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La Nube della non-conoscenza 17

NUBE

CAPITOLO 17

Il vero contemplativo non ama interessarsi della vita attiva, né di quanto si dice o si fa nei suoi confronti, e non sta a confutare i suoi detrattori.

Nel vangelo secondo s. Luca sta scritto che mentre nostro Signore si trovava nella casa di Marta, sorella di Maria, per tutto il tempo in cui Marta si affaccendava a preparargli da mangiare, Maria se ne stava seduta ai suoi piedi. E mentre ascoltava la sua parola, non si curava né dell’affanno della sorella (anche se era un affanno del tutto buono e santo: non è, infatti, la prima parte della vita attiva?), né della preziosità del sacro corpo di Cristo, né della dolcezza umana della sua voce e delle sue parole (anche se tutto ciò sta a indicare un progresso, poiché si tratta della seconda parte della vita attiva, ovvero della prima parte di quella contemplativa). Ma quel che le interessava era la suprema saggezza della divinità del Signore velata dalle parole della sua umanità: a questo mirava con tutto l’amore del suo cuore. Con tutto quello che vedeva intorno a sé o si diceva o si faceva nei suoi confronti, non voleva assolutamente staccarsi di lì: se ne stava seduta senza batter ciglio e indirizzava un segreto anelito e molti, dolcissimi slanci d’amore verso quell’alta nube della non-conoscenza che si frapponeva tra lei e Dio. Voglio dirti questo: non c’è mai stata e non ci sarà mai in questa vita una creatura, per quanta pura ed estasiata nel contemplare e amare Dio, che non abbia sempre tra sé e Dio questa nube della non-conoscenza così alta e misteriosa. Proprio in questa nube Maria era tutta presa dai molti slanci segreti del suo amore. Perché? Perché è la parte migliore della contemplazione, e la più santa che ci possa essere su questa terra. Per niente al mondo ella avrebbe la sciato questa sua occupazione. Tant’è vero che quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore e lo pregò di dirle di alzarsi ad aiutarla e di non lasciarla sola a servire, ella se ne restò seduta senza dire una parola e non mostrò alcun segno di risentimento, né protestò nei confronti della sorella, come invece avrebbe potuto fare. Niente di strano: ella era intenta a fare un altro lavoro, di cui Marta non si rendeva conto. Per questo non si curò di ascoltarla, né di rispondere alle sue lamentele. Vedi, amico mio: tutto quel che avvenne tra nostro Signore e queste due sorelle, in opere, parole e gesti, vale come esempio per tutti gli attivi e i contemplativi che da allora sono sorti nella santa chiesa e che ancora vi saranno fino al giorno del giudizio. Maria impersona tutti i contemplativi, perché questi devono modellare la loro vita sulla sua; allo stesso modo e per le stesse ragioni Marta raffigura tutti gli attivi.

La Nube della non-conoscenza 16

NUBE

CAPITOLO 16

Grazie a questo lavoro, un peccatore veramente convertito e chiamato alla contemplazione giunge prima alla perfezione che non facendo qualsiasi altro lavoro; e perdi più in brevissimo tempo può ottenere da Dio il perdono dei peccati.

