto gli dispiace. Ed ecco perché è tanto necessario lasciarci condurre da lui, e lasciarlo lavorare in noi – tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno, tutti gli anni della vita – lasciarci inebriare dalla follia della croce, compiere i sacrifici più duri, non solo con fedeltà e sottomissione perfetta ai suoi disegni, ma anche con gioia sovrabbondante: «Perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9, 7); e sia quando dona sia quando riprende i suoi doni, benedirlo nei secoli.

Amare il Cuore di Gesù vuol dire amare con passione la sua santa Chiesa, fiore verginale germogliato dal suo sangue, con un’adesione sempre più completa ai suoi precetti, diventando ognuno di noi “obbediente fino alla morte” (Fil 2,8).

Amarlo significa condividere cordialmente le gioie e le sofferenze del sommo Pontefice – «il dolce Cristo in terra» (Caterina da Siena) – e seguire in tutto e sempre, con docilità e prontezza, i suoi comandi, le sue esortazioni, le sue raccomandazioni, l’espressione dei suoi desideri, sotto qualunque forma e per qualunque mezzo ci siano trasmessi: accettarli pienamente, anche quando fossero contrari ai nostri modi di vedere, alle nostre corte vedute, alle pretese sempre nuove del nostro interesse, ai vuoti sofismi dei quali è così fecondo l’amor proprio ferito. Essere devoti del Cuore di Gesù significa bruciare dal desiderio di farlo conoscere e di farlo amare, di estendere il suo regno, di glorificare il suo nome, di compiere la sua volontà sotto qualunque aspetto ci si manifesti; significa amare gli uomini che costano il suo sangue: amarli tutti, amarli sempre, con purezza e sincerità, nella continua immolazione, immolazione perpetua, totale dei nostri gusti, dei nostri ideali, del nostro benessere.

(Manete in dilectione mea, pp. 105-110)

Una Risposta

  1. Tout un programme !!

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