• Translate

  • Follow us

  • Memini, volat irreparabile tempus

    Maggio: 2024
    L M M G V S D
     12345
    6789101112
    13141516171819
    20212223242526
    2728293031  
  • Guarda il film online

  • Articoli recenti

  • Pagine

  • Archivi

  • Visita di Benedetto XVI 9 /10 /2011

  • “I solitari di Dio” di Enzo Romeo

  • “Oltre il muro del silenzio”

  • “Mille anni di silenzio”

  • “La casa alla fine del mondo”

  • Live from Grande Chartreuse

  • Inserisci il tuo indirizzo email per seguire questo blog e ricevere notifiche di nuovi messaggi e-mail.

    Unisciti a 685 altri iscritti
  • Disclaimer

    Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001. Rare immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione. L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.


Le sofferenze di Cristo come antidoto all’avversione

nella cella

Ecco per voi uno splendido testo di Adamo Scoto estratto dal suo “Libro sul quadruplice esercizio della cella” e rivolto ai suoi confratelli, ma sul quale vi invito a meditare.

statbn

Quando sei solo in cella, sei spesso preso da un certo disincanto, un rallentamento della mente, una riluttanza del cuore. Senti in te una certa, e molto severa, stanchezza; sei un peso per te stesso; quel conforto interiore di cui eri così felicemente abituato a godere ora manca. La dolcezza che avevi ieri e l’altro ieri si è ora trasformata in grande amarezza. Quel flusso di lacrime completamente prosciugato, da cui eri abituato a essere cosparso così abbondantemente. La forza vitale spirituale è scomparsa in te, la bellezza è perita. Porti con te un’anima lacerata e frantumata, un’anima confusa e squarciata, un’anima triste e amara, e non trovi dove posarla per riposare. Neanche a te piace la lettura; la preghiera non reca dolcezza; non troverete più le solite piogge di contemplazione spirituale.

Ma alzati, liberati dalla polvere, sciogli i ceppi del tuo collo! Consideriamo colui il cui fianco è stato ferito dalla lancia del soldato; che ha versato il sangue per la nostra redenzione e l’acqua per il nostro lavacro spirituale. Tolto dalla croce, fu sepolto, depredò il mondo sotterraneo, lo pugnalò, uccise la morte, fu risuscitato, apparve, mangiò con i discepoli, ascese dove era prima. Certo, non è partito da lì quando è venuto qui, né ha lasciato questo luogo quando è tornato lì. In questo modo dovresti guardarlo e quindi avere gli occhi nella tua testa. Se consideri costantemente questa e altre cose che in questo modo si riferiscono a Lui con la necessaria devozione e la corrispondente preoccupazione in te stesso, sì in te.

E dimora tra noi

certosino in preghiera

Giovanni 1,14

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

Nell’articolo odierno, amici carissimi, vi propongo un testo di “un certosino” estratto dal libro “Maestro, dove abiti?”. È un libro di stile elevato, poco accessibile a chi non ha familiarità con la spiritualità cristiana. Raccoglie una serie di meditazioni e contemplazioni sul Vangelo di San Giovanni.
stelle sette xIn noi la sua immagine è sepolta nella materia come il piccolo seme nella terra, come il feto nel grembo materno, come l’idea nascente nello spirito che lo ha concepito. Questa immagine può diventare “figlio di Dio”: ma non lo è ancora. Non solo non ha acquisito lo sviluppo che la farà passare nell’essere intero e le darà i tratti del Padre celeste, ma quell’essere di cui deve impossessarsi per somigliare al divino è occupato da Colui che è l’avversario di Dio. Lo sviluppo del germe divino incontra questa opposizione; La lotta continua, incessante e terribile… eppure bella sotto l’aspetto dell’Amore.
La lotta è la ricerca di Dio nascosto nelle cose: noi siamo per Lui, Lui è lì, in quelle cose, per noi. Ma dobbiamo unirci a Lui. Il movimento che ci unisce a Lui è il movimento del piccolo germe. Lo spirito che lo occupa lo illumina e lo dirige. È il motore segreto, l’anima viva che comunica con tutto ciò che la circonda. Possiamo e dobbiamo “nascere da Lui” in ogni momento. Questa nascita si esprime in due formule ma si realizza in un unico atto. Dobbiamo staccarci da ciò che è creato; dobbiamo aderire a Colui che ci genera. Lo strappo non è altro che un mezzo, l’adesione è tutto. Dobbiamo vedere e volere l’unione; Dobbiamo acconsentire alle separazioni che impone. Accogliere la luce della Parola è chiudere la porta ed espellere le tenebre.

Un certosino. 

Margherita d’Oyngt sulla morte

Margherita d' Oyngt (certosaCalci)

Per la ricorrenza odierna della commemorazione dei defunti, voglio proporvi una profonda meditazione sulla morte, ma che pare essere anche una preghiera. Il testo è della beata certosina Margherita d’Oyngt ed è contenuto nel Pagina meditationum (Libro di meditazioni) scritto nel 1286, ovvero la sua opera teologicamente più rilevante.

