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Aldilà dell’Assoluto

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Una volta che i limiti dei certosini sono ammessi, ci incontriamo finalmente all’interno della vita certosina stessa. Allora cominciano le sorprese, anche se si sa in anticipo cosa troverebbe nella vita di una comunità. Le persone vengono con le prospettive di un profondo isolamento per lanciarsi nella vita della pura divinità. Allora, ci troviamo arrestati nella rete multipla di obblighi di una vita familiare. Immaginiamo di trovare solo i santi attorno a noi, ma invece scopriamo con orrore il regno della mediocrità. Peggio di tutto questo, ci rendiamo conto che l’Assoluto stesso è scomparso. Nulla rimane di ciò che ci ha portati a questo posto. Sarà, per caso, un segno che abbiamo sbagliato la strada o si tratta di un nuovo gioco di Dio che si lascia scoprire in un momento irriflessivo?

L’ingresso in una famiglia

Non si tratta di vivere insieme come estranei, dal momento che siamo così pochi a vivere nello stesso deserto in cui siamo attratti dallo stesso ideale. Chi non vuole fare ingresso nella vita di famiglia sarà rifiutato da essa e presto constaterà che la sua vita familiare sarà radicalmente minata. Se vuole davvero continuare la ricerca dell’Assoluto, non c’è altra soluzione che affrontare questa vita familiare ed inserirsi in essa con lealtà, onestà e con tutto il cuore.

Questa esigenza sociale si manifesta molto rapidamente rivelando la profondità della vocazione certosina. Nessuno può cercare efficacemente Dio fuori delle vie del Vangelo, ossia, delle vie della carità. Sarebbe invano una ricerca dell’Assoluto che volesse allontanarci, in ogni modo, dall’amore dei nostri fratelli. Allora, gli insegnamenti di Gesù e del discepolo prediletto sono formali: la carità che unisce i figli di Dio è la stessa che unisce il Padre ed il Figlio. Entrare nella famiglia certosina è entrare direttamente nella famiglia divina, varcando con Gesù risorto il velo sul sentiero che porta alla presenza di Dio. Ma nella vita certosina quest’immagine umana della famiglia divina è limitata, ridotta, e ha senso solo all’interno della grande famiglia dei figli di Dio: il Corpo mistico di Cristo, la sua Chiesa. Non si può sottovalutare la rivoluzione di valori che spesso questo provoca nella mentalità del novizio. Essendo venuto a perdersi nell’Assoluto che lo aveva affascinato totalmente, egli scopre improvvisamente che quest’Assoluto è molto diverso da quello che immaginava. L’Assoluto è un’immagine che noi facciamo di Dio: la realtà di Dio è il Figlio, che è nel seno del Padre, che ci è stato rivelato quando Egli ci ha detto che il Padre amava il Figlio e che i due ci amano e verranno a noi. Infatti, una scelta crocifiggente deve essere fatta: o l’Assoluto che ci riempe e ci racchiude in noi stessi, oppure il rapporto che ci dilata all’infinito, però a costo di una lontananza e, allo stesso tempo, di un’apertura a tutti coloro che ci circondano, qualsiasi siano le affinità che abbiamo per loro.

2° Il regno della mediocrità

Assolutamente non è necessario aver vissuto a lungo tra i certosini per rendersi conto che non mancano le piccole miserie della vita, che le solite povertà della natura umana sono presenti, anche se ognuno fa un vero sforzo verso la perfezione, il cui modello è il Padre. Questo non è una novità. La storia dimostra che le cronache di antichi certosini o gli archivi dell’Ordine sono il riflesso delle comunità in cui i personaggi di grande santità o distinzione sono molto rari. È in una nuvola grigia, senza rilievo, che accade la vita della maggior parte dei certosini. Le controversie con i vicini, piccoli eventi all’interno della comunità.

Una conoscenza più approfondita delle anime permette lentamente scoprire che questi elementi esterni deludenti nascondono, molto spesso, tesori della vita interiore, generosità e un’autentica ricerca di Dio. Tuttavia, non si può negare che tali gioielli sono spesso inseriti in pietre poco attraenti.

