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Riflessione sulla contemplazione

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Oggi voglio offrirvi una riflessione sulla contemplazione, un breve testo scritto da un certosino, vogliate leggerlo ed apprezzarlo.

La contemplazione non è altro che l’amorevole e costante guardare verso Dio. Forse la grande differenza per l’uomo comune, il cuore del contemplativo sa trovare Dio in tutte le cose, e a Lui rivolge tutta la sua attenzione.

Per essere contemplativi anche noi dobbiamo imparare l’abitudine di vedere Dio in ogni cosa. Le nostre occupazioni, le nostre attività non sono, non devono essere, fini in sé, ma ciò che sono veramente: mezzi. Dovremmo accettarle, approfittarne, sapendo che provengono da Dio, e che ci conducono anche a Lui. Dio ci dà quotidianamente i mezzi per santificarci, e soprattutto in coloro che sono contrari alla nostra natura e ai nostri gusti.

Contemplazione, dopotutto, è la disponibilità di essere nella nostra integralità tutti a Dio, di ricevere tutto da lui, permettendogli di agire in noi, superando tutte le difficoltà che lo opponiamo per la nostra azione.

La contemplazione è la pienezza con Dio nel momento presente. È vincere e avere la piena consapevolezza di ricevere, momento per momento, la totale azione di Dio nella nostra vita. Di un Dio che si dà continuamente.

Un certosino

La Nube della non-conoscenza 24

NUBE

CAPITOLO 24

Che cos’è la carità, e come è veramente e perfettamente contenuta nella contemplazione.

Abbiamo parlato dell’umiltà, di come essa è tutta racchiusa, in maniera vera e perfetta, in quello slancio d’amore così piccolo e cieco che va a colpire l’oscura nube della non-conoscenza, dopo aver soppresso e rigettato, nell’oblio ogni altra cosa. Questo vale, tuttavia, per tutte le virtù, e in particolare per la carità La carità, infatti, consiste unicamente (e tu non dovresti intenderla in altro modo) nell’amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, e nell’amare il prossimo come se stessi, per amore di Dio. Ora, che nella contemplazione si debba amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, mi sembra abbastanza evidente: come ho già detto prima, in sostanza questo lavoro non è nient’altro che un puro anelito diretto a Dio in se stesso, e a lui solo. Sì, l’ho chiamato puro anelito, perché in quest’opera chi sta diventando vero contemplativo non pretende né una riduzione della pena, né un aumento della ricompensa, ma per dirla in breve, non chiede altro che Dio. Cosicché non gli importa più niente se è afflitto o contento: la sua unica preoccupazione è che sia fatta la volontà di colui che egli ama. Ecco come in questo lavoro si arriva ad amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura e in maniera perfetta. Chi compie alla perfezione il lavoro, non permetterà mai che il semplice ricordo di una creatura, fosse anche la più santa che Dio abbia mai creato, venga ad occupare la sua attenzione. Nella contemplazione si realizza in maniera perfetta anche il secondo aspetto della carità, quello relativo al prossimo. Che ciò sia vero non ci vuol molto a dimostrarlo. Infatti il perfetto contemplativo non tiene in particolare considerazione nessun uomo in quanto tale, parente o estraneo, amico o nemico che sia. Tutti gli uomini sono suoi fratelli in egual misura e nessuno gli è estraneo; tutti gli uomini sono suoi amici e nessuno è suo nemico: ecco come la pensa. E giunge al punto di considerare come suoi amici carissimi proprio quelli che gli fan del male o che lo fanno soffrire, e si sente spinto ad augurar loro lo stesso bene che si augura all’amico più caro.

La Nube della non-conoscenza 23

NUBE

CAPITOLO 23

Dio risponde e provvede in modo spirituale a favore di coloro che per amor suo dimenticano se stessi.

Indubbiamente, se avremo un vero desiderio e ci sforzeremo, almeno per quanto sta a noi e con l’aiuto della grazia e della direzione spirituale, di conformare il nostro amore e il nostro modo di vivere a quello di Maria, nostro Signore non mancherà di rispondere in maniera spirituale anche per noi, oggi e sempre, nell’intimo del cuore di coloro che dicono o, pensano male di noi. Con questo non intendo dire che per tutto il tempo che passiamo in questa vita piena di affanni, non avremo più detrattori o criticoni, come li ebbe invece Maria. Dico piuttosto che se non presteremo orecchio alle loro critiche e non lasceremo a metà il nostro interiore lavoro spirituale a causa delle loro parole e dei loro pensieri — seguendo così l’esempio di Maria —, allora nostro Signore risponderà a essi in spirito, se avranno parlato o pensato senza pregiudizi, così che nel giro di pochi giorni si vergogneranno delle loro parole e dei loro pensieri. E come risponderà per noi in spirito, così indurrà altri in maniera tutta spirituale a darci il necessario per vivere: cibo, vestiti, e cosa via, sempre se vedrà che noi non abbiamo alcuna intenzione di smettere di amarlo per attendere a queste cose. Questo dico per confutare l’errore di quanti sostengono che non è giusto mettersi a servire Dio nella vita contemplativa, se prima non ci si è assicurati il necessario per il proprio sostentamento. Essi dicono: «Aiutati che Dio ti aiuta». In realtà sparlino di Dio, e lo sanno bene. Infatti, chiunque tu sia ad aver abbandonato con tutta sincerità il mondo per volgerti a Dio, sta’ pur certo che egli ti manderà, indipendentemente dai tuoi sforzi personali, l’una o l’altra di queste due cose: una gran quantità di beni o la forza fisica e la pazienza spirituale per sopportare. Che importa quale delle due si ottiene? Per il vero contemplativo non c’è alcuna differenza. Per chi ha dei dubbi a questo proposito, si dovrà dire che ha in cuore il diavolo che gli impedisce di credere, oppure non si è ancora convertito cosa sinceramente come dovrebbe, per quanto possano essere ingegnose e pie le scuse da lui addotte. Perciò, tu che ti proponi di diventare un contemplativo al pari di Maria, accetta di buon grado di essere umiliato dall’incomparabile grandezza e perfezione di Dio (questa è l’umiltà perfetta), piuttosto che dalla tua miseria personale (questa è l’umiltà imperfetta). In altre parole, fissa in maniera speciale la tua attenzione più sull’eminenza di Dio che sulla tua pochezza. A quelli che possiedono l’umiltà perfetta non manca assolutamente niente, né di materiale né di spirituale. Essi, infatti, hanno Dio, in cui sta tutta la pienezza, e chi possiede lui, come questo libro va continuamente dicendo, non ha bisogno di nient’altro in questa vita.

