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Il digiuno grato a Dio del certosino (parte seconda)

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Ecco per voi la seconda parte del sermone di un certosino sul digiuno.

La domanda allora sorge qui: davanti a Dio, cosa aggiunge la materialità dell’astenersi dal mangiare qualcosa? Ebbene, con la Morale della Chiesa, va detto che, nella sua essenza, nulla di nuovo accresce l’intenzione interiore del digiuno, perché, con quella determinazione della volontà, si è già generato un cosciente “atto umano”, accompagnato da quell’atto con una morale concreta. L’esempio di Abramo che decise di immolare suo figlio, ma che gli fu detto di non farlo alla fine, e che fu computato come tale; e l’esempio di colui che aveva solo fortemente desiderato una donna ed era già stato considerato peccato, parla da sé di questa realtà (cfr Gen 22,10-13; Mt 5,28). Nel caso di voler fare vera penitenza, per la virtù essenziale, il penitente richiede solo il fatto di essere stato sincero nel rinnegare se stesso per amare il Signore. Tuttavia, il fatto di rinnovare tale abnegazione di fronte alle difficoltà sorte, mettendo in pratica la privazione del mangiare, fa moltiplicare gli atti interiori (gli “atti umani”), e in questo sta il suo merito, come i moralisti spiegare. Ma seguiamo l’insegnamento del Pastore di Erma perché, stando nelle nostre mani, possiamo aggiungere la suddetta materialità: “Farai così: una volta che ciò che è scritto sarà compiuto, il giorno in cui digiunerai non assaggerai nulla, se non per essere pane e acqua; e del cibo che avevi programmato di mangiare, calcola il costo corrispondente per quel giorno e dallo a una persona bisognosa. E così praticherai l’umiltà, affinché chi riceve il tuo atto di umiltà possa saziare la sua anima e pregare per te il Signore”. Nella Comunità Monastica certosina, dove pratichiamo l’elemosina in comune attraverso i responsabili della nostra fraternità, forse non è nelle mani di ciascuno fare quel “calcolo del cibo che si proponeva di mangiare” e darlo ai poveri, ma sì, è offrire a Gesù solidarietà a tanti nostri fratelli e sorelle che oggi non mangeranno, e chiedere a Dio per loro, nella nostra preghiera, il nostro pane quotidiano. Se lo faremo, ci saranno rivolte le ultime parole del Pastore: “Se dunque farete il digiuno come vi ho comandato, il vostro sacrificio sarà gradito a Dio e sarà iscritto a vostro credito; e il servizio così svolto è buono e gioioso e gradito al Signore” (Confronto 5, L, 1-4; III, 4-9).Immersi in questa realtà delle disposizioni interiori, ci stupiamo che i nostri Statuti affermino, ad esempio, che «i novizi si abituano gradualmente alle astinenza e ai digiuni dell’Ordine, in modo che tendano al rigore dell’osservanza con prudenza e sicurezza, sotto la direzione del Maestro”(16,5). Sì, nei casi di penitenza corporale, il Superiore deve vigilare non solo sulla forza fisica dei monaci che Dio gli ha affidato, ma anche su qualcosa di non meno importante: affinché tale osservanza penitenziale traspaia per il suo spirito evangelico e non farisaico . “Così – prosegue il testo precedente degli Statuti – impareranno a reprimere le opere della carne, e a portare nel loro corpo la mortificazione di Gesù, perché anche in loro si manifesti la vita di Gesù” (Idem.) Questo è lo spirito al quale dobbiamo aspirare in tutti i nostri atti penitenziali. San Paolo VI, nella sua celebre Enciclica: “Pœnitemini”, n.10, diceva a tutto il Popolo di Dio che la Chiesa: “soprattutto insiste affinché le virtù della penitenza si esercitino nella fedeltà perseverante ai propri doveri. accettando le difficoltà derivanti dal proprio lavoro e dalla convivenza umana e dalla paziente tolleranza delle prove della vita terrena”. Ma, oltre a ciò, ha aggiunto, la Chiesa «invita tutti i cristiani indistintamente a rispondere al precetto divino della penitenza con qualche atto volontario, al di là delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana». Per concludere, e come sintesi di tutta questa dottrina e pratica di penitenza, ascoltiamo ancora una volta ciò che la nostra stessa Regola di vita, come voce speciale di Dio per noi, ci dice al riguardo: «Cristo ha sofferto per noi, dandoci l’esempio, in modo che possiamo seguire le loro orme. Cosa che facciamo già, accettando le fatiche e le angosce della vita, già abbracciando la povertà con la libertà dei figli di Dio e rinunciando alla nostra volontà. Secondo la tradizione monastica, è anche nostra responsabilità seguire Cristo quando digiuna nel deserto, punendo il nostro corpo e riducendolo in servitù, affinché la nostra anima brilli del desiderio di Dio”. E poco dopo: «Ciò che il Signore non può offrire per l’osservanza comune, lo deve supplire in altro modo, rinnegando se stesso e portando ogni giorno la croce» (16,1 e 3). Il Padre di ogni dono perfetto benedica con il suo Spirito lo sforzo di ciascuno di seguire così Cristo, e la Vergine Maria, rifugio dei peccatori, ci insegni e ci aiuti ad assomigliare sempre più al suo Figlio portando la croce di ogni giorno.. , per il suo amore e per la salvezza dei nostri fratelli, affinché anche noi possiamo essere un giorno coeredi nel Regno del suo Figlio prediletto. Così sia.