Che essa ci inviti a riflettere e meditare. Vada inoltre in questo giorno un dolce pensiero a tutti i cari che ci hanno preceduto.

statbn

Dolce Gesù, che cosa devo fare in quell’ora finale, quando non sarò più in grado di servire e di avvalermi di me, quando avrò gli occhi e le labbra chiuse, e la mia anima sarà in procinto di separarsi dal corpo? Poi i miei nemici mi assedieranno, cercando di tentarmi in ogni modo possibile: chi contro la fede, chi di vanagloria, chi di disperazione.

Dolce Gesù, che farò e che cosa mi accadrà in quell’ora tremenda della mia fine e del giorno del giudizio?

Che farò allora? In quelle mani mi metterai? In quale luogo mi collocherai?

Signore Gesù, ti supplico e ti chiedo, per la tua misericordia, di rivolgermi in quell’ora quello sguardo con cui guardasti Pietro, e di consegnarmi lo scudo della fede e lo stendardo della tua Passione. Ti chiedo ancora il dono di una salda perseveranza che mi faccia vincere ogni timore e ogni dubbio.

Dolce caro Signore, ti prego di far si che la tua dolce Madre, he ho amato sopra ogni cosa dopo di te, sia presente quando la mia anima lascerà il corpo, così che il demonio non mi si possa avvicinare. Concedimi la forza e la grazia di poterti in quell’ora invocare con tutto il mio cuore e affidarti la mia anima, affinché tu l’accolga per le mani del tuoi santi angeli.

Dolce Signore, non permettere che lasci questa vita terrena prima di essere del tutto purificata. (…) Concedími, ti prego, di poter soffrire in questa vita, così come tu hai sofferto per mio amore: poiché sono pronta a sopportare tutto quello che tu vorrai, purché possa essere con te. Se tu vuoi che lo sia disprezzata, lo voglio anch’io; se vuoi che lo sia perseguitata, lo voglio anch’io; se vuoi che io sia reietta, lo voglio anch’io, piuttosto che perderti: o se vuoi che io sia arsa viva o annegata o impiccata o scorticata, anch’io lo voglio, piuttosto che non essere con te.

Dolce mio Signore, ti supplico di farmi morire di qualunque morte tu vorrai, purché lo sia per sempre con te.

Sapienza della Croce

Lud e Christo

Oggi, in questo giorno della passione di Cristo in cui si celebra il significato della croce e del sacrificio fatto da Gesù Cristo per la redenzione del genere umano, vi offro una sublime meditazione. Il breve testo che segue, di Dom Ludolfo di Sassonia è estratto dalla sua opera “Vita Christi”, pubblicta nel 1474, leggiamo i suoi utili consigli. A seguire le sette parole di Cristo in croce.

Sapienza della Croce

La frequente meditazione della Passione rende dottissimo anche l’ignorante, e fa maestri gli inesperti ed i non istruiti: li fa maestri, cioè, cioè, non della scienza che che gonfia, ma della carità che edifica. Questa meditazione è un certo libro della vita, nel quale si trova tutto ciò che è necessario per la salvezza; inoltre questo libro che insegna ogni cosa si rivela di una soave dolcezza. Beato chi lo studia seriamente, poiché avanzerà nel disprezzo del mondo e nell’amore di Dio, nonché nell’acquisto di tutte le virtù e doni celesti. La meditazione della Passione si deve fare non superficialmente né in fretta, ma di solito quando si ha tempo sufficiente e opportuno, inoltre con matura, longanime e cordiale riflessione, e con una certa partecipazione dolente. Se però nella meditazione non ti senti muovere né dall’affetto di compassione, nè da altri sentimenti di congratulazione o gratitudine, ma ti senti oppresso da durezza ed aridità, persevera tuttavia come meglio puoi, a Gloria e lode di Dio, in questo salutare esercizio, e riguardo a ciò che non puoi ottenere da te stesso, rimettiti alla sua amorevole Provvidenza.

Le sette parole di Cristo in croce nella redazione greca dei Vangeli di soli sette frasi, composte da 41 parole compresi gli articoli e le particelle:

  1. Ai crocifissori : “Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno” ( Lc 23,34)
  2. Alla madre Maria: “Donna, ecco tuo figlio”. Al discepolo amato Giovanni “Figlio, ecco tua madre”. (Gv 19,26)
  3. Al malfattore pentito, crocifisso accanto a lui: “In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso”. (Lc 23,43)
  4. Eloì, Eloì, lemà sabactàni, ovvero “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. (Mt 27,46; Mc 15,34)
  5. “Ho sete”. (Gv 19,28)
  6. “Tutto è compiuto”. (Gv 19,30)
  7. “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. (Lc 23,46)

messalecertosino1-1

Riflessione sulla contemplazione

277546218_990230105263875_9079617319645505478_n (1)

Oggi voglio offrirvi una riflessione sulla contemplazione, un breve testo scritto da un certosino, vogliate leggerlo ed apprezzarlo.