Meditazione per Pentecoste

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Pentecoste, particolare retablo cartuja de Miraflores

Oggi in occasione della festa della Pentecoste, quest’anno ho scelto per voi una meditazione estratta da “Vita Christi” di Dom Ludolfo di Sassonia.

A seguire, una deliziosa preghiera.

Nel giorno di Pentecoste, il cinquantesimo dopo la Risurrezione e il decimo dopo l’Ascensione, il Signore Gesù parla al Padre della sua promessa, che aveva fatto ai discepoli per inviare loro lo Spirito Santo. Avendo compiaciuto il Padre, mandarono lo Spirito Santo a scendere sui discepoli, riempili, confortali, rafforzali, istruiscili e inondali di virtù e gioie.

Ci sono tre segni attraverso i quali ognuno può congetturare di avere lo Spirito Santo; ecco perché lo Spirito Santo apparve sotto tre segni: sotto forma di nuvola, sopra il Cristo trasfigurato; colomba, su Cristo battezzato, e fuoco sul collegio degli apostoli riuniti. Il primo segno è l’abbondanza di lacrime, ecco perché è apparso sotto forma di nuvola: quando arriva l’Austro le nuvole ruotano nelle piogge, così viene lo Spirito Santo, le menti ruotano nelle lacrime. Il secondo segno è il perdono delle offese, ecco perché è apparso come una colomba: la colomba non ha fiele, quindi lo Spirito Santo infonde un grido di carità nei cuori, scaccia odi ed espelle tutti i rancori. Il terzo segno è il desiderio di cose elevate; così è apparso sotto forma di fuoco; il fuoco tende alle altezze, quindi lo Spirito Santo innalza i cuori.

Preghiera

Gesù, generoso donatore di tutti i doni! Hai inviato lo Spirito Santo sotto forma di fuoco sui discepoli. Ti prego, affinché io possa ricevere, per mia salvezza, per tua grazia, il dono che i tuoi discepoli hanno ricevuto dalla tua generosità. Invia su di noi, il tuo servo, il tuo Spirito di carità, amore e pace; possa visitare i nostri cuori, purificarli dai vizi, adornarli con le virtù, abbracciarli con il vincolo dell’amore, illuminarli con la luce della tua conoscenza e accenderli con l’ardore del tuo amore. Perdona i nostri peccati e donaci la vita eterna.

Amen.

La vocazione dei certosini

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Cari amici lettori, eccoci giunti all’ultimo brano tratto per voi dal libro ”Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”. In questo ultimo capitolo l’anonimo priore certosino ci parla della vocazione dei certosini. Una spiegazione semplice, ma estremamente esaustiva.

Non è possibile senza l’aiuto della grazia speciale cercare di definire lo spirito di uno dei grandi Ordini della Chiesa, i cui interessi sono in realtà gli interessi di Dio, in modo che nessun uomo sia in grado di parlarne, è ancora più difficile quando questo Ordine è contemplativo, fedele per nove secoli alla sua stretta clausura: la sua vita segreta, per rivelarsi, ha bisogno di una cordialità e di una risposta interiore. Ma per parlare della vocazione certosina, sarebbe necessario, soprattutto, averlo seguito alla perfezione: e si vergogna di aver fatto così poco che abbiamo scritto queste righe.

Non importa quanto vogliamo esprimere l’intenzione che anima la vita dei certosini e dei loro religiosi, dobbiamo farlo nei termini più semplici. Le nostre anime sono le mogli di Gesù Cristo se rispondiamo alla loro chiamata: il nostro ideale è di farlo e vivere solo in unione con Lui. Ci sforziamo di raggiungere questo fine attraverso la vita sacramentale e liturgica, attraverso la preghiera, l’obbedienza, la mortificazione e dall’oblio di noi stessi, nella solitudine e secondo i costumi dell’Ordine Certosino. Sappiamo e sentiamo, per quanto in cui Dio che è disposto a completare questa unione di spiriti e cuori senza indugio, purché rimuoviamo gli ostacoli. Questi ostacoli sono ridotti a uno: attaccamento a noi stessi, che solo l’amore divino può liberarci.

Questa definizione è certamente elementare: molti troveranno strano trovare in essa una dottrina così scarsa e così poche caratteristiche specifiche. Tuttavia, è necessaria questa semplicità: è la prima caratteristica della spiritualità certosina, e ci dispiace dover spiegare queste parole, possiamo aggiungere nulla alla loro sostanza e temiamo per indebolirli con il commento. I monaci e le religiose certosine, impegnati nel servizio di Dio nei loro eremi, non formano una scuola o raggruppati attorno al nome di un maestro, non hanno celebrato autore la cui opera possa fissare le linee del suo sviluppo spirituale e vi darà la strada deve essere imitato da allora in poi. Ma non è solo dalla sobrietà delle formulazioni teoriche che un luogo sembra essere stato riservato per un silenzioso impulso dello spirito; la verginità è una caratteristica essenziale della spiritualità certosina: tutto, in questo Ordine, protegge la vita spontanea dell’anima e la riserva per Dio.

Questo è il senso di solitudine, che osserviamo e che impressiona così gli estranei. Ci abbandoniamo a Dio e solo noi ci sforziamo di vivere. Questa solitudine nel suo aspetto sociale, è inoltre ammorbidito dalla regola: mantenere i rapporti familiari tra di noi, siamo uniti tra loro da una profonda amicizia, come fratelli e sorelle dello stesso ordine. Tuttavia, questi rapporti e questa amicizia solo nel senso che ci può aiutare nella fedeltà alla solitudine, misurandola dalle nostre forze, e la messa alla prova in modo che non perda il suo carattere soprannaturale. Essere soli è, in un certo senso, morire per l’uomo: è per questo che molte volte, dopo averlo provato, alcuni la considerano un’impresa inumana. Tuttavia, l’anima è stata creata per Dio, e ogni altro oggetto chiude il cuore e lo spirito entro i limiti che lo soffocano. Privarla della solitudine, come ora il mondo sembra essere determinato a fare, è renderla una violenza che, più propriamente, può essere chiamata disumanità. La solitudine con Dio è un ideale a cui tendono tutte le anime: il chiostro lo colpisce solo in un movimento più decisivo e diretto. In realtà, non c’è nessun altro compagno che Dio: il cuore che non l’ha ancora scoperto passerà attraverso molte prove e solo in caso di se rimanere leali è che raggiungerà questa prova, non con tristezza rassegnata, ma con profonda gioia.