(Un certosino)

Il digiuno grato a Dio del certosino

6

Per questo periodo di Quaresima, voglio offrirvi questo sermone di un certosino, il quale ci riferisce del digiuno grato a Dio. Ho diviso in due parti il testo alquanto lungo, ma molto prezioso. Vi invito a leggerlo ed a meditare su queste sublimi parole.

Seguiamo Cristo quando digiuna nel deserto, castigando il nostro corpo e riducendolo in servitù, perché l’anima nostra risplenda del desiderio di Dio” (St. Cart 16,1) .

In questa vita non c’è niente di così bello o di riempire il cuore, come camminare nella verità. Non siamo certo noi a dirlo, ma Gesù stesso: «Se rimarrete fedeli alla mia Parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-2) . Tutti vogliamo camminare come camminò Cristo e, per questo, vogliamo accompagnarlo con alcuni segni di penitenza esteriore e preghiere finalizzate alla propria conversione, perché, ripetiamo, non c’è niente di più bello che camminare nella verità, e, applicandolo alla penitenza, deve essere vero, affinché il giorno in cui la pratichiamo, a: “Giorno santo in cui l’uomo si umilia davanti al suo Signore e Padre. Un giorno gradito al Signore” (Is 58,5). Nell’Antico Testamento vediamo che c’erano giorni e tempi di penitenza, ma Gesù si lamentava di quei giorni dicendo: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Mt 15,8). Il momento storico in cui viviamo corrisponde a quello di cui il Salvatore disse: “Verranno giorni in cui lo sposo sarà loro tolto; allora (i miei discepoli) digiuneranno” (Mt 9,15). La nostra Madre Chiesa pone un’enfasi speciale sul fatto che la penitenza mostrata dal digiuno va oltre la materialità stessa del digiuno. È in questa prospettiva che vorremmo rinnovarci nel santo coraggio di cui abbiamo bisogno per aspirare all’autentica penitenza che il Signore si aspetta da noi. Iniziamo queste modeste riflessioni dicendo che, prima dell’Incarnazione del Figlio di Dio, nell’antico popolo di Israele, alcuni non coglievano il significato profondo e il valore dei “giorni santi” di penitenza – diciamo qui, alcuni, non tutti -, e credevano che tutto il loro valore risiedesse nel negare il cibo del corpo in misura maggiore o minore. Più è stato negato, più valore ha avuto; se MENO, allora MENO. In un simile proposito, tutto dipendeva dalla materialità, cioè dalla lettera, non dallo spirito. Per questo non ci sorprendono le lamentele del Signore attraverso la voce dei Profeti o, a volte, quelle di Gesù stesso, sulla vacuità del contenuto essenziale della penitenza praticata con così poco fondamento interiore. Oggi viviamo nella “pienezza del tempo” in cui godiamo del “Mistero di Cristo”, quindi, prima di tutto, dobbiamo ascoltare lo stesso Redentore dell’Uomo che ci dice esattamente cosa si aspetta Dio quando ci chiede di digiunare. “Quando digiuni, non fare la faccia triste, come gli ipocriti, che si sfigurano il viso affinché gli uomini possano vedere che stanno digiunando; in verità vi dico che hanno già ricevuto la loro paga. Quando invece digiuni, profumati il capo e lavati la faccia, perché il tuo digiuno sia visto non dagli uomini, ma dal Padre tuo che è là, in segreto; E il Padre vostro, che vede nel segreto, vi ricompenserà» (Mt 6,16-18). Chi sonda i cuori va dritto al cuore dei suoi figli. Vediamo prima di tutto in quale direzione volgiamo i nostri cuori. Se cerchiamo di onorarlo solo con le nostre labbra, essendo il nostro cuore lontano, o lo cerchiamo (cfr