La contemplazione non è altro che l’amorevole e costante guardare verso Dio. Forse la grande differenza per l’uomo comune, il cuore del contemplativo sa trovare Dio in tutte le cose, e a Lui rivolge tutta la sua attenzione.

Per essere contemplativi anche noi dobbiamo imparare l’abitudine di vedere Dio in ogni cosa. Le nostre occupazioni, le nostre attività non sono, non devono essere, fini in sé, ma ciò che sono veramente: mezzi. Dovremmo accettarle, approfittarne, sapendo che provengono da Dio, e che ci conducono anche a Lui. Dio ci dà quotidianamente i mezzi per santificarci, e soprattutto in coloro che sono contrari alla nostra natura e ai nostri gusti.

Contemplazione, dopotutto, è la disponibilità di essere nella nostra integralità tutti a Dio, di ricevere tutto da lui, permettendogli di agire in noi, superando tutte le difficoltà che lo opponiamo per la nostra azione.

La contemplazione è la pienezza con Dio nel momento presente. È vincere e avere la piena consapevolezza di ricevere, momento per momento, la totale azione di Dio nella nostra vita. Di un Dio che si dà continuamente.

Un certosino

La Nube della non-conoscenza 24

NUBE

CAPITOLO 24

Che cos’è la carità, e come è veramente e perfettamente contenuta nella contemplazione.

Abbiamo parlato dell’umiltà, di come essa è tutta racchiusa, in maniera vera e perfetta, in quello slancio d’amore così piccolo e cieco che va a colpire l’oscura nube della non-conoscenza, dopo aver soppresso e rigettato, nell’oblio ogni altra cosa. Questo vale, tuttavia, per tutte le virtù, e in particolare per la carità La carità, infatti, consiste unicamente (e tu non dovresti intenderla in altro modo) nell’amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, e nell’amare il prossimo come se stessi, per amore di Dio. Ora, che nella contemplazione si debba amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, mi sembra abbastanza evidente: come ho già detto prima, in sostanza questo lavoro non è nient’altro che un puro anelito diretto a Dio in se stesso, e a lui solo. Sì, l’ho chiamato puro anelito, perché in quest’opera chi sta diventando vero contemplativo non pretende né una riduzione della pena, né un aumento della ricompensa, ma per dirla in breve, non chiede altro che Dio. Cosicché non gli importa più niente se è afflitto o contento: la sua unica preoccupazione è che sia fatta la volontà di colui che egli ama. Ecco come in questo lavoro si arriva ad amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura e in maniera perfetta. Chi compie alla perfezione il lavoro, non permetterà mai che il semplice ricordo di una creatura, fosse anche la più santa che Dio abbia mai creato, venga ad occupare la sua attenzione. Nella contemplazione si realizza in maniera perfetta anche il secondo aspetto della carità, quello relativo al prossimo. Che ciò sia vero non ci vuol molto a dimostrarlo. Infatti il perfetto contemplativo non tiene in particolare considerazione nessun uomo in quanto tale, parente o estraneo, amico o nemico che sia. Tutti gli uomini sono suoi fratelli in egual misura e nessuno gli è estraneo; tutti gli uomini sono suoi amici e nessuno è suo nemico: ecco come la pensa. E giunge al punto di considerare come suoi amici carissimi proprio quelli che gli fan del male o che lo fanno soffrire, e si sente spinto ad augurar loro lo stesso bene che si augura all’amico più caro.

La Nube della non-conoscenza 23

NUBE

CAPITOLO 23

Dio risponde e provvede in modo spirituale a favore di coloro che per amor suo dimenticano se stessi.

