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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 4)

monaca in preghiera in cella

CAPITOLO 4
A guardia della cella
1 La nostra principale applicazione e la nostra vocazione è trovare Dio nel silenzio e nella solitudine. Là, Dio e il suo servo tengono frequenti conferenze, come fa tra amici. Là, spesso, l’anima fedele è unita alla Parola di Dio, la sposa allo Sposo, la terra al cielo, l’umano al divino. Ma la strada è lunga, arida e arida sono i sentieri che devono essere seguiti fino alla sorgente, nella terra promessa. (St 4.1; 12.1)

Le monache di clausura

2 La monaca di clausura, particolarmente dedita a curare il silenzio e la solitudine della cella, deve fare molta attenzione a non contraffare o accettare occasioni di uscita, eccetto quelle che la regola fornisce; anzi, considererà la cellula indispensabile alla sua salvezza e alla sua vita come l’acqua per i pesci e l’ovile per le pecore. Se si abitua a lasciarlo spesso, per futili motivi, le diverrà presto insopportabile, perché, dice sant’Agostino, per gli amici del mondo non c’è lavoro peggiore che restare senza lavoro. Al contrario, più è rimasta in cella, più vi starà volentieri, a condizione che vi si occupi con ordine e con frutto, leggendo, scrivendo, cantando, pregando, meditando, contemplando e lavorando. In questo tempo, prenda l’abitudine all’ascolto silenzioso del cuore, che permette a Dio di entrarvi per tutte le strade e per tutti gli accessi. In questo modo, aiutando Dio, ella eviterà il pericolo che spesso si annida nella solitudine, di cedere al riposo nella cella, e di essere infine annoverata tra i mediocri. (St 4.2)

Le monache laiche

4 Dio chiama anche il converso o il donato a godere delle benedizioni e della gioia divina che portano la solitudine e il silenzio. Il suo cuore sia come un altare vivo dal quale si eleva incessantemente al Signore la pura preghiera, e che questa permei tutte le sue azioni. (St 4,11) 5 Ella vegli con premurosa sollecitudine sulla sua solitudine esteriore, che generalmente non è protetta dal ritiro dalla cella. Ma questa solitudine esteriore resterà infruttuosa se in ogni momento, anche durante il lavoro, non sa mantenere la sua mente solitaria, ma evita la moderazione. (St 12.2) 6 Quando l’Ufficio non trattiene i colloqui in chiesa, né lavora nelle obbedienze, essi ritornano sempre nella cella come porto tranquillo e sicuro. Rimangono lì in pace e per quanto possibile senza rumore, seguono fedelmente il loro programma e agiscono sempre sotto lo sguardo di Dio nel nome del Signore Gesù Cristo, ringraziando per suo mezzo Dio Padre. Nella cella sono utilmente occupati a leggere o meditare, specialmente la Sacra Scrittura che è il nutrimento dell’anima; oppure si applicano alla preghiera quanto possono. Stanno attenti a non forgiare o accettare occasioni per uscire, eccetto quelle previste dalla regola, o quelle suscitate dall’obbedienza. La natura, infatti, a volte vorrebbe sfuggire al silenzio della solitudine, e della tranquillità spirituale. (St 12,3)

7 Uno dei primi atti di carità verso le nostre sorelle è il rispetto della loro solitudine. Non entriamo nelle loro celle senza permesso. Chi ne è provvisto non entra inaspettatamente; bussa, aspetta che qualcuno le apra, poi saluta religiosamente, e la conversazione resta breve. (St 4.4,6; 12.6,7) Tra questo momento e l’Angelus mattutino, senza un motivo eccezionale, non possiamo andare o essere chiamati nella cella della priora o in quella degli ufficiali. (St 12.9) 10 Ogni anno, per otto giorni, consecutivi o divisi in due periodi, ciascuno di noi si dedica più totalmente alla pace della cella e alla meditazione; dati per almeno tre giorni. Secondo l’usanza, l’anniversario della nostra professione o della nostra donazione è l’occasione propizia per questo ritiro. Una suora che lo desideri può fare un simile ritiro un giorno al mese, a giudizio della priora. (St 4,10; 12,5) 11 Ciò che la solitudine e il silenzio del deserto portano di utilità e gioia divina a chi li ama, solo a chi lo conosce, a chi lo ha sperimentato. Qui, infatti, gli uomini forti possono quanto vogliono ritornare in se stessi e rimanervi, coltivare con cura i germi delle virtù e nutrirsi di prelibatezze di frutti del paradiso. Qui, ci sforziamo di acquisire quell’occhio il cui sguardo limpido ferisce lo Sposo con un amore puro e trasparente che vede Dio. Qui ci concediamo uno svago senza ozio e ci immobilizziamo in un’attività tranquilla. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dà ai suoi lottatori la ricompensa desiderata: una pace che il mondo ignora e gioia nello Spirito Santo. (San 6,16)