Potrebbe capitare di essere diverso per quanto riguarda l’Assoluto? Non è forse il salvataggio di un vicinato pericoloso al fuoco? Questo mette in evidenza tutti i difetti, tutte le scabrosità, tutte le miserie che, in altre circostanze, si annegherebbero in una marea di banalità circostante. Voler affrontare la luce di Dio equivale a esporsi, deliberatamente, a vedere esplodere alla luce del giorno tutti questi difetti, tutte queste cose meschine. Prima essi appaiono agli occhi degli altri, e dopo, quando la luce è purificata, appaiono agli occhi di se stesso. In primo luogo scopriamo la mediocrità degli altri, poi la nostra.

È il rischio che si corre quando si punta in alto, cioè, trovarsi sempre più lontano dal termine, e così soffrire intensamente.

Ad un livello più prosaico, è necessario considerare anche il prezzo della rottura con il mondo. Nella misura in cui la solitudine è efficace, essa ci priva di un gran numero di contributi, che introdurranno all’interno della comunità una spinta o un rinnovamento che la mascherano o cercano di attenuarla in certo modo.

C’è una scelta fondamentale da fare: o scegliere Dio e accettare che la perfezione proviene principalmente dall’interiore, o lasciare aperte alcune porte al mondo, in modo che altri mezzi umani, che non sono i mezzi del deserto, intervengono al loro modo. La solita scelta dei certosini è la prima opzione. Accettarla deliberatamente e con piena coscienza è un vero sacrificio, è un ingresso alla solitudine estremamente costoso. Si tratta, infatti, di accettare consapevolmente vedere un sogno diventare parte delle loro disponibilità umane, affinché Dio possa fluire all’interno. Un ambiente così, solo conviene alle anime che hanno già acquistato un certo livello di maturità umana e la capacità di autonomia personale nella loro attività spirituale ed intellettuale.

Andare definitivamente al di là dell’Assoluto

La scoperta della mediocrità, prima negli altri e poi in sé, è una direzione ancora più sconcertante verso la luce. La santità, la perfezione, le virtù, tutte queste nozioni che, anche inconsapevolmente, interpretiamo come riflessi dell’Assoluto dentro di noi, a poco a poco svaniscono. Tutto ciò che può fare me stesso il centro, un nucleo di cristallizzazione autonoma, tutto questo deve scomparire al fine di rimanere in conformità con il Cristo risorto. Tutto è pura relazione con il Padre. Anche nella Sua umanità, Egli ha acquistato i titoli della divinità, è stato privo di ogni ricchezza creata, al fine di essere nient’altro che pura relazione.

Questa è la direzione a cui il monaco deve rivolgersi gradualmente, prima nella sua vita interiore, e dopo in tutte le sue attività, tanto nella cella, come nella comunità. Imparare a non concentrarsi su se stesso, ma concentrarsi su essere preso dal movimento dell’amore divino, che non ha né inizio né fine, né obiettivo né principio, né limite né confine, consegnato al soffio dello Spirito, senza sapere da dove viene e dove va.

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Queste poche riflessioni permettono di indovinare le scoperte sempre più sconcertanti di un’anima che accetta di essere guidata dalla luce divina. Tuttavia, questa evoluzione, che costringe ad oltrepassare infinitamente ciò che in un primo momento sembrava l’ideale più attraente, è l’opera di Dio. Sembra che Egli ci ha ingannati, poiché ci porta dove non vogliamo andare. Ma in realtà, Egli ci rivela gradualmente una verità che non siamo in grado di ricevere fin dall’inizio. L’amore di Dio è l’unica garanzia del certosino, è la sua unica forza in un percorso in cui appunto si tratta di perdere tutte le riserve, di non avere più in sé qualsiasi fonte di potere o giudizio autonomo. Bisogna credere nell’Amore e consegnarsi ad esso.

Un certosino

Una Risposta

  1. Le détachement de soi est évidemment une affaire de longue haleine et ne peut s’effectuer sans un total abandon à la divine Providence.

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