Indubbiamente, se avremo un vero desiderio e ci sforzeremo, almeno per quanto sta a noi e con l’aiuto della grazia e della direzione spirituale, di conformare il nostro amore e il nostro modo di vivere a quello di Maria, nostro Signore non mancherà di rispondere in maniera spirituale anche per noi, oggi e sempre, nell’intimo del cuore di coloro che dicono o, pensano male di noi. Con questo non intendo dire che per tutto il tempo che passiamo in questa vita piena di affanni, non avremo più detrattori o criticoni, come li ebbe invece Maria. Dico piuttosto che se non presteremo orecchio alle loro critiche e non lasceremo a metà il nostro interiore lavoro spirituale a causa delle loro parole e dei loro pensieri — seguendo così l’esempio di Maria —, allora nostro Signore risponderà a essi in spirito, se avranno parlato o pensato senza pregiudizi, così che nel giro di pochi giorni si vergogneranno delle loro parole e dei loro pensieri. E come risponderà per noi in spirito, così indurrà altri in maniera tutta spirituale a darci il necessario per vivere: cibo, vestiti, e cosa via, sempre se vedrà che noi non abbiamo alcuna intenzione di smettere di amarlo per attendere a queste cose. Questo dico per confutare l’errore di quanti sostengono che non è giusto mettersi a servire Dio nella vita contemplativa, se prima non ci si è assicurati il necessario per il proprio sostentamento. Essi dicono: «Aiutati che Dio ti aiuta». In realtà sparlino di Dio, e lo sanno bene. Infatti, chiunque tu sia ad aver abbandonato con tutta sincerità il mondo per volgerti a Dio, sta’ pur certo che egli ti manderà, indipendentemente dai tuoi sforzi personali, l’una o l’altra di queste due cose: una gran quantità di beni o la forza fisica e la pazienza spirituale per sopportare. Che importa quale delle due si ottiene? Per il vero contemplativo non c’è alcuna differenza. Per chi ha dei dubbi a questo proposito, si dovrà dire che ha in cuore il diavolo che gli impedisce di credere, oppure non si è ancora convertito cosa sinceramente come dovrebbe, per quanto possano essere ingegnose e pie le scuse da lui addotte. Perciò, tu che ti proponi di diventare un contemplativo al pari di Maria, accetta di buon grado di essere umiliato dall’incomparabile grandezza e perfezione di Dio (questa è l’umiltà perfetta), piuttosto che dalla tua miseria personale (questa è l’umiltà imperfetta). In altre parole, fissa in maniera speciale la tua attenzione più sull’eminenza di Dio che sulla tua pochezza. A quelli che possiedono l’umiltà perfetta non manca assolutamente niente, né di materiale né di spirituale. Essi, infatti, hanno Dio, in cui sta tutta la pienezza, e chi possiede lui, come questo libro va continuamente dicendo, non ha bisogno di nient’altro in questa vita.

Meditazione per Pentecoste

Pentecoste retablo cartuja de Miraflores

Pentecoste, particolare retablo cartuja de Miraflores

Oggi in occasione della festa della Pentecoste, quest’anno ho scelto per voi una meditazione estratta da “Vita Christi” di Dom Ludolfo di Sassonia.

A seguire, una deliziosa preghiera.

Nel giorno di Pentecoste, il cinquantesimo dopo la Risurrezione e il decimo dopo l’Ascensione, il Signore Gesù parla al Padre della sua promessa, che aveva fatto ai discepoli per inviare loro lo Spirito Santo. Avendo compiaciuto il Padre, mandarono lo Spirito Santo a scendere sui discepoli, riempili, confortali, rafforzali, istruiscili e inondali di virtù e gioie.

Ci sono tre segni attraverso i quali ognuno può congetturare di avere lo Spirito Santo; ecco perché lo Spirito Santo apparve sotto tre segni: sotto forma di nuvola, sopra il Cristo trasfigurato; colomba, su Cristo battezzato, e fuoco sul collegio degli apostoli riuniti. Il primo segno è l’abbondanza di lacrime, ecco perché è apparso sotto forma di nuvola: quando arriva l’Austro le nuvole ruotano nelle piogge, così viene lo Spirito Santo, le menti ruotano nelle lacrime. Il secondo segno è il perdono delle offese, ecco perché è apparso come una colomba: la colomba non ha fiele, quindi lo Spirito Santo infonde un grido di carità nei cuori, scaccia odi ed espelle tutti i rancori. Il terzo segno è il desiderio di cose elevate; così è apparso sotto forma di fuoco; il fuoco tende alle altezze, quindi lo Spirito Santo innalza i cuori.

Preghiera

Gesù, generoso donatore di tutti i doni! Hai inviato lo Spirito Santo sotto forma di fuoco sui discepoli. Ti prego, affinché io possa ricevere, per mia salvezza, per tua grazia, il dono che i tuoi discepoli hanno ricevuto dalla tua generosità. Invia su di noi, il tuo servo, il tuo Spirito di carità, amore e pace; possa visitare i nostri cuori, purificarli dai vizi, adornarli con le virtù, abbracciarli con il vincolo dell’amore, illuminarli con la luce della tua conoscenza e accenderli con l’ardore del tuo amore. Perdona i nostri peccati e donaci la vita eterna.

Amen.

La vocazione dei certosini

anonimo-um-cartuxo-intimidade-com-deus-capa-195x3141-a27f65051da9c49aef15091686182450-640-0

Cari amici lettori, eccoci giunti all’ultimo brano tratto per voi dal libro ”Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”. In questo ultimo capitolo l’anonimo priore certosino ci parla della vocazione dei certosini. Una spiegazione semplice, ma estremamente esaustiva.