Mc.6,6-7). Già il Precursore ci invitava a convertirci (cfr Mc 1,15). La stessa parola: “con-vertire“, ci sta già parlando di volgersi verso… Dio. Abbiamo parlato del pericolo di non comprendere bene la mortificazione nell’Antico Testamento, ma la verità è che finché le radici del “vecchio uomo” rimangono nella nostra carne, dobbiamo tutti fare in modo che non crescano nelle pieghe del il nostro cuore, infettando anche le stesse opere di virtù che pratichiamo. Non saremo noi a mettere i punti sulle i. Ascolteremo insieme un autore della seconda generazione cristiana, Erma, nella sua celebre opera: “Il pastore”, scritta in Italia nell’anno 150 della nostra era. Dice questo dell’astinenza: “Vi insegnerò cos’è un digiuno completo, gradito al Signore: Dio non vuole un digiuno vano come quello (puramente materiale); perché digiunando così, per Dio, non farai nulla per la santità. Invece, offri a Dio un digiuno come questo: non fare nulla di male nella tua vita e servi il tuo Signore con cuore puro; osserva i suoi comandamenti camminando nei suoi precetti e nessun desiderio malvagio salirà nel tuo cuore. Crede in Dio. Se fai questo e temi Dio ed eviti tutte le azioni malvagie, vivrai per Dio. Se fai questo, farai un grande digiuno gradito a Dio. Erma pensieroso se il suo interlocutore ha capito bene, se ha visto non solo l’importanza delle disposizioni interiori, ma anche quale sarà il vero digiuno, ripete ancora: “Questo digiuno (di astenersi dal cibo) è buono se si osserva il comandamenti del Signore. Così, dunque, il digiuno che farai lo realizzerai così: prima di tutto, guardati da tutte le cattive parole e da tutti i cattivi desideri, e pulisci il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo; se lo farai, questo sarà il digiuno perfetto per te”. Quale chiarezza evangelica, fratelli, traspare in questa mostra. Lascia qui semplicemente espresso, in che cosa consiste l’astinenza e in che cosa consiste il digiuno perfetto: L’anima che vuole offrire a Dio una penitenza, deve proporsi, con grande determinazione del suo cuore, di bandire da sé ogni desiderio che dispiace a nostro Signore. E questo, contraddicendo non poco il suo orgoglio e autostima. Chi agisce in questo modo, secondo l’espressione di Erma, pratica un “digiuno perfetto”. “Un digiuno veloce…!” Che bella espressione!

CONTINUA….

Il pane di crusca dei certosini

Pane e acqua

Il mese scorso è terminato il ciclo di dieci articoli riguardanti le “ricette dei monaci”, rubrica molto apprezzata da voi lettori di Cartusialover, ma essendo in periodo di Quaresima (che avrà inizio il 2 marzo e terminerà il 14 aprile) ecco oggi per voi una ricetta speciale.

Abbiamo potuto apprezzare tante ricette, composte da vari ingredienti, gustose ma mai estremamente elaborate. Talvolta un primo, un secondo con uova e pesce e verdure cotte oppure insalata o un pezzo di formaggio, la frutta e qualche volta anche il dolce.

Non bisogna inoltre dimenticare, che i monaci certosini per una gran parte dell’anno, per il periodo che va dal 14 settembre, il giorno dell’Esaltazione della Santa Croce, fino al giorno di Pasqua, consumano un unico pasto della giornata. Essi non fanno mai colazione e non cenano se non accontentandosi di un pezzetto di pane e magari di una bevanda calda che possa dargli ristoro. Fermo restando, che un giorno a settimana, il venerdì o la vigilia delle solennità, i monaci digiunano, accontentandosi di mangiare pane e di bere acqua.