La vita certosina è anche definita dalla sua attività interiore: questo Ordine è, all’interno della Chiesa, quello che maggiormente si impegna nella contemplazione. Questa parola sembra avere una singolare virtù, che affascina alcuni e inquieti altri. È già stato criticato per il suo uso, che è molto antico: non è vero che ci sono uomini incapaci di ‘vedere’ interiormente ‘contemplando’ qualcosa, non importa quanto zelanti e religiosi possano essere? Dobbiamo rispondere, a nostro avviso, che questa parola è stata scelta in modo provvidenziale per designare l’atteggiamento di una moglie-anima, anche se è lontana dall’essere inondata di luce. Gli spiriti che amano la verità divina la contemplano, e questo atto deve essere l’unico che l’anima benedetta farà in cielo. Ma questo apprendimento sulla terra è fatto nel mezzo della sofferenza e delle tenebre della fede: per questo è un sacrificio, purificazione efficace e insigne testimonianza di carità. Si può contemplare se stessi nelle tribolazioni e nell’aridità, nel lavoro e nella cura del prossimo, e persino nelle tentazioni e distrazioni involontarie, l’unica cosa che conta è che l’anima sia mantenuta rivolta al Signore invisibile e operi secondo con quello sguardo. L’esperienza dell’amore deve farle capire il valore che dà alla contemplazione del suo oggetto, sia nelle tenebre che nella luce, e il puro presentimento della visione che anima la sua fedeltà: infatti, uno è contemplativo in quanto se ti ami – l’unica cosa che conta è che l’anima sia tenuta di fronte al Signore invisibile e operi in base a quello sguardo.

Che questo sforzo possa essere coronato già in questa vita da una perfetta unione con lo Sposo; noi lo crediamo fermamente, perché, in verità, nulla si frappone tra Dio e l’anima. Ma questa unione è, per sua stessa natura, segreta: implica il rispetto per il silenzio in cui lo Spirito lo prepara e lo mantiene.

Il segreto è, inoltre, una delle caratteristiche dell’intera vita cartusiana: monaci e monache vi trovano il fresco rifugio –vita umbratiles– in cui germogliano i fiori eterni. Mentre trascorriamo una parte delle ore notturne nella chiesa, ci sforziamo di santificare attraverso la preghiera il cuore di notte; così la nostra esistenza, lontana dagli sguardi del mondo, imita la vita nascosta del Signore, che visse nel grembo di Maria e durante i trent’anni che prepararono la salvezza del mondo. Abbandonando una società in cui ognuno, ovviamente, cerca di apparire, i certosini i religiosi certosini lottano per scomparire, sperando che la verità accetterà questa prova. Uno dei patroni dell’Ordine, il cui nome è incluso nella nostra formula professione, è Giovanni il Precursore, il profeta solitario che cerca di cancellare fino a brillare agli occhi di tutta la luce della Parola.

Il ruolo delle donne, e in particolare della vergine, come già notato più di una volta, comprende di secolo in secolo una dichiarazione abitabile di pudore: si sente come un velo che protegge queste riserve sacre che devono rimanere pure, affinché le fonti di vita e di bellezza, vale a dire in un senso molto speciale, non possano mai morire sulla terra per le vergini claustrali e consacrate che si coprono di un velo che imita Maria, per custodire e nutrire nella loro vita divina. Ecco perché le nostre monache non sembrano essersi attaccate al nostro Ordine per puro caso, ma per disposizione provvidenziale, in modo che lo spirito di questo stesso Ordine si manifestasse chiaramente nelle sue caratteristiche essenziali e che la nostra risposta ad esso una vocazione per l’incoraggiamento reciproco,

La presenza costante della croce non può essere nascosta in un profilo dell’ideale certosino: abbandonare il mondo è doloroso per il cuore; la solitudine, per quanto preziosa possa essere per se stessa, è un sacrificio quotidiano per la nostra natura peccaminosa; l’obbedienza, la povertà, per quanto saggiamente proporzionata alla forza umana, non può essere accettata e vissuta senza un’agonia di autocommiserazione. Se l’entusiasmo dell’amore non si accende nell’anima scintilla di eroismo, non saranno accettate per un lungo periodo tali compiti sacerdotali certosini o convertire il fratello o la moglie o la madre spirituale. Presuppongono che la chiamata di Cristo sia stata ascoltata: “Se qualcuno mi ama, prendi la sua croce e seguimi”. Non c’è vera vita interiore senza infinita pazienza, e se la vita del convento non è una vita interiore, è una schiavitù singolarmente infelice.

I doni più puri dello Spirito, i doni della fede, dell’intuizione e dell’unione, che sono gioia , hanno tuttavia bisogno di solitudine, silenzio e croce: la loro realtà sfuma in una vita che è troppo comoda, facile. L’isolamento austero e la sofferenza che comporta sono i benvenuti al contemplativo: quando mancano, l’anima è consapevole che perde un prezioso supporto e sarebbe dannoso per lei ad essere privato di esso per un lungo periodo di tempo.

Non ci soffermeremo più su questo aspetto della nostra vita: la vita di bordo è una scuola di pazienza. Esercitato in unione con Cristo, sottomesso al governo e alla fedeltà alla solitudine, la pazienza purifica l’anima, lentamente spende l’amor proprio e ci costringe ad arrenderci a Dio. Il nostro Ministro Generale, Dom Innocenzo Le Masson († 1703), dice che la Certosa è ancora una scuola di carità (nello stile del suo secolo ” un’accademia della carità”): questo punto è, infatti, il centro di la nostra comunità religiosa, il suo inizio e la sua fine. I sacrifici di cui abbiamo appena parlato, l’abbandono e la rinuncia, hanno come unica ragione per essere la carità che manifestano, come affermato nei nostri Statuti.

L’unica cosa che si fa nei nostri monasteri è amare Cristo con tutta la nostra forza: noi sappiamo che l’abbondanza di questo divino amore ci verrà data se siamo fedeli, e diffusa su tutte le anime che ne hanno bisogno. Non c’è un solo certosino che non si consideri un missionario in questo senso; non c’è una vergine certosina che non abbia il sentimento della sua maternità spirituale e non possa dire con Cristo: “Lo Spirito del Signore si è posato su di me; perché egli mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato per guarire i contriti di cuore, proclamare ai prigionieri la redenzione, e alla vista ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno favorevole del Signore, e il giorno di retribuzione “(Luca, IV, 18-19).