Che nessuno accusi di presunzione chi, fosse anche il più miserabile peccatore di questo mondo, dopo aver fatto debita ammenda dei propri peccati e aver sentito dentro di sé la vocazione alla vita contemplativa, con pieno consenso del suo direttore spirituale e della propria coscienza, osa offrire a Dio il suo umile slancio d’amore e premere in segreto quella nube della non-conoscenza che sta tra lui e il suo Dio. Quando nostro Signore disse a Maria, tipica rappresentante di tutti i peccatori chiamati alla vita contemplativa: «Ti sono rimessi i tuoi peccati», ella non fu perdonata né per il semplice ricordo dei suoi peccati, né per il grande dolore che ne aveva, e neppure per L’umiltà che aveva acquistato nel considerare la propria miseria. Perché allora? Fu senz’altro perché amava tanto. Ecco! Qui si può vedere quel che riesce a ottenere da nostro Signore una segreta pressione d’amore; ed è ben al di là di ogni altra cosa che possiamo fare o immaginare. Tuttavia devo riconoscere che grande era il suo dolore e versava lacrime amare per i suoi peccati ed era veramente ricolma d’umiltà al pensiero della sua miseria. Allo stesso modo anche noi, che siamo dei miserabili e dei peccatori incalliti per tutto il tempo della nostra vita, dovremmo provare un immenso dolore per i nostri peccati e diventare veramente umili al pensiero della nostra miseria. Ma come? Certamente come ha fatto Maria. Ella non poteva non sentire un sincero e profondo dolore per i suoi peccati, poiché in tutta la sua vita li portava con sé dovunque andasse, legati assieme come in un fardello riposto nell’intimo del suo cuore, così da non scordarli mai. Ciò nonostante, secondo quanto afferma la bibbia, Maria aveva un dolore ancora più vivo, una brama più penosa, un sospiro più profondo, e ancor più si struggeva quasi a morte, perché voleva amare Dio in misura maggiore: era questo ad angosciarla più che non il ricordo dei suoi peccati. E tutto ciò, quando già grande era il suo amore per Dio. Non devi però meravigliarti, poiché a chi ama sui serio capita veramente così: più ama e più vorrebbe amare. Tuttavia, ella era pienamente cosciente di essere la più infame tra tutti i peccatori e sentiva dentro di sé con rigorosa verità l’abisso che i suoi peccati avevano creato tra lei e quel Dio che tanto amava. Ed erano proprio i suoi peccati la causa principale per cui era debole e non riusciva ad amare Dio come avrebbe voluto. E allora? Forse che discese dall’alto del suo desiderio nell’abisso della sua vita peccaminosa, per frugare nel letamaio e nelle acque luride e stagnanti dei suoi peccati? E si mise forse a tirarli fuori accuratamente uno alla volta, così da rimuginare, dolersi e piangere sopra ciascuno di essi? No di certo! Perché? Perché Dio, per sua grazia, le aveva dato di comprendere nell’intimo del proprio cuore che non ne sarebbe mai venuta a capo in questo modo. Se avesse agito così, avrebbe ripreso con ogni probabilità a peccare prima ancora di ottenere con ciò il perdono di tutti i suoi peccati. Ecco perché appese il suo amore e il suo ardente desiderio a questa nube della non-conoscenza e imparò ad amare quel che non sarebbe mai riuscita a vedere chiaramente in questa vita alla luce della ragione, né a gustare pienamente nell’intimo con la dolcezza del suo affetto. E amava a tal punto, che spesso non si ricordava nemmeno più di essere stata una peccatrice. Per la maggior parte del tempo era così presa dall’amore per Dio che, penso, non faceva più caso alla bellezza e alla grazia del corpo fisico di Cristo, per quanto fosse santo e prezioso, quando egli sedeva a parlare con lei; e non badava a nessun’altra cosa, né materiale né spirituale. Questo sembra essere l’insegnamento del vangelo su questo punto.

Le ricette dei certosini (6)

ricettario cartusia

Cari amici, prosegue la rubrica “Le ricette dei certosini”, scelte per voi, ed estrapolate da un antico ricettario certosino.

Comunque, qualunque cosa tu faccia, mangi, beva o qualsiasi altra cosa, fai tutto ad onore di Dio. Corinzi (10,31).

Lenticchie alla spagnola

Ingredienti

1/2 Kg Lenticchie
1 Foglia di Alloro
1 Una testa d’aglio
1 una fetta di pane
1 ciuffetto di prezzemolo
Sale q.b.
1 cucchiaio di farina
50 Gr. Burro o olio

Svolgimento

Mettere a bagno le lenticchie il giorno prima. Metterle sul fuoco con acqua fredda con alloro e aglio. A parte soffriggere nell’olio una fetta di pane, gli spicchi d’aglio, il prezzemolo, il sale e la farina. Schiacciare e passare attraverso il passatutto. Quando le lenticchie saranno cotte, versateci dentro questo soffritto. Fate bollire il tutto per qualche minuto. Servire caldo.

Zucca gratinata

Ingredienti

1 Kg. Zucca
1 Pizzico di sale
50 Gr Burro
1/2 litro di latte
3 Uova
100 gr di formaggio
1 pepe
Noce Moscata a piacere

Svolgimento

Sbucciare la zucca, tagliarla a metà, tagliare con la punta del coltello l’interno della superficie piana di ogni metà in diagonale che si incrocia in senso opposto, che forma un angolo perfetto, al fine di facilitarne la cottura. Si mettono in un recipiente con burro e sale in forno, la giriamo in modo che non brucino, a cottura ultimata aggiungiamo uova, latte, formaggio, noce moscata macinata e sale. Si mescola bene per farla aderire alla superficie con una spatola di ferro; Cuocere in forno e rosolare. Servire caldo.