Il pane, unico alimento nei giorni di astinenza, viene fatto dai monaci in un forno proprio. Non è mai pane bianco, ma un pane con la crusca perché esso risulta essere più nutriente. Ed è la ricetta del pane di crusca che oggi voglio offrirvi.                

converso e pane

Pane di crusca

Ingredienti:

400 g farina 00

200 g crusca di grano

250 / 300 ml acqua

2 g lievito di birra disidratato

2 g malto

2 cucchiai di olio extravergine di oliva

10 g sale

Svolgimento:

Nella ciotola dell’impastatrice (ma potete fare l’impasto facilmente anche a mano) mettete la farina e la crusca. Aggiungete il malto e il lievito.
Impastando iniziate ad aggiungere poco alla volta l’acqua (non vi servirà tutta) e l’olio. Quando l’impasto inizia a formarsi aggiungete il sale. Continuate ad impastare fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo, non troppo morbido.
Coprite con un canovaccio e lasciate lievitare per 1 ora in luogo tiepido.
Riprendete l’impasto, fate qualche piega e date forma di una pagnotta tonda. Fate lievitare fino al raddoppio coperto e al caldo.
Scaldate il forno a 180°C quindi fate due tagli trasversali, a forma di croce, sulla superficie del vostro pane ed infornate per 35-40 minuti.

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pane crusca

Sul digiuno

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Nell’articolo odierno, voglio offrirvi un testo di un certosino, il quale si esprime sul digiuno. Quest’ultimo è una delle pratiche quaresimali più note, che contraddistingue i quaranta giorni che precedono la Pasqua.

* * * * * * *

Uno degli elementi integranti della Quaresima cristiana è il digiuno. Infatti, la preghiera più intensa, l’elemosina più generosa, la carità e il digiuno più ardentemente praticati, costituiscono l’ armatura del cristiano, cioè “le armi spirituali” del “soldato di Cristo” nella sua costante lotta contro il mondo, il diavolo e la carne. Da qui il luogo designato che il digiuno ha sempre avuto tra le pratiche quaresimali. Purtroppo, ai nostri giorni, il digiuno non ha “buona reputazione”, tanto meno “pubblicità” o buona stampa, anche tra i cristiani. Dato l’ambiente pagano ed edonistico in cui vive la maggior parte della società, molti pensano che sia “pericoloso” per la salute, una pratica obsoleta e una pena corporale la cui utilità per lo spirito è incomprensibile … Ma questo sentimento è una conseguenza della cultura che la società vive dove: si esalta la tipologia giovanile, si idolatra la felicità corporea, si pratica una religione del corpo giovane, sano e sportivo; l’indipendenza è adorata, non si vuole alcun collegamento con nulla, tanto meno qualsiasi imposizione esterna.
Tu fai, mangi e bevi quello che vuoi e nessuno ha il diritto di interferire nella vita di ogni persona … Ma, allo stesso tempo, vediamo e sentiamo costantemente una contraddizione di follia in chi parla così: è sorprendente, per non dire spaventosa e disumana, “la dieta” che artisti, atleti, modelli e innumerevoli persone si impongono semplicemente per “mantenersi in forma”, per non ingrassare, per dimagrire per essere più agili, e così via. un regime che prevede il digiuno o la privazione di cibo molto più dannoso per la salute e l’organismo di tutti i “digiuni religiosi”. E dico “religioso” perché la storia delle religioni di tutti i tempi ci parla di “digiuni” praticati in tutte le religioni dell’umanità. Infatti, in ogni momento e in tutte le parti, le varie religioni che sono apparse hanno avuto certi periodi di digiuno per i loro seguaci, sia per motivi di ascesi corporale, per lutto, per purificazione, supplica o come riti propriamente religiosi. Ad esempio, può essere sufficiente ricordare il digiuno universale, per persone e animali, che il re di Ninive impose ai suoi sudditi, dopo aver sentito la minaccia di una punizione imminente annunciata dal profeta Giona. E l’intenzione fu pubblicata dallo stesso re: “Vediamo se, attraverso il digiuno e la conversione della vita, possano ottenere il perdono”. E l’hanno raggiunto. Un altro esempio persistente anche ai nostri giorni, è il digiuno annuale dei musulmani, il Ramadan, praticato da tutti i fedeli, per sperimentare ulteriormente la trascendenza di Allah con questa pratica penitenziale, vissuta come “tributo” o dono annuale alla divinità.

un certosino