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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap.3)

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La vocazione certosina
CAPITOLO 3
Monache

1.Fin dall’inizio, il nostro Ordine, come un corpo le cui membra non hanno tutte stessa funzione, trova la sua unità nelle varie forme di vita.

I monaci del chiostro vivono nel segreto della cella; sono sacerdoti o chiamati a diventare sacerdoti. I monaci laici dedicano la loro vita al servizio del Signore non solo attraverso la solitudine, ma anche, e più che i padri, attraverso il lavoro manuale. Ai primi fratelli che si chiamavano fratelli laici, si è aggiunto nel tempo un altro gruppo, quello dei donati. Allo stesso modo, ci sono tra noi monache di clausura dedite più specialmente alla solitudine della cella, monache laiche e monache donate. Tutti partecipano alla stessa vocazione, ma in modi diversi; diversità grazie alla quale la famiglia certosina adempie più perfettamente la sua funzione nella Chiesa. (St 11,1)

Le monache del chiostro

2 I nostri padri nella vita certosina seguirono una luce proveniente dall’Oriente, quella di questi antichi monaci, condannati alla solitudine e alla povertà di spirito, che popolavano i deserti in un tempo in cui la memoria vicinissima del sangue versato dal Signore ardeva ancora nei cuori. E siccome le monache del chiostro si misero per la stessa via, debbono, sull’esempio di questi primi padri, stare in un eremo sufficientemente lontano dai luoghi abitati, e dalle celle dove i rumori del mondo, né quelli della Casa ; soprattutto devono rendersi estranei alle dicerie del secolo. (St 3,1) 3 Colei che persevera senza venir meno nella cella e si lascia ammaestrare da essa, tende a fare di tutta la sua esistenza un’unica continua preghiera. Ma non può entrare in questo riposo senza passare attraverso la prova di una dura lotta: queste sono le austerità a cui si applica come assidua presso la Croce, o le visite del Signore, che è venuto a provarla come l’oro. . Così, purificata dalla pazienza, nutrita e fortificata dalla diligente meditazione della Scrittura, introdotta dalla grazia dello Spirito Santo nel profondo del suo cuore, potrà ormai non solo servire Dio, ma aderire a Lui. (St 3.2)

4 Si dovrebbe fare anche qualche lavoro manuale, non tanto per il momentaneo rilassamento della mente quanto per sottoporre il corpo alla comune legge umana, e per mantenere vigile il gusto per le attività spirituali. Alla suora in cella vengono quindi forniti gli strumenti di lavoro necessari, per non costringerla ad uscire. Per questo non è mai consentito al di fuori delle riunioni di chiesa o di clausura, e altre occasioni previste dalla regola. Ma il modo austero che abbiamo abbracciato ci obbliga più rigorosamente a usare solo cose povere. Dobbiamo seguire l’esempio di Cristo nella sua povertà se vogliamo condividere le sue ricchezze. (St 3.3)

5 Secondo l’uso antico, il nostro Ufficio si estende per tempi piuttosto lunghi, specialmente durante la veglia notturna, ma senza eccedere i limiti della discrezionalità. In questo modo la salmodia alimenta il raccoglimento interiore e possiamo altre volte, senza che la fatica ci opprima, entrare nella segreta preghiera del cuore. (St 3,7)

6 L’amore del Signore, la preghiera, il fervore per la solitudine univano le monache della clausura. Uno stretto legame li unisce anche in Cristo ai condannati, grazie ai quali possono così vivere nella solitudine della cella. (San 3.4,5)

Le monache converse e donate

7 I primi fratelli certosini, Andrea e Guarino, con i nostri padri, vollero dedicarsi alla solitudine e alla povertà spirituale. Questo è ancora oggi oggetto di monache laiche e religiose. Per questo devono non solo stare in un eremo sufficientemente lontano dai luoghi abitati, ma occupare celle il cui isolamento permette loro, una volta entrati e chiusa la porta, di lasciare fuori ogni preoccupazione, e di pregare in pace il Padre in segreto. (St 11,2)

8 A imitazione della vita nascosta di Gesù e di Maria a Nazaret, i laici dialogano, quando svolgono i lavori quotidiani della casa, lodano il Signore nelle sue opere, consacrano il mondo alla gloria del Signore. Creatore e far cooperare le cose della natura al servizio della vita contemplativa; durante le ore dedicate alla preghiera solitaria, e quelle riservate alla divina liturgia, sono a completa disposizione di Dio solo. I loro luoghi di lavoro, come quelli in cui vivono, devono quindi essere organizzati in modo da favorire il raccoglimento; e pur essendo provvisti del necessario e dell’utile, avranno l’aspetto di vera dimora di Dio, non di premesse profane. (St 11,3)