L’ufficio divino e il canto corale sono l’espressione dell’amore che la Chiesa, la Sposa di Cristo, mette nelle nostre bocche, affidandoci ufficialmente le loro dichiarazioni, i loro giuramenti e le loro lodi. La carità che deve essere la vita del chiostro si manifesta invece tra i membri dello stesso monastero sia con uno sforzo continuo di delicatezza e comprensione, sia con la comunione dei cuori saziati nella stessa fonte. Questo ideale non è sempre raggiunto nella sua perfezione, ma è realizzato in modo più coerente dei giudici del mondo, e la sobria fratellanza monastica dell’espressione, nutrita dal silenzio, è un prezioso rifugio per l’anima nel suo pellegrinaggio interiore.

Spesso ci sembra che le persone del secolo tra le quali parliamo di amore e amicizia possano beneficiare dell’esperienza delle nostre comunità: infatti, nessun affetto può resistere se non è garantito da una volontà quotidiana e dalla pratica della rinuncia, ciò ti consente di affrontare tutte le difficoltà con buona volontà; nessun amore può vivere se non è pronto a sacrificare anche alle sue stesse gioie. Coloro che non riconoscono queste verità non sanno amare come amano i certosini e non crediamo che possano amare altrove.

Dom Le Masson, che rende la certosa “un’accademia di beneficenza”, vede anche in lei ciò che può sembrare ancora più strano – “un’accademia di libertà”. È sufficiente, tuttavia, avere l’esperienza di un novizio certosino per sapere che la prima impressione è quella che viene ridotta nel Salmo CXXIII: Laquens contritres est et nos liberati sumus”Il circuito era rotto e noi eravamo liberi.” Lo spazio interiore è invero infinitamente più vasto di quello che ci circonda: ciò che tiene prigioniero un uomo è l’amore avido di beni transitori, l’ambizione ristretta, la preoccupazione paralizzante di ciò che gli uomini possono dire o pensare di noi, – in una parola, l’amore di sé in tutti i suoi aspetti. La sincera risoluzione di porre fine alle sue richieste, di trattarci con saggio disprezzo, con giusta ironia, è paragonabile a sollevare un peso sotto il quale potrebbe a malapena battere il cuore. I voti non fanno altro che rompere gli ormeggi. La via della libertà non è quella dei successi esterni: al contrario, scende anche al più segreto dell’anima, al terreno divino in cui lo Spirito attento alla verità ci rende liberi (Giovanni, VIII, 32). Questa libertà si sviluppa, è come una scoperta sempre nuova man mano che l’intimità con Dio cresce, riconosce la sua presenza immediata e gli permette di viverla.

Dio è più gentile di quanto si pensi e più facile da sapere di quanto si pensi. Amandolo e conoscendolo sono due grazie strettamente correlate: nessun progresso è fatto nell’amore che non renda la certezza su cui poggiano l’equilibrio e il volo dello spirito. Amare e contemplare nella solitudine caritativa porta l’anima a dimenticare sempre più se stessa finché la trasparenza dello specchio interiore permette a Dio di riprodursi e di riposare in esso completamente. Allora si adempirà il grande comandamento: “Date a Dio ciò che è di Dio”, questo è tutto. Le domande e le risposte sono basate su un singolo brano di lode, l’unione è consumata in silenzio al di là delle nostre misure; la moglie appartiene al marito: la libertà è stata vinta.

Che lo Spirito sia ascoltato meglio!

Possano cuori generosi seguire Gesù senza paura del deserto!

E che coloro che hanno osato fare questo schema dell’ideale certosino, aiutati dalle preghiere dei loro lettori, possano viverlo in modo più fedele, per la loro salvezza e per tutte le anime. Venite et bibite, amici: inebriamini, carissimi! “Vieni, amico e bevi alla sorgente, ubriacati, amico mio!”(Canzone V, 1).

“L’anima unita” (parte prima)

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Nell’articolo odierno, ecco per voi un estratto dal libro ” Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”.

Il sermone che vi presento oggi dal titolo “L’anima unita ” l’ho diviso in due parti, data la sua lunghezza,…eccovi la prima.

In che modo le anime assorbite nella Divinità arrivarono alla fine della beatitudine?Attraversarono l’oscurità, camminarono con perseveranza durante la notte; cerca pazientemente la verità e ascolta la Parola; e mantenuto fedele alle sue ispirazioni. “E Gesù, voltandosi indietro, e vedendo che lo seguivano, disse loro: Che cosa cercate?Gli dissero: Maestro, dove vivi? E disse loro: Vieni e vedi Andarono, e videro dove abitava, e furono lì con lui “(Giovanni, I, 38-39).

Hanno parlato con il Figlio di Dio: hanno studiato con lui. “Signore, noi sappiamo che tu sei il Maestro che viene da Dio!(Giovanni, III, 2). Accettarono la sua dottrina docilmente, e ad ognuno di loro Gesù disse: “Non ti meravigliare di dirti, è tuo dovere rinascere. Se ti ho parlato di cose terrene e non mi credi, come mi crederai se ti parlassi del mondo celeste? “(Giovanni, III, 7 e 12). Queste anime credevano in lui; Ha parlato loro dal cielo. “Il Padre ama il Figlio e ha messo tutte le cose nella sua mano. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna “(Giovanni, III, 35-36).

Mostrando che volevano fare ciò che comandava, non trovavano in Lui il rigore di un giudice, ma la delicatezza della misericordia di un Dio.

Lo seguivano sulla strada dolorosa, a volte con eccessiva sollecitudine, il più delle volte troppo lentamente. Ma non hanno mai smesso di seguirLo. Ha dato loro il coraggio: con estrema delicatezza, li ha aiutati nelle loro difficoltà, accompagnandoli in tutti i loro passi e mostrando sempre loro la strada. “Perché egli stesso ha sofferto ed è stato tentato, chi può aiutare coloro che sono tentati” (Ebr. II, 18).

Hanno ascoltato le Sue confessioni e hanno adempiuto i Suoi precetti, e “rimangono nel Suo amore”. (Giovanni, XV 10).Eseguirono le Sue opere, furono purificati dal Suo sangue, nutriti dalla Sua carne, santificati dal Suo Spirito. Ha scoperto i loro segreti, ha conquistato i loro cuori, – quel cuore che vuole ricevere senza riserve, in cambio della pura generosità del suo amore.Bastava che aprisse gli occhi sugli infiniti orizzonti del regno in grazia, affinché si rendessero conto di aver ricevuto tutto.”Ricevi, ogni cosa di grazia, dona anche di grazia” (Mt., XV, 8).

