La Preghiera
Dinanzi a Dio
di Dom Augustine Guillerand
CAPITOLO VIII
L’attenzione nella preghiera
Questi pensieri nati dall’amore ci protendono verso Colui al quale noi ci rivolgiamo: è l’attenzione. Un’anima attenta è un’anima tesa verso l’oggetto che l’attrae. Un’anima distratta è un’anima che si lascia adescare da altri oggetti.
L’attenzione dipende dall’importanza che riconosciamo all’oggetto che la sollecita, dall’attrattiva che esso esercita. Se lo reputiamo grande e bello, buono e forte, se lo riconosciamo perfetto, ricco di tutto ciò che può saziarci, l’attenzione è estrema.
L’attenzione a Dio è rara poiché rare sono le anime che lo conoscono. Il peccato ci ha distolti da Lui; noi viviamo dinanzi al creato; le immagini delle creature ci riempiono l’anima, ci trattengono e rendono l’attenzione a Dio difficile. Bisogna rigirarsi; è questo il senso della parola ” conversione “. La conversione ha molti gradi. Solo i santi sono dei veri convertiti; solo i santi vanno fino al termine ultimo del loro movimento. Questo termine è uno sguardo che non vuole fare più attenzione che a Dio… e a poco a poco, in seguito a esercizi più o meno prolungati e con l’aiuto della grazia, si fissa in Lui.
Le creature – e il demonio che ne usa – non si lasciano soppiantare senza combattimento. La vita d’orazione esige delle battaglie continue: è il grande sforzo – e il più lungo – di una esistenza che si vota a Dio. Questo sforzo ha un bel nome: si chiama la custodia del cuore. Il cuore umano è una città; dovrebbe essere una fortezza. Il peccato l’ha venduta. Da allora è una città indifesa di cui occorre rialzare le mura. Il nemico pone continuamente ostacoli. E lo fa con tutta la sua abilità e la sua forza, con astuzia e con ardore. Presenta dei pensieri così indovinati, talvolta così utili, delle immagini cosi affascinanti o così temibili, avvolge il tutto di ragioni così pressanti, che riesce in ogni momento a distrarci, a farci uscire dalla divina presenza. Bisogna continuamente rimettercisi. Queste riprese perpetue, questo infinito ricominciare, più ancora della lotta propriamente detta, ci scoraggia e ci prostra. Noi preferiremmo una violenta battaglia… violenta ma definitiva. Generalmente il buon Dio non lo vuole. Egli preferisce questo stato di guerra, queste imboscate e questi agguati, queste precauzioni e queste vigilanze. Egli è l’Amore e una lunga guerra richiede più amore e lo fa crescere di più.
D’altronde Dio è là; dirige lui stesso il combattimento. Fa fronte al nemico; sorveglia e sventa le sue manovre; se ne serve. Lo lascia avanzare per meglio colpirlo e abbatterlo. Prepara dei trionfi magnifici attraverso insuccessi passeggeri, perfino attraverso dei disastri.
La ripetizione quotidiana – e spesso più che quotidiana – degli stessi atti e delle stesse formule è un pericolo. L’abitudine diviene facilmente ” routine “. La preghiera diventa un movimento meccanico che nessun intervento dello spirito e del cuore anima più. Le labbra sole sono dinanzi a Dio, che è spirito e che ci vuole comunicare la sua vita spirituale. Mentre le labbra si muovono senza pensiero, l’immaginazione ci trascina su mille strade… ed è con ogni sorta di persone e di cose… è soprattutto con noi stessi che noi conversiamo. L’attenzione viene meno perché l’amore manca… e la preghiera che dovrebbe farci avvampare non fa che ingrandire il fossato che la negligenza scava lentamente tra Dio e noi.
Disattenzione nata dalla freddezza, freddezza generata dall’ignoranza, così noi scivoliamo – più rapidamente purtroppo di quanto si pensi – sulla china della tiepidezza, in fondo alla quale può trovarsi la morte.
Tuttavia ciò che importa è l’attenzione del volere più che quella dello spirito. Quest’ultima ci è spesso impossibile. Vi sono delle preghiere distratte che rapiscono il cuore di Dio. Quando ci facciamo violenza per metterci e mantenerci dinanzi a Dio mentre le disposizioni del corpo o dell’anima continuamente ci strappano, nostro malgrado, allo sguardo e al ricordo di questa presenza amata, quando questa impotenza tortura il nostro desiderio di Lui e noi accettiamo umilmente tale tortura, allora la distrazione diventa un mezzo d’unione eccezionalmente prezioso e forte. Poiché tutto, nei nostri rapporti con Dio, si misura sull’amore; e ogni allontanamento dell’anima nei confronti del creato per unirsi all’Increato è amore.
L’attenzione alle parole che si pronunciano, ai gesti che si compiono, è buona, e quasi sempre da consigliare. L’attenzione a Dio basta sempre, è spesso preferibile; talvolta è la sola possibile. L’essenziale è che la definizione della preghiera sia realizzata, che l’anima, distaccata da ciò che passa, si volga e tenda verso il Padre celeste, con qualunque mezzo e per qualunque strada. Dal momento in cui si stabilisce il contatto, si prega. Se il contatto è ardente, si prega in modo eccellente.
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