Salmone con salsa di cipolle

Ingredienti

1 Kg. Salmone
1 Una Cipolla
1 cucchiaio di olio
1 cucchiaio di farina
1 bicchierino di Vino bianco
1 tazza di brodo
1 foglia di Alloro
Sale q. b.
1 Peperoncino o pepe

Svolgimento

Tritare le cipolle; mettetelo in una casseruola con l’olio; lasciate insaporire un attimo e poi aggiungete la farina; continuare sempre a farlo raffreddare fino a quando la cipolla non prende colore; bagnare con il vino bianco, il brodo, il sale, il pepe, l’alloro; portare a bollore e versarlo sulle fette di salmone dopo averle messe in padella; portare a bollore a fuoco rapido per almeno trenta minuti. Vedi se è un buon sale. Servire con la salsa.

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Una testimonianza dall’Argentina

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Voglio ringraziare un amico cartusiafollower, che dall’Argentina ha voluto inviarmi un testo sulla sua esperienza fatta in certosa, è mio piacere proporre il suo scritto a tutti voi.

Cari amici amanti della certosa,

tra quelli di noi che ammirano l’Ordine certosino, molti di noi hanno avuto l’onore e il privilegio di aver vissuto per alcuni giorni in uno dei suoi monasteri. Dopo aver fatto diversi ritiri nella Cartuja San José, in Argentina, scrivo questa lettera per poter condividere questo dono con coloro che non hanno potuto stare in una Cartuja. Ci sono tre citazioni bibliche che mi vengono in mente quando penso alla mia esperienza. La  prima è Lc 4,1-2: «Gesù, pieno di Spirito Santo, tornò dal Giordano e per quaranta giorni fu condotto dallo Spirito nel deserto (…)». Come è noto, salvo poche eccezioni, si può andare a fare un ritiro alla Cartuja solo se si aspira ad abbracciare quel modo di vivere. Per 16 anni sono stato un’aspirante “cronico”, per vari motivi a volte sentivo di avere quella vocazione ed a volte no. E in quei 16 anni ho fatto diversi ritiri, 8 in totale, di circa 5 giorni ciascuno. Il che assomma ad un totale di circa 40 giorni. Forse ne erano di più, ma mi piace pensare che fossero 40; Mi aiuta a capire che non è stato un caso che ci sono andato, non è stato un errore nella mia storia personale. Ci sono andato per la prima volta quando avevo 17 anni, gennaio 2000, per una visita che è durata poche ore. Sapevo che dovevano passare almeno 4 anni per entrare per due motivi: i minori di 21 anni non sono accettati e ci sono voluti almeno 4 anni prima che il monastero fosse terminato. I 4 monaci fondatori vivevano in una mini-certosa provvisoria (ora si chiama “Casa San Bruno” e ha alcune dipendenze dei frati). Il luogo in cui ora sorge il monastero era a quel tempo solo terra rimossa ed alcune fondamenta. È così che mi sentivo anch’io, come qualcuno in costruzione. In quei 4 anni sono cresciuto con il monastero. Ho fatto 3 ritiri nel 2001, 2002 e 2003. Ma prima che il monastero fosse finito e prima di compiere 21 anni, molti dubbi mi hanno portato a rimandare il mio ingresso a tempo indeterminato. Invitato dal Padre Rettore (non c’era il priore allora) ho visitato nuovamente la Certosa nel 2006 e 2007, ma non come aspirante. Infatti non ho occupato le celle dei monaci, ho soggiornato nella locanda. Sono stati due ritiri molto certosini, ma ho seguito il mio ritmo e il mio programma. E poi ho smesso di andare. Nel 2011 ho attraversato di nuovo la Certosa quando con la mia famiglia siamo andati a vedere il rally di Dakar a Córdoba. Questa volta sono potuto andare con mia madre e due fratelli. Erano scioccati. Uno dei miei fratelli in realtà è ateo e un po’ anticlericale, ma anche oggi, quando si parla della Certosa, dice sempre che “sono qualcosa di diverso”. Anche quella visita mi ha colpito in modo speciale. Stavano per ricevermi, ed io mi sentivo più