Mentre il tuo amore diventa più profondo, comprendi meglio il prezzo della fedeltà. Che immensa perdita se il cuore parte un momento da Dio e disprezza la sua bontà. Che offesa per lui e che perdita per l’uomo! Quante devastazioni non sono causate dal peccato, allontanando Dio dal suo regno interiore e riducendo a nulla i Suoi infiniti doni! Queste anime sentono l’offesa fatta al Signore e soffrono con Lui in una crocifissione quotidiana: per compensare il disprezzo del Suo amore, dimostrano volentieri il loro calice di amarezza; e questa volontaria espiazione, non importa quanto dolorose siano le loro pene, dà tuttavia loro l’assaggio della beatitudine celeste. L’amore impregna l’anima che gli viene offerta, nello stesso momento in cui la ferisce fino alla morte.Vulnerasti cor meum.”Mi hai fatto male al cuore!”(Can., IV, 9).

È così che nell’economia della grazia gli stessi peccati commessi da alcuni uomini sono la causa di nuove generosità divine verso altre anime.”Perché se per il peccato di uno regni la morte di uno, molti di più regneranno nella vita per mezzo di Gesù Cristo, coloro che ricevono abbondanza di grazia, dono e giustizia” (Rom. 17).

Ha provocato nella sua sete del suo amore. Cristo attrae queste anime, Cristo le ispira, è in Lui e solo Lui che vogliono vivere. Appartengono all’amore e l’entusiasmo li illumina con queste fiamme liberatrici, “attirale verso di me con legami di uomini, con i vincoli della carità” (Osea, XI, 4).

Nell’intimità della presenza interiore, adoravano l’umanità di Cristo; ha trovato forza e consolazione nella santa comunione, il sacrificio della messa e la preghiera liturgica. Ma il sentimento di gioia mancava loro durante i periodi di prova: la consolazione fu negata da Gesù stesso, invitandoli a seguirlo al Calvario, per essere presenti nella notte del Monte degli Ulivi. Era con severità, e secondo gli uomini, con asprezza, che erano spesso trattati dal Dio della misericordia. Hanno sperimentato il rigore spietato del Padre, che chiede a Suo Figlio l’ultima goccia del Suo sangue e il cieco abbandono dell’ultima ora per soddisfare la Sua giustizia, poiché le esigenze dell’amore non sono temperate. Potrebbero dire a loro volta: “Sono stato crocifisso con Cristo” (Galati II, 19).

Continua…

Unione Divina (seconda parte)

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Non appena l’amato si innamora di Dio, cerca con ogni mezzo di conoscerlo meglio per perdersi più completamente in lui. Poiché lei è solo uno del Regno di Dio, ciò che ha trovato è così prezioso che è decisa a non scartarla a nessun prezzo. La conoscenza di Gesù ci rende assetati di una conoscenza più immensa, e il gusto del suo amore ci rende affamati di un amore più grande. Il coraggio aumenta con la consapevolezza del tesoro posseduto, che sarà rinviato, se necessario, in una lotta continua contro tutto.
La forma di Cristo deve finire nell’anima fino alla pienezza dell’età nuziale. L’apertura reciproca dei cuori crea un accordo inesauribile tra le volontà e i pensieri, tra le nature stesse. È una crescita che non cessa e non termina in questo mondo: continuiamo tutta la nostra vita a spogliarci dall’accidentale, secondo le ispirazioni della grazia, affinché l’amore essenziale diventi saldoin noi manon facciamo nulla che non tenda a Dio, la nostra volontà diventa sempre più pronta e il suo giusto cammino: l’obbedienza filiale ci lega sempre più intimamente alla vita del Padre, l’unico oggetto del nostro sforzo e unico supporto del nostro abbandono. “Una volta eri un’oscurità, ma ora sei luce nel Signore. Cammina come figli della luce “(Ef., V, 8).

Per quanto diverse possano essere le nostre occupazioni spirituali o materiali, i nostri atti hanno lo stesso valore profondo e lo stesso significato. Ciascuno dei nostri passi ci conduce dal Figlio al Padre: tutta la nostra esistenza è compresa nella serena vita della Trinità. In una comunione di fede e amore con la persona di Cristo, la cui opera è nostra, beviamo la vita divina nella Sua stessa fonte. “Sappiamo che siamo in lui ed è in noi: perché ci ha dato il suo Spirito” (I Giovanni, IV, 13).

L’energia soprannaturale brilla nell’anima con una spontaneità forte e gentile della Persona di Cristo: lo Spirito Santo è la fornace in cui il suo fervore è costantemente nutrito. Il marchio di questo amore è, come una firma, in tutti i suoi atti, in tutto il suo essere. “Ciò che ci conferma in Cristo con te e che ci ha unto, è Dio, che ha anche impresso il suo sigillo su di noi e ci ha dato il pegno dello Spirito Santo nei nostri cuori” (II Cor., I, 21-22).

Lo Spirito Santo, nell’unità dell’essenza con il Padre e il Figlio, vive nelle nostre anime, prega con noi e ci santifica. “Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Il tempio di Dio è santo, che tu sei “(I Cor., III, 16-17). Il soffio del Padre e del Figlio, il dono infinito, la testimonianza della parola di Dio, il sigillo della Sua unicità, sono scesi su di noi per completare l’opera del Salvatore e coronarla di gloria. “Avevamo sperato in Cristo … in cui anche voi sperate, avendo ascoltato la parola di verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, tocchi contrassegnati con il sigillo dello Spirito Santo, che è stato promesso, che è il un pegno della nostra eredità, per la redenzione del popolo, acquisita a lode della sua gloria “(Efesini 1: 12-14).

Lo Spirito Santo, emanazione dell’amore eterno tra il Padre e il Figlio, trasmette questo amore alla creatura che Egli abita e assimila; vita abbondante, ci inonda di vita, pace e consolazione, gioia, forza e santità: l’eccesso di pienezza divina scaturisce ancora dai nostri cuori in onde di carità.Vivendo l’unità delle persone, ci viene dato lo Spirito perché, secondo la promessa della Parola, possiamo essere compresi in questa unità. “Ti ho dato la gloria che mi hai dato, affinché siano una cosa sola, proprio come lo siamo noi” (Giovanni, xvii, 22).

Nel dono reciproco del Padre e del Figlio, lo Spirito Santo ci ispira il dono più perfetto di noi stessi, in cui si riassume tutta la bontà e ogni santità, poiché è il legame tra il Padre e il Figlio, ci mantiene prigionieri del suo amore e protetto dal suo abbraccio. L’anima si sente stupita e meravigliata delle ricchezze che il Paraclito trascorre ogni giorno su di lei, con il modo in cui è guidata in tutte le circostanze, in modo che tutto contribuisca al suo bene spirituale. Per quanto possa essere povero e difettoso, respira la vita della Trinità ora. “Ciò che ci ha formati proprio per questo era Dio, che ci ha dato il pegno dello Spirito” (II Cor., V, 5).