Non è possibile senza l’aiuto della grazia speciale cercare di definire lo spirito di uno dei grandi Ordini della Chiesa, i cui interessi sono in realtà gli interessi di Dio, in modo che nessun uomo sia in grado di parlarne, è ancora più difficile quando questo Ordine è contemplativo, fedele per nove secoli alla sua stretta clausura: la sua vita segreta, per rivelarsi, ha bisogno di una cordialità e di una risposta interiore. Ma per parlare della vocazione certosina, sarebbe necessario, soprattutto, averlo seguito alla perfezione: e si vergogna di aver fatto così poco che abbiamo scritto queste righe.

Non importa quanto vogliamo esprimere l’intenzione che anima la vita dei certosini e dei loro religiosi, dobbiamo farlo nei termini più semplici. Le nostre anime sono le mogli di Gesù Cristo se rispondiamo alla loro chiamata: il nostro ideale è di farlo e vivere solo in unione con Lui. Ci sforziamo di raggiungere questo fine attraverso la vita sacramentale e liturgica, attraverso la preghiera, l’obbedienza, la mortificazione e dall’oblio di noi stessi, nella solitudine e secondo i costumi dell’Ordine Certosino. Sappiamo e sentiamo, per quanto in cui Dio che è disposto a completare questa unione di spiriti e cuori senza indugio, purché rimuoviamo gli ostacoli. Questi ostacoli sono ridotti a uno: attaccamento a noi stessi, che solo l’amore divino può liberarci.

Questa definizione è certamente elementare: molti troveranno strano trovare in essa una dottrina così scarsa e così poche caratteristiche specifiche. Tuttavia, è necessaria questa semplicità: è la prima caratteristica della spiritualità certosina, e ci dispiace dover spiegare queste parole, possiamo aggiungere nulla alla loro sostanza e temiamo per indebolirli con il commento. I monaci e le religiose certosine, impegnati nel servizio di Dio nei loro eremi, non formano una scuola o raggruppati attorno al nome di un maestro, non hanno celebrato autore la cui opera possa fissare le linee del suo sviluppo spirituale e vi darà la strada deve essere imitato da allora in poi. Ma non è solo dalla sobrietà delle formulazioni teoriche che un luogo sembra essere stato riservato per un silenzioso impulso dello spirito; la verginità è una caratteristica essenziale della spiritualità certosina: tutto, in questo Ordine, protegge la vita spontanea dell’anima e la riserva per Dio.

Questo è il senso di solitudine, che osserviamo e che impressiona così gli estranei. Ci abbandoniamo a Dio e solo noi ci sforziamo di vivere. Questa solitudine nel suo aspetto sociale, è inoltre ammorbidito dalla regola: mantenere i rapporti familiari tra di noi, siamo uniti tra loro da una profonda amicizia, come fratelli e sorelle dello stesso ordine. Tuttavia, questi rapporti e questa amicizia solo nel senso che ci può aiutare nella fedeltà alla solitudine, misurandola dalle nostre forze, e la messa alla prova in modo che non perda il suo carattere soprannaturale. Essere soli è, in un certo senso, morire per l’uomo: è per questo che molte volte, dopo averlo provato, alcuni la considerano un’impresa inumana. Tuttavia, l’anima è stata creata per Dio, e ogni altro oggetto chiude il cuore e lo spirito entro i limiti che lo soffocano. Privarla della solitudine, come ora il mondo sembra essere determinato a fare, è renderla una violenza che, più propriamente, può essere chiamata disumanità. La solitudine con Dio è un ideale a cui tendono tutte le anime: il chiostro lo colpisce solo in un movimento più decisivo e diretto. In realtà, non c’è nessun altro compagno che Dio: il cuore che non l’ha ancora scoperto passerà attraverso molte prove e solo in caso di se rimanere leali è che raggiungerà questa prova, non con tristezza rassegnata, ma con profonda gioia.

La vita certosina è anche definita dalla sua attività interiore: questo Ordine è, all’interno della Chiesa, quello che maggiormente si impegna nella contemplazione. Questa parola sembra avere una singolare virtù, che affascina alcuni e inquieti altri. È già stato criticato per il suo uso, che è molto antico: non è vero che ci sono uomini incapaci di ‘vedere’ interiormente ‘contemplando’ qualcosa, non importa quanto zelanti e religiosi possano essere? Dobbiamo rispondere, a nostro avviso, che questa parola è stata scelta in modo provvidenziale per designare l’atteggiamento di una moglie-anima, anche se è lontana dall’essere inondata di luce. Gli spiriti che amano la verità divina la contemplano, e questo atto deve essere l’unico che l’anima benedetta farà in cielo. Ma questo apprendimento sulla terra è fatto nel mezzo della sofferenza e delle tenebre della fede: per questo è un sacrificio, purificazione efficace e insigne testimonianza di carità. Si può contemplare se stessi nelle tribolazioni e nell’aridità, nel lavoro e nella cura del prossimo, e persino nelle tentazioni e distrazioni involontarie, l’unica cosa che conta è che l’anima sia mantenuta rivolta al Signore invisibile e operi secondo con quello sguardo. L’esperienza dell’amore deve farle capire il valore che dà alla contemplazione del suo oggetto, sia nelle tenebre che nella luce, e il puro presentimento della visione che anima la sua fedeltà: infatti, uno è contemplativo in quanto se ti ami – l’unica cosa che conta è che l’anima sia tenuta di fronte al Signore invisibile e operi in base a quello sguardo.