maturo. Dopo avermi ricevuto, nel gennaio 2013 ho deciso di fare un altro ritiro ed entrare. Sarebbe stato il mio sesto ritiro in Certosa, ma per la prima volta lo avrei fatto nella cella di un monaco, più precisamente nella cella di un padre. In quel ritiro, il maestro dei novizi ed io ci accordammo per una data di ingresso come postulante per luglio di quell’anno, perché avevo dei debiti da pagare. Ma ad aprile un evento doloroso nella mia famiglia e che ha coinvolto la chiesa (di cui preferisco non approfondire) ha fatto sì che la mia presenza all’esterno continuasse ad essere importante. E ancora una volta ho rimandato il mio ingresso. Questo doloroso evento di cui parlavo era un prima e un dopo nella religiosità della mia famiglia. Era una crisi. Ha colpito anche me. Ho avuto una profonda depressione e ho anche iniziato a prendere droghe. E una volta che le nuvole hanno cominciato ad aprirsi dopo la tempesta, qualche anno dopo, ho fatto i miei ultimi due ritiri spirituali nella Certosa, nel 2015 e nel 2016. Ho occupato le celle dei fratelli. E nel 2016 ho visto che quello non era il mio posto, infatti sono partito qualche giorno prima del previsto. O forse è il mio posto, ma personalmente non ero al meglio. Cinque anni fa sono stato in quella terra sacra per l’ultima volta, e credo che non sia mai passato così tanto tempo tra una visita e l’altra da quando ci sono andato per la prima volta. In questi 5 anni il contatto con i monaci è diminuito. Ricordo che nei primi anni ogni volta che li chiamavo al telefono mi rispondevano e potevo parlare con loro. Ora la mia comunicazione con loro è una e-mail ogni tanto con il padre maestro dei novizi, l’unico con cui continuo a essere in contatto. Visite come quelle che ho fatto nel 2006 e nel 2007 sono ormai impensabili. Così come sono molto diverso da quell’adolescente di 17 anni che ero alla mia prima visita, anche la Cartuja San José non è la stessa. Maturò anche, si assestò, e di conseguenza chiuse anche di più il recinto per somigliare all’ideale che aveva San Bruno quando fondò a Chartreuse ed in Calabria. Ecco perché il contatto è diminuito. Stanno pregando. A volte viene in mente l’idea di chiedere un’altra esperienza, ma a questo punto entrare sarebbe più difficile. Ho un lavoro stabile a cui dovrei rinunciare se volessi entrare, e se non funzionassi come certosino dovrei ricominciare da capo in un mondo in cui trovare lavoro è sempre più difficile, soprattutto per qualcuno vicino ai 40 anni. E’ la mia famiglia, che nella mia lontana adolescenza ho visto con occhi così buoni che mi consacro come religioso, in questo momento non lo vedrei lo stesso. Senza contare che la famiglia è cresciuta e ora ho dei nipoti. Ma anche se non fossi entrato, la certosa mi era rimasta impressa. Il che mi porta alla seconda delle 3 citazioni bibliche: “Se ti dimentico, o Gerusalemme…” (Salmo 137). Nessuno che ci sia stato se ne va senza aver imparato qualcosa. Tutti noi che passiamo e partiamo portiamo con noi un po’ di Certosino. Nel mio caso è stato distaccare la mia fede dai segni sensibili. Lì ho capito che Dio c’è ma noi non lo vediamo, ci ascolta anche se non parliamo e parla in silenzio. L’ho scoperto soprattutto nel silenzio della cella. Ho anche un’esperienza liturgica molto ricca con me. La Messa in rito certosino, così semplice e con tanti silenzi, con quell’equilibrato accostamento di latino e volgare, e il Mattutino e le Lodi a mezzanotte erano una vera scuola di preghiera. Non dimenticherò mai la Cartuja. È in me come la Terra Promessa era nel cuore di Mosè. E questo mi porta alla terza citazione biblica, che è Dt 34,4. Sento che a me, come Mosè, Dio mi dice: “Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non ci entrerai”.