È necessario ripetere che il miracolo della grazia sfida le parole, poiché è una realtà divina e che i termini creati possono misurare solo oggetti finiti? Volere includere nella formula le libertà dell’amore è procedere come quel bambino di cui ci dice sant’Agostino, che stava giocando sulla spiaggia e pensava di poter svuotare l’oceano. Come le lingue degli uomini sono fredde, pesanti e goffe per parlare di queste grandezze! Solo il testo ispirato ha il tono di pienezza e ci annuncia ciò che Dio ha riservato per i suoi “, affinché possano abbondare nella speranza dello Spirito Santo” (Rm Xv, 13).

Il mondo sensibile non smetterà di bussare alla nostra porta e cercherà di disturbare la nostra anima fino all’ultimo minuto.Ma questo, sotto l’azione continua della grazia, sa come trasformare tutti gli ostacoli in mezzi, e anche in un’occasione fallita unirsi con più purezza alla volontà del Padre. “Sappiamo che tutte le cose lavorano insieme per il bene di coloro che amano a Dio “(Rom., VIII, 28).

Non ci sarà un momento di questa vita che si perde, se le imboscate e i colpi dell’avversario contribuiscono alla dolce vittoria del cuore, che è appunto quella di Dio. L’anima assapora questo amore con sempre maggiore gratitudine, poiché il linguaggio celeste diventa più familiare ad esso, e che gode più immediatamente della realtà divina. “Ascolterò ciò che il Signore dice in me” (Salmo LXXXIV, 9).

L’anima ha cominciato a vivere la sua vita eterna: il desiderio dell’unione perfetta lo fa trovare nel crogiolo dell’amore; è una fiamma nel cuore di Dio e l’unica cosa che fa è amare. “La mia anima è paragonata al suono della sua voce” (Song, V, 6).

E Dio irradia su di esso una gloria che nessuna creatura può concepire o sospettare. Quanto sei bello, amico mio! Quanto sei bello e gentile! “(Can., VII, 6)

Unione Divina (parte prima)

studiando in cella

Cari amici lettori, ecco un brano tratto per voi dal libro ” Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”.

Il sermone del priore certosino che oggi vi offro ha il titolo “Unione divina ” l’ho diviso in due parti, data la sua lunghezza,…cominciamo a leggere ed a meditare su questa prima tranche.

È a Dio stesso che l’uomo deve unirsi per compiere il suo destino.Se riusciamo a raggiungere il punto più alto dell’essere e la sua causa principale, perderemo tempo con piccoli desideri? Per raggiungere la nostra patria è necessario perdersi nel bene supremo: dirigiamo ora tutte le nostre azioni a Lui e lasciamo che la nostra anima respiri finalmente il suo elemento naturale. Quando riconosciamo la volontà di Dio in tutte le cose e ci abituiamo alla nostra volontà di acconsentire ad essa, vediamo che il bisogno di cose create diminuisce in noi, finché non siamo finalmente liberati.Una gioia essenziale, che risiede nelle profondità dell’anima, prende tutta l’attrazione per i beni accidentali.
Perché la verità, la luce divina, conferisce ad ogni oggetto il suo vero valore. Avendo trovato il suo centro divino, l’anima smette di oscillare tra desiderio e paura: ora conosce il puro equilibrio dell’amore. Sa che l’unione con Dio è inseparabile dalla calma e dal profondo silenzio della propria volontà; quindi stai attento a evitare sia la sollecitudine che la negligenza.
Non in commotione Dominus (III Re, XIX, 11).

La verità, accettata prima con umiltà e semplicità dalla fede e vissuta nella pazienza quotidiana, è ora evidente: l’anima può assaggiarla senza intermediari, nell’esperienza dell’amore. Gustate et videte quoniam suavis est Dominus.- “Assapora e guarda com’è dolce il Signore” (Salmo XXXIII, 9).

La sottomissione a ciò che Dio ci comanda ci eleva continuamente a Lui: l’umiltà ci esalta e ci permette di guardare liberamente, dal culmine delle prospettive di grazia, il piccolo mondo degli interessi umani. Qui il cuore si apre all’amore di tutti gli uomini e vorrebbe riversare su di essi fiumi di acqua viva da cui è allagato: cattolico nel pieno senso della parola, non ha alcun disprezzo per alcuna anima né accusa alcuna miseria. La preoccupazione di piacere sempre al Padre celeste conferisce un carattere soprannaturale a tutto ciò che l’uomo fa in questo stato di unione, anche nei più piccoli dettagli del suo comportamento. E Dio si sente più glorificato, ed è contento e riconosciuto in lui più che in tutta la sua creazione, le cui meraviglie proclamano, tuttavia, la sua saggezza e il suo potere. Una fiducia illimitata e assoluta, assicura l’anima interiore della sua unione con il Padre: sa che nessun potere del mondo o dell’inferno ha il potere di scuoterlo. Nulla di ciò che è stato creato ha potere su una volontà sinceramente abbandonata, poiché l’amore lo afferra per stabilirlo per sempre in Dio.

L’unione spirituale dà all’uomo la sua più alta dignità: dare un figlio al Padre nella persona del Figlio. Con questa filiazione divina l’anima ottiene la libertà – Ubi Spiritus, libertas ibi (colori II, III, 12); riceve potere che eserciterà sul cuore del Padre e in ogni regno dell’amore; e riceve la bellezza che irradia dalla conformità con Cristo. Si sente amata da Dio come se fosse l’unico oggetto dell’amore divino e ama Dio come l’unico oggetto del suo amore. Niente può trattenere il tuo affetto se non con Dio e in Dio l’unione diventa così pura che l’uomo si sente alienato da se stesso e non pensa più a tornare indietro nel suo volo interiore. “Dammi ali come le ali di una colomba, affinché io possa volare e riposare” (Salmo LIV, 7).

L’anima cessa di appartenere a se stessa se è in realtà un bene di Dio come lo è dell’anima: l’amore, purificandosi, lo porta a Lui in un movimento sempre più pronto e diretto. Amare Dio per se stesso è il frutto ultimo della grazia che eleva l’uomo all’ordine soprannaturale, gli dà le ricchezze dell’essenza e lo rende partecipe della vita di Dio. “Ti ho amato con amore eterno, quindi, compassionevole con te, mi attira a te” (Geremia 31: 3).

