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“De Esu Carnium”

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L’articolo che oggi vi propongo è su un tema già trattato in questo blog in diversi articoli. Esso riguarda l’astinenza dalla carne nella dieta dei monaci certosini, e più precisamente vi parlerò del testo dal titolo “De Esu carnium” (sul mangiare carne), scritto dall’illustre medico Arnaldo di Villanova, in difesa dell’astinenza certosina.

Va detto, che tra il XIII ed il XV secolo si sviluppò un enorme dibattito sul divieto imposto dalla regola certosina di mangiare carne, anche in caso di malattia.

Cari amici, come forse già saprete, la limitazione del cibo e la rigida regolamentazione della sua assunzione rappresenta per il monaco una delle manifestazioni più concrete della sua rinuncia al “mondo” ed il punto di partenza di una pratica ascetica, che attraverso la repressione del corpo punta a purificare l’anima da pulsioni e passioni che ostacolano la sua propensione verso Dio. I certosini, rispetto ad altri ordini monastici, si distinguono non solo per la loro scelta di una vita rigorosamente eremitica, ma sono caratterizzati fin dall’inizio da forme di astinenza particolarmente rigide, che culminano nell’esclusione totale della carne dalla dieta, anche in caso di malattia. Questa pratica ha le sue radici nella tradizione eremitica orientale e dei Padri del deserto, che dalle origini dell’ Ordine ha resistito fino ad oggi, vanificando i vari tentativi, avvenuti nel corso dei secoli, di attenuare tale rigore.

anziani-arzilli-certosini

Il trattato “De esu carnium” del medico catalano Arnaldo di Villanova, fu composto tra il 1301 e il 1305, e rappresenta molto probabilmente la prima presa di posizione in difesa della scelta certosina di astinenza totale dalla carne. A causa delle autorevoli affermazioni in esso contenute, questo trattato ha rappresentato una risposta definitiva e poderosa, a coloro che interpretavano fallacemente il rifiuto certosino di concedere la carne ai malati come espressione di mancanza di carità. Arnaldo di Villanova ci tiene a illustrare con fermezza la legittimità della scelta certosina con argomentazioni fondate sul sapere medico, confutando vigorosamente le accuse rivolte all’Ordine di una sostanziale ignoranza della scienza medica.

L’idea che i malati abbiano bisogno della carne per ristabilirsi e prolungare la loro vita, bollata da Arnaldo come novum dogma, non trova riscontro nelle dottrine mediche, e si basa su un sostanziale misconoscimento delle caratteristiche fisiologiche del corpo malato in relazione alla natura dei diversi alimenti: i cibi che, come la carne, servono a ricostituire le facoltà motorie del corpo non sono infatti necessari all’organismo ammalato, anzi lo danneggiano, poiché provocano un calore eccessivo a causa del grasso che contengono; mentre gli giovano quegli alimenti che, per la loro sottigliezza e conformità alla natura del sangue, restaurano le potenze vitali e sono quindi più adatti a riparare gli squilibri provocati dalla malattia. Sbagliata dal punto di vista medico e inconsistente dal punto di vista teologico, l’idea che l’astinenza dalla carne accorci la vita degli ammalati evidenzia l’ignoranza di quanti la sostengono, ed è di fatto smentita dalla proverbiale longevità dei certosini.

Arnaldo segnala anche quella che a suo giudizio è la dieta più adatta per gli ammalati, una dieta a base di tuorli d’uovo e vino, alimenti più affini alla natura del sangue e quindi più adatti a generare gli spiriti vitali.

A distanza di pochi anni, dall’uscita di questo insigne trattato il monaco certosino, Guglielmo de Yporegia (Ivrea), si assunse il compito di difendere la scelta dell’ascetismo più rigoroso con la sua opera più importante, il “Tractatus de origine et veritate ordinis Cartusiensis“, dedicato all’elogio della vita certosina. Egli pur non essendo medico, afferma che la carne non è indispensabile per gli ammalati debilitati, e che altre vivande, come brodi, pesciolini o tuorli d’uovo, si rivelano ben più adatte a restituire la salute a quanti, come i monaci, sono avvezzi ad una dieta estremamente parca. Anche una figura di primo piano del mondo universitario come quella del Cancelliere dell’Università di Parigi, Giovanni Gerson, fervente ammiratore dell’ordine certosino, scrisse nel 1401 un breve trattato dal titolo “De non esu carnium“. In esso viene sancita una complessa difesa del digiuno certosino, sia dal punto di vista teologico che medico. Sia le argomentazioni di Arnaldo, quanto quelle di Gerson, sono riprese nel XV secolo da Dionigi il certosino nel trattato “De praeconio sive laude ordinis cartusiensis“, laddove il rifiuto della carne diviene l’emblema della rinuncia del monaco a se stesso, avvalendosi anche di testi di Bernardo di Chiaravalle e di Guglielmo di Saint-Thierry, nonché degli esempi di santità che hanno scandito la storia dell’Ordine e dei decreti papali che sanciscono nei secoli la legittimità del comportamento certosino.

Nel prossimo articolo vi proporrò una “soluzione” certosina a questo dibattuto tema. Non perdetevelo!

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