Che questo sforzo possa essere coronato già in questa vita da una perfetta unione con lo Sposo; noi lo crediamo fermamente, perché, in verità, nulla si frappone tra Dio e l’anima. Ma questa unione è, per sua stessa natura, segreta: implica il rispetto per il silenzio in cui lo Spirito lo prepara e lo mantiene.

Il segreto è, inoltre, una delle caratteristiche dell’intera vita cartusiana: monaci e monache vi trovano il fresco rifugio –vita umbratiles– in cui germogliano i fiori eterni. Mentre trascorriamo una parte delle ore notturne nella chiesa, ci sforziamo di santificare attraverso la preghiera il cuore di notte; così la nostra esistenza, lontana dagli sguardi del mondo, imita la vita nascosta del Signore, che visse nel grembo di Maria e durante i trent’anni che prepararono la salvezza del mondo. Abbandonando una società in cui ognuno, ovviamente, cerca di apparire, i certosini i religiosi certosini lottano per scomparire, sperando che la verità accetterà questa prova. Uno dei patroni dell’Ordine, il cui nome è incluso nella nostra formula professione, è Giovanni il Precursore, il profeta solitario che cerca di cancellare fino a brillare agli occhi di tutta la luce della Parola.

Il ruolo delle donne, e in particolare della vergine, come già notato più di una volta, comprende di secolo in secolo una dichiarazione abitabile di pudore: si sente come un velo che protegge queste riserve sacre che devono rimanere pure, affinché le fonti di vita e di bellezza, vale a dire in un senso molto speciale, non possano mai morire sulla terra per le vergini claustrali e consacrate che si coprono di un velo che imita Maria, per custodire e nutrire nella loro vita divina. Ecco perché le nostre monache non sembrano essersi attaccate al nostro Ordine per puro caso, ma per disposizione provvidenziale, in modo che lo spirito di questo stesso Ordine si manifestasse chiaramente nelle sue caratteristiche essenziali e che la nostra risposta ad esso una vocazione per l’incoraggiamento reciproco,

La presenza costante della croce non può essere nascosta in un profilo dell’ideale certosino: abbandonare il mondo è doloroso per il cuore; la solitudine, per quanto preziosa possa essere per se stessa, è un sacrificio quotidiano per la nostra natura peccaminosa; l’obbedienza, la povertà, per quanto saggiamente proporzionata alla forza umana, non può essere accettata e vissuta senza un’agonia di autocommiserazione. Se l’entusiasmo dell’amore non si accende nell’anima scintilla di eroismo, non saranno accettate per un lungo periodo tali compiti sacerdotali certosini o convertire il fratello o la moglie o la madre spirituale. Presuppongono che la chiamata di Cristo sia stata ascoltata: “Se qualcuno mi ama, prendi la sua croce e seguimi”. Non c’è vera vita interiore senza infinita pazienza, e se la vita del convento non è una vita interiore, è una schiavitù singolarmente infelice.

I doni più puri dello Spirito, i doni della fede, dell’intuizione e dell’unione, che sono gioia , hanno tuttavia bisogno di solitudine, silenzio e croce: la loro realtà sfuma in una vita che è troppo comoda, facile. L’isolamento austero e la sofferenza che comporta sono i benvenuti al contemplativo: quando mancano, l’anima è consapevole che perde un prezioso supporto e sarebbe dannoso per lei ad essere privato di esso per un lungo periodo di tempo.

Non ci soffermeremo più su questo aspetto della nostra vita: la vita di bordo è una scuola di pazienza. Esercitato in unione con Cristo, sottomesso al governo e alla fedeltà alla solitudine, la pazienza purifica l’anima, lentamente spende l’amor proprio e ci costringe ad arrenderci a Dio. Il nostro Ministro Generale, Dom Innocenzo Le Masson († 1703), dice che la Certosa è ancora una scuola di carità (nello stile del suo secolo ” un’accademia della carità”): questo punto è, infatti, il centro di la nostra comunità religiosa, il suo inizio e la sua fine. I sacrifici di cui abbiamo appena parlato, l’abbandono e la rinuncia, hanno come unica ragione per essere la carità che manifestano, come affermato nei nostri Statuti.