I poteri della fede sono ora germogliati e fioriscono nella pienezza della carità. Non c’è nulla che abbia il potere di unire come amore divino, e nessuna profondità è paragonabile a quella a cui attira coloro che si sono uniti per sempre. Tutto l’amore attrae e in un certo senso divora colui che ama, ma il nostro cuore non può assorbire Dio: e così questo amore ci coglie e ci assorbe nell’oggetto amato: “il mio amato è per me e Io per lui “(Can., II, 16).

La carità conduce così alla fusione dei cuori.Dio ci eleva infinitamente al di sopra della nostra natura per rendere possibile questo compimento. Alla fine del nostro lavoro e delle suppliche di un’umile preghiera, l’Amore ci fa attraversare uno spazio in sproporzione con il nostro sforzo e ci porta ad un punto che i nostri desideri non avevano neppure concepito.”Nessuno può venire da me se il Padre mio non lo attira” (Giovanni VI, 44).

Con sublime violenza, Dio si unisce, si assimila e trasforma in se stesso l’anima che vive con il vero amore. “Perché il nostro Dio è un fuoco divorante” (Ebr., XII, 29). E lo spirito guidato da Dio non trova nulla in Dio che lo fermerà: può liberamente sondare le sue profondità. È senza paura che ti arrendi al tuo elemento. “L’amore mi ha gettato nel fuoco”. L’obbedienza ai comandi di tutto il Dio conduce l’anima alla sua dimora eterna: si immerge, in questa vita, e una radice incrollabile può cominciare a crescere in pace in amore. Il progresso nella carità dà allo spirito una conoscenza più intima di Dio, e questa conoscenza, a sua volta, infiamma la volontà in una carità più intensa, da cui emana nuova luce. Il divino è così familiare a quest’anima che la sua realtà getta nell’ombra degli oggetti terreni: vede quest’ultimo con gli occhi del corpo come cose strane, mentre contempla direttamente la verità divina, misteriosamente legata alla sua sostanza da una costante comunione. L’amore di Dio poi domina l’intera vita dell’uomo e fa cessare rapidamente l’irrequietezza della mente e l’agitazione del cuore. Ordinavit in me charitatem. – “Ha ordinato la carità in me” (Can. II, 14).

Segue….

Lo spirito nuovo

a

Eccoci giunti ad un altro brano, tratto dal libro ” Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”

Il sermone che vi offro oggi si intitola “Lo spirito nuovo”

Quando siamo incorporati nel Figlio, una perfetta intimità con Lui è l’oggetto legittimo della nostra speranza, lo scopo dei nostri desideri e dei nostri sforzi. Cresce in noi e dilata il nostro essere, in modo da renderci sempre più capaci del divino.

L’uomo rinnovato per grazia toglie tutte le sue facoltà dalle abbondanti ricchezze della Parola, mentre si spoglia di se stesso per rivestirsi della santità di Cristo. L’incorporazione ci inonda di sempre nuovi doni: il potere dello Spirito Santo, il potere divinizzante della grazia, la gloria che questa vita di unione è già segretamente riempita. “Perciò, come il prescelto da Dio, santo e amato, mettiti nelle viscere della misericordia, della bontà, dell’umiltà, della modestia e della pazienza” (Col., III, 12). “Sebbene l’uomo esteriore sia distrutto in noi, tuttavia l’interno viene rinnovato di giorno in giorno” (II Cor., IV, 16).

La fusione dell’anima con Cristo opera alla radice stessa dell’essere e all’inizio dei tempi: i simboli tratti dall’unione di sostanze create non richiedono di tradurre questa unità incomparabile e sempre nuova forgiata dall’amore. “Che tutti possano essere uno, come tu, Padre, sei arte in me e io in te, affinché anch’essi siano uno in noi” (Giovanni, XXII, 21).

Dio non mette da parte ciò che ha iniziato; al contrario, non cessa mai di perfezionarlo nell’anima: vuole che Cristo cresca in noi fino alla piena armonia dell’età adulta. Il suo Spirito si avvicina costantemente al Padre per unirci più intimamente con Lui. “Per tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Perché non hai ricevuto lo spirito di schiavitù di temere di nuovo, ma di ricevere lo spirito di adozione dei bambini, mediante il quale siamo chiamati, dicendo: Abba (Padre) “(Rom 8: 14-15).

Man mano che la conoscenza di Dio cresce in noi, la nostra fede nel Padre diventa più viva: più chiaro è per noi l’evidenza che Dio è carità, più pronta è la nostra anima a perdersi nel profondo di questo amore. Prendiamo l’amore del Padre attraverso il Figlio, ed è con Cristo che riposiamo nel seno del Padre: “Ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferito nel regno del Figlio del suo amore” (Col. I, 13). In questo modo, la vita condivisa con Cristo ci introduce nella patria della sua gloria eterna.

“Padre giusto, il mondo non ti conosceva, ma io ti conoscevo; e hanno saputo che tu mi hai mandato. Li ho fatti e li renderò noti a voi, così che l’amore con cui mi avete amato possa essere in loro, e io in loro “(Giovanni, XXVI, 25-26).

Tutti gli uomini possono vivere di questa inebriante verità se si lasciano liberare da essa, se, cessando di renderli gli oggetti del loro desiderio, li attraversano come passi fragili, come mezzi interamente ordinati per fini divini. “Conosciamo e crediamo nella carità che Dio ha per noi: Dio è carità” (I Giovanni, IV, 16).

Dio cerca di strapparci sempre più a fondo in modo che non viviamo più per noi stessi, ma per Lui e per Lui. La mia volontà, il mio cuore, il mio spirito sono stati sostituiti dalla volontà, dal cuore, dal spirito di Cristo; Io e io siamo uno nello spirito, e io sono identificato con Lui dall’amore: questa è l’esperienza e la gioia dei santi. “Non vivo più, è Gesù che vive in me!” (Galati II, 20).

Nulla incoraggia e rafforza il cuore come questa verità: “Tutte le cose sono tue, il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro; tutto è tuo; ma tu sei di Cristo e il Cristo di Dio “(I Cor., III, 22-23).

È questa, infatti, l’eredità di Cristo, l’opera che ha liberamente compiuto morendo per noi. “Ecco, voi siete purificati, santificati e giustificati nel nome di Gesù Cristo mediante lo Spirito di Dio” (I Cor. VI, 11).

Dobbiamo tutto alla grazia e siamo solo ciò che ci permette di essere, ma possiamo renderlo inefficace con le nostre infedeltà. Sorvegliare la sua crescita dentro di noi è l’oggetto degno del nostro sforzo. “La tua fatica non è vana nel Signore” (I Cor. Xv, 58). “Guardate, state saldi nella fede, e sii forte e forte” (I Cor., Xvi, 13).