un ex aspirante certosino

Dialogo con San Bruno 1

6 dialogo
Come vi avevo promesso, ecco per voi la prima risposta di San Bruno alla domanda fattagli dal certosino intervistatore.
CG – Perfettamente! Veniamo a ciò che conta.
Come ti dicevo, abbiamo ricevuto per tua mediazione la grazia di essere certosini. Vuoi dirmi cos’è per te essere certosino?
SB – Penso che essere certosino sia soprattutto aver ricevuto dallo Spirito una mozione ed una forza che ci identifica con Cristo, risorto ed attratto dal Padre.
In altre parole, potrei dire così: essere certosino significa sentire nel profondo della propria anima un’imperiosa necessità di vivere per Dio e per Dio nel silenzio e nella solitudine.
Naturalmente, questa necessità non è sempre sentita allo stesso modo o nella stesso grado.
Infatti, questa è la grazia che, uscendo dal cuore di Dio, viene al mio cuore di Padre per comunicarvelo.
In questo senso, non dici niente di sbagliato quando mi chiami “canale”; nel caso “vocazionale” o “vita cartusiana”.
Sì, è una grazia dell’amore di Dio, come opportunamente è stato ricordato dal primo numero degli Statuti.
D’altra parte, se leggi con un po’ di attenzione le mie lettere, vedrai che il mio cuore di Padre esulta di gioia per questo dono che vi è stato dato una volta per tutte.
Ciò significa che se esiste un legame fra te e me e fra tutti i certosini, e se vuoi avere un autentico sigillo della nostra dipendenza reciproca, tale legame e sigillo non può essere altro che un amore generoso per questo Dio che ci ha chiamati per puro amore e verso tutti coloro che ci ha dato come fratelli.
In verità, è stato Dio che ci ha chiamati per il nostro nome e ci ha riuniti per formare un’unica Famiglia nell’amore, nella pace e nella gioia.
Infine, penso che essere certosino significhi anche, ora, nel tuo secolo, mettere il cuore in Dio, vivere con Lui faccia a faccia, mantenere viva la sua intimità e attendere, nel silenzio dell’amore e della contemplazione, la salvezza di Dio.
Ora, quando senza veli di alcun genere sono alla presenza del Dio vivente, così ardentemente desiderato sulla terra, questo è il ruolo di padre che devo svolgere finché ci saranno certosini nel mondo: trasmettere ai miei figli la grazia del ‘desiderio di Dio’; una passione sempre più ardente di cercarLo senza venir meno, di trovarLo con maggiore facilità e di possederLo pienamente nell’esperienza dell’amore.
Questa è la strada per diventare veramente certosini. Questa è la nostra vocazione. Questo è essere certosini secondo il desiderio dello Spirito che ci ha chiamati.
Perciò io dico a te e attraverso di te a tutti i certosini di oggi la stessa cosa che dissi ai certosini di un tempo:
«Rallegratevi, carissimi, per il destino della vostra felicità e per l’ampiezza della grazia di Dio su di voi.
Rallegratevi di essere sfuggiti alle acque tumultuose del mondo e ai suoi numerosi pericoli e naufragi.
Rallegratevi di avere raggiunto il rifugio tranquillo e sicuro di un porto nascosto, dove molti desiderano arrivare; e molti ci provano facendo qualche sforzo ma non vi arrivano» (Lettera ai monaci della Certosa).

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Ricognizione delle Reliquie del Busto di San Bruno.

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Carissimi amici lettori di Cartusialover e devoti di San Bruno, ecco per voi un documento video davvero eccezionale, oserei dire la testimonianza di un momento storico. E’ con grande emozione che, condivido con voi tutti il video ed alcune foto realizzate dall’amico Bruno Tripodi, il quale ci aveva già regalato immagini del primo atto del restauro del busto reliquiario, del quale vi avevo relazionato in un articolo dello scorso otto ottobre.

In occasione del restauro del busto reliquiario di San Bruno eseguito dal Dottor Antonio Adducci, opera del 1516, realizzata a Napoli, lo scorso 18 ottobre 2021, alla presenza del Priore Dom Ignazio Iannizzotto ed alla comunità certosina, visibilmente emozionata, si è proceduto all’apertura del busto argenteo, alla ricognizione ed al prelievo della reliquia del Santo Patriarca San Bruno.

Assisteremo alle varie fasi del sistema di accesso alla reliquia, che ha inizio con l’apertura dello sportello sottostante mediante apposita chiave, dal quale si accede per poter raggiungere tre perni che tengono unita la testa al tronco. Una volta svitate queste tenute si può separare il volto dal cappuccio ed accedere così alla reliquia.

Per gentile concessione della Certosa pubblichiamo questo video di Bruno Tripodi, al fine di rendere fruibile un documento di rara importanza per la comunità tutta.