L’unica cosa che si fa nei nostri monasteri è amare Cristo con tutta la nostra forza: noi sappiamo che l’abbondanza di questo divino amore ci verrà data se siamo fedeli, e diffusa su tutte le anime che ne hanno bisogno. Non c’è un solo certosino che non si consideri un missionario in questo senso; non c’è una vergine certosina che non abbia il sentimento della sua maternità spirituale e non possa dire con Cristo: “Lo Spirito del Signore si è posato su di me; perché egli mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato per guarire i contriti di cuore, proclamare ai prigionieri la redenzione, e alla vista ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno favorevole del Signore, e il giorno di retribuzione “(Luca, IV, 18-19).

L’ufficio divino e il canto corale sono l’espressione dell’amore che la Chiesa, la Sposa di Cristo, mette nelle nostre bocche, affidandoci ufficialmente le loro dichiarazioni, i loro giuramenti e le loro lodi. La carità che deve essere la vita del chiostro si manifesta invece tra i membri dello stesso monastero sia con uno sforzo continuo di delicatezza e comprensione, sia con la comunione dei cuori saziati nella stessa fonte. Questo ideale non è sempre raggiunto nella sua perfezione, ma è realizzato in modo più coerente dei giudici del mondo, e la sobria fratellanza monastica dell’espressione, nutrita dal silenzio, è un prezioso rifugio per l’anima nel suo pellegrinaggio interiore.

Spesso ci sembra che le persone del secolo tra le quali parliamo di amore e amicizia possano beneficiare dell’esperienza delle nostre comunità: infatti, nessun affetto può resistere se non è garantito da una volontà quotidiana e dalla pratica della rinuncia, ciò ti consente di affrontare tutte le difficoltà con buona volontà; nessun amore può vivere se non è pronto a sacrificare anche alle sue stesse gioie. Coloro che non riconoscono queste verità non sanno amare come amano i certosini e non crediamo che possano amare altrove.

Dom Le Masson, che rende la certosa “un’accademia di beneficenza”, vede anche in lei ciò che può sembrare ancora più strano – “un’accademia di libertà”. È sufficiente, tuttavia, avere l’esperienza di un novizio certosino per sapere che la prima impressione è quella che viene ridotta nel Salmo CXXIII: Laquens contritres est et nos liberati sumus”Il circuito era rotto e noi eravamo liberi.” Lo spazio interiore è invero infinitamente più vasto di quello che ci circonda: ciò che tiene prigioniero un uomo è l’amore avido di beni transitori, l’ambizione ristretta, la preoccupazione paralizzante di ciò che gli uomini possono dire o pensare di noi, – in una parola, l’amore di sé in tutti i suoi aspetti. La sincera risoluzione di porre fine alle sue richieste, di trattarci con saggio disprezzo, con giusta ironia, è paragonabile a sollevare un peso sotto il quale potrebbe a malapena battere il cuore. I voti non fanno altro che rompere gli ormeggi. La via della libertà non è quella dei successi esterni: al contrario, scende anche al più segreto dell’anima, al terreno divino in cui lo Spirito attento alla verità ci rende liberi (Giovanni, VIII, 32). Questa libertà si sviluppa, è come una scoperta sempre nuova man mano che l’intimità con Dio cresce, riconosce la sua presenza immediata e gli permette di viverla.

Dio è più gentile di quanto si pensi e più facile da sapere di quanto si pensi. Amandolo e conoscendolo sono due grazie strettamente correlate: nessun progresso è fatto nell’amore che non renda la certezza su cui poggiano l’equilibrio e il volo dello spirito. Amare e contemplare nella solitudine caritativa porta l’anima a dimenticare sempre più se stessa finché la trasparenza dello specchio interiore permette a Dio di riprodursi e di riposare in esso completamente. Allora si adempirà il grande comandamento: “Date a Dio ciò che è di Dio”, questo è tutto. Le domande e le risposte sono basate su un singolo brano di lode, l’unione è consumata in silenzio al di là delle nostre misure; la moglie appartiene al marito: la libertà è stata vinta.

Che lo Spirito sia ascoltato meglio!

Possano cuori generosi seguire Gesù senza paura del deserto!

E che coloro che hanno osato fare questo schema dell’ideale certosino, aiutati dalle preghiere dei loro lettori, possano viverlo in modo più fedele, per la loro salvezza e per tutte le anime. Venite et bibite, amici: inebriamini, carissimi! “Vieni, amico e bevi alla sorgente, ubriacati, amico mio!”(Canzone V, 1).

“L’anima unita” (parte prima)

101

Nell’articolo odierno, ecco per voi un estratto dal libro ” Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”.

Il sermone che vi presento oggi dal titolo “L’anima unita ” l’ho diviso in due parti, data la sua lunghezza,…eccovi la prima.