Le debolezze terrene peseranno sempre su di noi finché vivremo in questo mondo. Gli eroi e i giganti della santità hanno sempre sospirato sotto la legge del peccato, che, come noi, non ha mai cessato di provare. “Insoddisfatto di me! Chi mi libererà da questo corpo di morte? “(Rom., VII, 24). Il rimedio per la nostra debolezza è il realismo della fede: uno sguardo franco alla nostra stessa miseria e alle ricchezze di Dio. Cristo ha operato in noi un’opera sublime, l’infusione di un’altra vita.

La fede ci illumina di una luce infinitamente più luminosa del giorno, la carità apre un orizzonte che la natura non può nemmeno sospettare. Il cristiano è un uomo nuovo e l’aria che respira interiormente non è di questo mondo; la sua esistenza fu riavviata secondo un piano divino. Sebbene continui a trascinare il peso del corpo e le sue inclinazioni inferiori, esso sei già diventato un membro di un’altra persona. “Metti via il vecchio con tutte le sue opere, e indossa il nuovo, colui che si rinnova continuamente nell’immagine di colui che lo ha creato, raggiunge la perfetta conoscenza. In questo rinnovamento non distingue tra schiavo e uomo libero, è Cristo che “è tutto in tutti” (Col., III, 9-11). “L’uomo che è in Cristo è una nuova creazione; le vecchie cose passarono; ecco, tutte le cose sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio “(II Cor., V, 17). Il cuore è nuovo, lo spirito e la volontà sono nuovi; sì, l’uomo è nuovo dal momento in cui si è aperto completamente alla grazia. E ciò che Dio gli dà, la vita divina, non può essere sradicato da tutto ciò che è stato creato, se non acconsente ad esso. “Chi ci separa poi dall’amore di Cristo? La tribolazione? L’angoscia? La fame? La nudità? Il pericolo? L’inseguimento? La spada? Ma tra tutte queste cose siamo conquistatori per lui che ci ha amati. Perché sono persuaso che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né le cose presenti, né le cose future, né la forza, né l’altezza, né la profondità, né qualsiasi altra una creatura può separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore “(Rom. 8: 35-39).

Eccesso divino, misura divina (parte seconda)

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Le parole di Cristo sono vicine alla nostra vita, perché sorgono direttamente dalla fonte divina. Non c’è nulla di freddamente teorico al riguardo, e va dritto al cuore, che l’infanzia evangelica la rende sensibile all’azione divina. Per gli interessi con cui gli uomini perdono la loro libertà, l’aria falsamente seria della falsa maturità distrae l’anima, offusca e acceca la sensibilità dello spirito. Dobbiamo lasciare il mondo, anche se continuiamo a farlo; è necessario, soprattutto, abbandonarsi per essere mossi dalla novità divina dell’amore di Cristo che non ha mai cessato di annunciare a noi interiormente.

Non appena l’anima cede all’invito di carità e grazia, è in grado di entrare nel Santo dei Santi che si apre nel modo più intimo del suo essere. È qui che il Padre vive e genera il Figlio. E nella misura in cui l’uomo riceve con delicata passività ciò che Dio gli dà, ottiene la forza necessaria per le opere che il Padre si aspetta da lui. Per chi conosce per ascoltare la Parola divina, la vita non è altro che un unico canto di lode, fatta di azione e di preghiera, questa unità di pienezza che Cristo ci dice”Ho promesso in loro e tu in me, perché siano compiuti in unità, e affinché il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati, come tu mi hai amato “(Giovanni XXVIII).

La comunità di cuori uniti a Dio e al suo Figlio innamorato non è certo numerosa: ma fu a questo piccolo gregge che Cristo gli disse di non temere. È da queste anime che il mondo riceve segretamente la sua luce. Sono ciò che Dio vuole mantenere come il sole della terra. “Perché è stato un piacere per tuo padre donarti il regno” (Luca XVII, 32).

Possa il raggio di grazia, entrare in cuori divisi, restituirli alla sua semplicità. Possa l’amore rendere unità e profonda pace regnare in ciascuno di noi: questa è la condizione necessaria e sufficiente per le divisioni e le lotte tra gli uomini, che affliggono il mondo, per cessare di esistere. Il desiderio di Cristo di unirci in Lui, nella carità del Padre, è immenso: è infinito come Dio stesso. Se Gesù ha fatto conoscere il nome di suo padre era con così filiale gratitudine e carità fraterna per veramente diventare Suoi figli, certo indirizzo che li attende, l’eredità che è promessa e lo scopo per cui sono stati creati. Poiché questi beni sono interamente nostri, finché l’uomo, adattato come figlio di Dio, accetta la sua santa volontà.

Spesso non siamo in grado di adempiere obblighi secondari e apparentemente facili perché non accettiamo la missione interiore e sublime affidataci da Dio. Accettare il nostro destino, sapere che siamo gli eredi e fratelli di Cristo, è la prima condizione di unione e le stesse purificazioni che ci portano all’unione. Lo spirito non dovrebbe avere una salute debole, la respirazione velenosa lo soffoca. La repressione del divino nella nostra anima è la causa del nostro squilibrio e della nostra debolezza. Ascoltiamo la pura eloquenza dell’Assoluto: farà impallidire la parola terrena e tutta la scienza degli uomini e ci condurrà senza deviazione verso la Fonte eterna la cui generosità diventerà nostra. “Tutti condividiamo la sua pienezza” (Giovanni, I, 16). “Siate pieni della pienezza di Dio” (Efesini 3: 19).

La timida fede di quasi tutti i cristiani non è a conoscenza della portata di queste rivelazioni, fa sì che ignorino le infinite risorse della grazia e la meravigliosa liberalità dell’amore, nell’invito che ci fa partecipare alla loro vita. Nessuna misura umana è valida per lui: né il tempo né lo spazio pongono limiti a questo regno in cui regna l’unità e non conta i suoi doni. Evitiamo di mettere le promesse divine al livello dei nostri impegni. Chi non li accetta con una fede vissuta generosamente, è sordo e insensibile nella verità davanti a loro, può apprendere il suo senso materiale, ma è vietato comprendere il suo contenuto divino.
“L’uomo animale non percepisce quelle cose che sono dello Spirito di Dio, perché sono folli per lui e non riescono a capirle; perché meditano spiritualmente.- Lo spirito penetra tutto, anche le profondità di Dio “(Corinzi 14 e 10).