Buona visione

Grazie Bruno Tripodi, che ci hai regalato queste immagini molto emozionanti!

E soprattutto GRAZIE alla espressa volontà del padre Priore Priore della Certosa calabrese Dom Ignazio Iannizzotto, per cui è stato possibile documentare l’apertura del busto argenteo che custodisce i resti del fondatore dell’Ordine. Ecco per voi il video e le foto, mentre per l’approfondimento storico sulle reliquie vi rimando all’articolo degli amici de “Il Vizzaro”.

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La Nube della non-conoscenza 15

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CAPITOLO 15

Breve argomentazione contro l’errore di coloro che sostengono che l’umiltà perfetta deriva dalla coscienza della propria miseria.

Devi credere fermamente a questo: che esiste un’umiltà perfetta così come io te l’ho spiegata, e che la si può conseguire, per grazia di Dio, già su questa terra. Questo discorso io lo faccio per confutare l’errore di chi sostiene che non vi è causa più perfetta di umiltà, se non quella che nasce dal ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi. Sono pienamente d’accordo sul fatto che per i peccatori incalliti come me, il modo più necessario ed efficace per ottenere l’umiltà sta nel ricordo della nostra miseria e dei peccati commessi, almeno fin quando non sia stata in gran parte raschiata la spessa ruggine del peccato, testimoni la nostra coscienza e il nostro direttore spirituale. Ma per quelli che potremmo definire giusti, che non hanno cioè mai commesso un peccato mortale con piena avvertenza e deliberato proposito, ma solo per debolezza e ignoranza, e che ora si fanno contemplativi — e anche per noi due, se la nostra coscienza e il nostro direttore spirituale attestano che abbiam fatto debita ammenda dei nostri peccati attraverso la contrizione, la confessione e la penitenza secondo la procedura stabilita dalla santa chiesa, sempre se ci sentiamo chiamati grazia a diventare contemplativi —; per tutti costoro, dunque, c’è un’altra causa che li renderà umili. Questa causa è a tal punto superiore a quella imperfetta, come la vita della Madonna è superiore a quella del più accanito peccatore che conduce vita penitente nella santa chiesa, o come la vita di Cristo è superiore a quella di ogni altro uomo al mondo, o come la vita di un angelo in cielo, il quale non ha mai conosciuto né mai conoscerà la fragilità umana, è superiore a quella dell’uomo più fragile qui su questa terra. Che se non ci fosse una causa più perfetta di umiltà se non quella di vedere e sentire la nostra miseria e debolezza, allora vorrei proprio sapere da coloro che la pensano a questo modo, che cos’è che rende umili quelli che non hanno mai conosciuto né mai conosceranno l’assalto del peccato o la miseria umana. Mi riferisco a nostro Signore Gesù Cristo, alla Madonna e a tutti gli angeli e i santi in cielo. Che noi dobbiamo essere perfetti, in questo come in tutte le cose, è nostro Signore Gesù Cristo che ce lo ricorda nel vangelo, quando ci ordina di essere perfetti per grazia cosa come lui lo è per natura.

A questo punto, cari amici lettori per meglio fissare quanto abbiamo letto o per chi volesse ascoltare anzichè leggere, ecco per voi un video riepilogativo dal capitolo 6 al 15.

La Nube della non-conoscenza 14

NUBE

CAPITOLO 14

È impossibile che un peccatore giunga all’umiltà perfetta in questa vita senza passare prima per quella imperfetta.