9 È una via molto sicura per andare a Dio per seguire le orme dei nostri fondatori: i Conversi prenderanno dunque a modello i primi fratelli laici della Certosa che, prima di ogni regola scritta, hanno dato il loro genere di vita forma e il suo spirito. Pensando a questi primi fratelli, san Bruno, con il cuore pieno di gioia, scriveva: Di voi, miei carissimi fratelli laici, dico: l’anima mia glorifica il Signore, perché vedo la sua misericordia senza misura posarsi su di voi. Sono pieno di gioia perché, pur non avendo la scienza delle lettere, Dio Onnipotente scrive con il dito nei vostri cuori non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua santa legge. In effetti, mostri in azione ciò che ami e conosci, quando pratichi la vera obbedienza con tutta la cura e lo zelo possibile. Questo è il compimento della volontà di Dio, chiave e sigillo distintivo della totale sottomissione allo Spirito. Non esiste mai senza una grande umiltà e una notevole pazienza, ed è sempre accompagnata dal puro amore del Signore e dalla carità genuina. È così evidente che stai raccogliendo con sapienza il frutto tanto gustoso e vitale di ciò che Dio scrive in te. Rimanete dunque, fratelli miei, dove siete arrivati. (St 11,9)

10 L’amore del Signore, la preghiera, il fervore per la solitudine e la stessa vocazione al servizio legano i conversi. Nel proprio ambiente di solitudine e raccoglimento, provvedono attraverso il lavoro ai bisogni materiali della casa che sono loro affidati in modo speciale. Grazie a questo aiuto delle monache laiche, le monache di clausura possono assistere più liberamente al silenzio della cella, di cui assumono tutta l’austerità nella preghiera e nel lavoro. Monache di clausura e monache laiche, conformi a Colui che è venuto non per essere servito, ma per servire, esprimono ciascuna a suo modo le ricchezze di una vita totalmente consacrata a Dio nella solitudine. Queste due forme di vita, nell’unità dello stesso corpo, hanno grazie diverse, ma tra loro c’è una comunicazione di benefici spirituali, così che si completano a vicenda. Questo armonioso equilibrio permette al carisma affidato dallo Spirito Santo al nostro padre san Bruno di raggiungere la sua pienezza. (St 11,4,5)

11 Ci sono così diverse forme di vita che contribuiscono in modo necessario alla perfezione della nostra vocazione unica. Possa ciascuno continuare il suo corso verso questo termine, rimanendo nello stato in cui è impegnato. Sarebbe inutile confrontare le chiamate, poiché tutte ricevono la loro identica consacrazione e valore dalla loro partecipazione al sacerdozio di Cristo. (St 11,6)

12 monache di clausura e laiche si rispettano e vivono nella carità. Veri discepoli di Cristo, di fatto e di nome, si applicano, in un affetto reciproco, ad avere lo stesso sentimento, ad accettarsi e perdonarsi reciprocamente ogni offesa, per avere un solo cuore e una sola voce per lodare Dio . (St 3,4; 11,4)

13 Il dovere della priora verso tutte le sue figlie, monache di clausura e laiche, è di essere segno vivo dell’amore del Padre celeste per loro; per unirli così in Cristo, in modo che formino un’unica famiglia e che, nelle parole di Guigo, ciascuna delle nostre case sia veramente una chiesa certosina. (St 3,6; 11,7)

14 Essa si radica e trova il suo fondamento nella celebrazione del sacrificio eucaristico, segno efficace di unità. È Lui il centro e il culmine della nostra vita, la manna dell’esodo spirituale che, nel deserto, ci riporta al Padre per mezzo di Cristo. Attraverso la liturgia, il mistero di Cristo conferisce la sua unità alla nostra vita monastica: è Lui che prega per noi, come nostro Sacerdote, e in noi, come nostro Capo. Così riconosciamo in lui le nostre voci, e in noi le sue. (St 3,7; 11,8) 15 Interamente ordinato alla contemplazione, il nostro Ordine deve conservare con estrema fedeltà la sua separazione dal mondo. Inoltre, qualunque sia l’urgenza dei compiti apostolici, siamo esentati da ogni ministero pastorale, per adempiere alla nostra propria funzione nel Corpo mistico di Cristo. Spetta a Marta esercitare un ministero lodevole, è vero, ma non senza preoccupazioni e affanni; che lascia solo sua sorella seduta ai piedi di Cristo, dove completamente libera e disponibile, vede che è Dio. Purifica la sua mente, raccoglie la sua preghiera nel suo cuore, ascolta il Signore che le parla dentro; così, secondo la piccola misura possibile a chi contempla per riflessione ed enigma, gusta e vede quanto è buono; allo stesso tempo prega per Marta e per tutti coloro che lavorano come lei. Maria ha per lei non solo il più imparziale dei giudici, ma anche il più fedele degli avvocati, il Signore stesso, che non si limita a difendere la sua vocazione, ma la loda dicendo: Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta: la esonera così dal farsi coinvolgere nelle preoccupazioni e nelle attività di Marta, per quanto caritatevoli possano essere. (San 3,9)

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