In che modo le anime assorbite nella Divinità arrivarono alla fine della beatitudine?Attraversarono l’oscurità, camminarono con perseveranza durante la notte; cerca pazientemente la verità e ascolta la Parola; e mantenuto fedele alle sue ispirazioni. “E Gesù, voltandosi indietro, e vedendo che lo seguivano, disse loro: Che cosa cercate?Gli dissero: Maestro, dove vivi? E disse loro: Vieni e vedi Andarono, e videro dove abitava, e furono lì con lui “(Giovanni, I, 38-39).

Hanno parlato con il Figlio di Dio: hanno studiato con lui. “Signore, noi sappiamo che tu sei il Maestro che viene da Dio!(Giovanni, III, 2). Accettarono la sua dottrina docilmente, e ad ognuno di loro Gesù disse: “Non ti meravigliare di dirti, è tuo dovere rinascere. Se ti ho parlato di cose terrene e non mi credi, come mi crederai se ti parlassi del mondo celeste? “(Giovanni, III, 7 e 12). Queste anime credevano in lui; Ha parlato loro dal cielo. “Il Padre ama il Figlio e ha messo tutte le cose nella sua mano. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna “(Giovanni, III, 35-36).

Mostrando che volevano fare ciò che comandava, non trovavano in Lui il rigore di un giudice, ma la delicatezza della misericordia di un Dio.

Lo seguivano sulla strada dolorosa, a volte con eccessiva sollecitudine, il più delle volte troppo lentamente. Ma non hanno mai smesso di seguirLo. Ha dato loro il coraggio: con estrema delicatezza, li ha aiutati nelle loro difficoltà, accompagnandoli in tutti i loro passi e mostrando sempre loro la strada. “Perché egli stesso ha sofferto ed è stato tentato, chi può aiutare coloro che sono tentati” (Ebr. II, 18).

Hanno ascoltato le Sue confessioni e hanno adempiuto i Suoi precetti, e “rimangono nel Suo amore”. (Giovanni, XV 10).Eseguirono le Sue opere, furono purificati dal Suo sangue, nutriti dalla Sua carne, santificati dal Suo Spirito. Ha scoperto i loro segreti, ha conquistato i loro cuori, – quel cuore che vuole ricevere senza riserve, in cambio della pura generosità del suo amore.Bastava che aprisse gli occhi sugli infiniti orizzonti del regno in grazia, affinché si rendessero conto di aver ricevuto tutto.”Ricevi, ogni cosa di grazia, dona anche di grazia” (Mt., XV, 8).

Mentre il tuo amore diventa più profondo, comprendi meglio il prezzo della fedeltà. Che immensa perdita se il cuore parte un momento da Dio e disprezza la sua bontà. Che offesa per lui e che perdita per l’uomo! Quante devastazioni non sono causate dal peccato, allontanando Dio dal suo regno interiore e riducendo a nulla i Suoi infiniti doni! Queste anime sentono l’offesa fatta al Signore e soffrono con Lui in una crocifissione quotidiana: per compensare il disprezzo del Suo amore, dimostrano volentieri il loro calice di amarezza; e questa volontaria espiazione, non importa quanto dolorose siano le loro pene, dà tuttavia loro l’assaggio della beatitudine celeste. L’amore impregna l’anima che gli viene offerta, nello stesso momento in cui la ferisce fino alla morte.Vulnerasti cor meum.”Mi hai fatto male al cuore!”(Can., IV, 9).

È così che nell’economia della grazia gli stessi peccati commessi da alcuni uomini sono la causa di nuove generosità divine verso altre anime.”Perché se per il peccato di uno regni la morte di uno, molti di più regneranno nella vita per mezzo di Gesù Cristo, coloro che ricevono abbondanza di grazia, dono e giustizia” (Rom. 17).

Ha provocato nella sua sete del suo amore. Cristo attrae queste anime, Cristo le ispira, è in Lui e solo Lui che vogliono vivere. Appartengono all’amore e l’entusiasmo li illumina con queste fiamme liberatrici, “attirale verso di me con legami di uomini, con i vincoli della carità” (Osea, XI, 4).

Nell’intimità della presenza interiore, adoravano l’umanità di Cristo; ha trovato forza e consolazione nella santa comunione, il sacrificio della messa e la preghiera liturgica. Ma il sentimento di gioia mancava loro durante i periodi di prova: la consolazione fu negata da Gesù stesso, invitandoli a seguirlo al Calvario, per essere presenti nella notte del Monte degli Ulivi. Era con severità, e secondo gli uomini, con asprezza, che erano spesso trattati dal Dio della misericordia. Hanno sperimentato il rigore spietato del Padre, che chiede a Suo Figlio l’ultima goccia del Suo sangue e il cieco abbandono dell’ultima ora per soddisfare la Sua giustizia, poiché le esigenze dell’amore non sono temperate. Potrebbero dire a loro volta: “Sono stato crocifisso con Cristo” (Galati II, 19).

Continua…