Anche se la chiamo umiltà imperfetta, tuttavia è solo attraverso questa vera conoscenza e coscienza di me stesso, così come sono, che posso giungere alla causa perfetta e alla virtù stessa dell’umiltà. E penso proprio che si faccia più presto in questo modo, che non se tutti gli angeli e i santi in cielo, in unità con tutti gli uomini e le donne della santa chiesa in terra, sia religiosi che secolari, di ogni ordine e grado, si mettessero tutti insieme per quest’unico scopo: pregare Dio perché mi dia la perfetta umiltà. Sì, è veramente impossibile che un peccatore riesca a ottenere, o a conservare quando già ce l’ha, la virtù perfetta dell’umiltà senza quella imperfetta. Perciò sgobba e suda più che puoi per conoscerti a fondo e costatane la tua miseria. Penso proprio che in tal caso non passerà troppo tempo che tu potrai avere una vera conoscenza ed esperienza di Dio, così com’è. Naturalmente non così com’è in se stesso, poiché nessuno può giungere a tanto, se non Dio solo; e nemmeno così come lo conoscerai in cielo, anima e corpo. Ma nella misura in cui può conoscerlo e farne esperienza un’anima umile che ancora vive in un corpo mortale, sempre se Dio stesso lo concede. E adesso non pensare che per il semplice fatto che ho individuato due cause dell’umiltà, una perfetta e l’altra imperfetta, io voglio che tu smetta di lavorar dietro all’umiltà imperfetta per concentrarti interamente su quella perfetta. No di certo, in questo modo non riusciresti mai ad acquistarla. Ma se ti ho dato queste indicazioni è perché voglio che tu ti renda conto della preminenza di quest’esercizio spirituale nei confronti di qualsiasi altro esercizio, fisico o spirituale, anche se vien fatto per ispirazione della grazia. Voglio anche che tu sappia che quest’amore segreto che preme continuamente sulla nube della non-conoscenza frapposta tra te e il tuo Dio, se nasce da uno spirito puro contiene veramente e perfettamente dentro di sé la virtù perfetta dell’umiltà, dal momento che non va alla ricerca di niente altro in particolare all’infuori di Dio. Voglio insomma che tu sappia in che cosa consiste l’umiltà perfetta, perché una volta capìta, tu la possa amare, a vantaggio sia mio che tuo; e attraverso questa conoscenza tu possa diventare più umile. Spesso, infatti, accade che l’ignoranza è causa di molto orgoglio; almeno, questo è il mio parere. Con ogni probabilità, se tu non sapessi qual è l’umiltà perfetta, ti basterebbe avere un po’ di conoscenza e di esperienza di quella che io chiamo umiltà imperfetta, per credere di aver quasi acquisito l’umiltà perfetta. E così inganneresti te stesso, credendo di essere totalmente umile, quando invece sei divorato da un orgoglio ripugnante e puzzolente. Cerca dunque di lavorare a più non posso per acquistare l’umiltà perfetta. Chi l’ha, infatti — e per tutto il tempo che l’ha —, non commette alcun peccato. E anche quando non l’avrà più, non commetterà molti peccati.

Una preghiera di Dom Porion

Dom Jean Baptiste Porion

Per l’articolo odierno, ho scelto per voi, una vibrante preghiera di Dom Jean-Baptiste Porion che vi esorto a recitare con lo stesso trasporto e fervore dell’autore certosino.

Che amore ardente è il tuo, mio Dio!”

“Tu, mio Dio! Io, Tua creatura! Tu, mio Dio, hai sofferto per me. Che amore ardente è il tuo, mio Dio! Chi sei Tu, Tu che sei sceso dal Cielo, cosa sei venuto a fare sulla terra, perché hai sofferto, e quanto e per chi? Tu, mio Dio, ti sei incarnato per soffrire, per soffrire senza misura per me, ingrato e sei morto pregando per il tuo carnefice, chiedendo perdono al tuo Padre celeste. E io! Non sopporto la minima contraddizione, anche se so benissimo che merito di soffrire mille volte di più. No! D’ora in poi non sarò più freddo e indifferente a Te. Ascolterei continuamente il tuo grido: “Ho sete! Soffri di sete, sete fisica, è vero, a causa dei tormenti che ti ho inflitto con i miei peccati. Sete d’amore soprattutto, perché fino ad ora non mi sono dato come Tu volevi… Il mio proposito oggi sarà dunque di darti amore, nient’altro che amore. Tutto quello che farò oggi sarà fatto in unione con te e per amore per te”.

Così sia.


Un documentario su Vedana

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Nello scorso mese di luglio l’emittente televisiva regionale Telebelluno ha mandato in onda uno splendido documentario sulla Certosa di Vedana.

Immagini inedite dal passato in un’ideale excursus storico fino ad oggi. Ripercorrendo la storia della certosa e la sua ultima destinazione con affidamento alle suore “Adoratrici Perpetue del SS Sacramento“, una di queste ci accompagna in questo breve documento video con la sua dolcissima espressione e voce.

Tra le varie immagini del passato, che ci mostrano la presenza certosina, scorgiamo un giovane Dom Elia Catellani scomparso lo scorso anno

Ringrazio l ‘emittente Telebelluno per questa interessantissima produzione che sarà di sicuro molto apprezzata dagli amici di Cartusialover.

Buona visione

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