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Omelia sull’incredulità di Tommaso

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Nella seconda domenica di Pasqua viene narrato, dal solo Giovanni (Gv 20, 19 – 25), l’episodio di Tommaso. L’incredulità di San Tommaso è un episodio del Vangelo che riunisce la fragilità dell’uomo di fronte al mistero della fede e la sua necessità di comprendere le cose nel loro essere. La sublime omelia che vi offro oggi è del certosino Dom Tarcisio Geijer, il quale la propose ai suoi confratelli della certosa di Vedana, nel 1971.

Gesù disse a Tommaso: “Beati quelli che pur non vedendo, hanno creduto!”

Credere dunque non è vedere. Credere vuol dire partecipare alla vita di Dio. Perciò la luce che si riceve non è opera nostra, ma opera di Dio, grazia gratuita. Non che questo dono prescinda dall’uomo. C’è un aprirsi alla fede. Ma tra quell’apertura e il dono di Dio non c’è proporzione calcolabile. Credere è dire di sì alla rivelazione di Dio. Sarebbe capir male la rivelazione il considerarla come un gran sistema di verità bell’e confezionato. Essa è prima di tutto un messaggio e una luce: luce di Dio nella nostra vita, sulla storia, sul bene e sul male, sulla morte, su Dio stesso, sul valore ultimo dell’amore.

Per proclamare questa rivelazione bisogna pure servirsi di parole, adottare un certo ordine, una certa connessione. Comunque, tutto ciò non deve mai dare l’impressione che la rivelazione di Dio sia un sistema di cose a sé stanti. Si tratta dello sguardo di Dio sulla nostra realtà. Vedere con gli occhi della fede, è vedere con gli occhi di Dio. La nostra fede non sopravvive senza di noi. È un qualcosa su cui si può fermare la nostra attenzione e la nostra cura, oppure che si può trascurare. Perciò la fede è un impegno.

Chi nel suo intimo riconosce la rivelazione di Dio, ha ancora una lunga strada da percorrere davanti a sé. Si tratta di realizzare la più profonda verità cui si crede, ma che non si vede e che spesso non si sente. E ogni volta di nuovo è un salto nel buio. Quando si è soggiogati dalla dolcezza di una tentazione, è un salto nel buio mettere in pratica la fede e dire di no, che è poi un sì, a coloro ai quali si vuol rimanere fedeli, ed è anche un sì a Dio.

Quando si incontrano soltanto contrarietà nella vita quotidiana, richiede una grande dedizione credere nello Spirito santo e, di conseguenza, nella possibilità, per sé e per gli altri di essere buoni. Quando si è sopraffatti da una sofferenza assurda, è atto di gran fede rendersi conto della fedeltà di Dio e del fatto che Gesù ha dato senso alla sofferenza. Il credere non è, perciò, un’inavvertita iscrizione continuata alla Chiesa.

Il credere è sempre in relazione con un adesso. Credere che Dio, adesso, non può lasciarci soli; che Dio, adesso, può dirigere il corso delle cose; più ancora: che Dio, adesso, col suo amore, può operare un miracolo, come talvolta nella tempesta sul lago: “Ed egli si alzò e rimproverò il vento e disse al mare: Taci, sta fermo! E il vento cessò e subentrò una grande calma. E Gesù disse ai discepoli: Perché mai siete così spaventati? Non avete proprio nessuna fede?”. Il credere è una vittoria sulla nostra diffidenza verso il mondo di Dio.

Come Tommaso possiamo anche dubitare nella nostra fede: avere tentazioni e difficoltà nella fede. Ma di per sé, la presenza del dubbio non pregiudica la certezza della nostra fede. Un dubbio straziante può essere accompagnato da un totale abbandono, da una fede salda come la roccia. Anzi, proprio una fede salda può conoscere spesso seri dubbi. Ma la fede tentata rimane fede intera. La fede genuina è sempre intera. Non si è per metà credenti e per metà increduli. Fintanto uno può dire: “Sì, voglio credere”, è interamente credente. Mai nessuno ha rinnegato la propria fede senza volerlo. Prima di morire nel suo monastero all’età di ventiquattro anni, Teresa del Bambino Gesù ha conosciuto dubbi terribili sulla fede. Della sua fede era rimasto nient’altro che l’ultimo suo atto di abbandono: “Io voglio credere, aiuta la mia fede”. E così quella giovane divenne santa.

Certosa di Vedana, 17 aprile 1971

Pasqua tra i certosini

Certosa di Vedana

Cari amici, in questo Sabato Santo, in attesa della veglia di questa notte che dà inizio al tempo pasquale, voglio offrirvi il racconto di un’esperienza vissuta in una certosa.

Ecco per voi il racconto di due giovani parroci, Don Nilo e Don Luciano i quali trascorsero la notte del Sabato Santo della Pasqua 1965 con i monaci certosini presso la Certosa di Vedana. Vi lascio a questa coinvolgente narrazione.

PASQUA

dell’anno del Signore 1965 fra i “Certosini”

“Quando l’orologio segna le 22 e 15, riprendiamo la macchina ed a lenta andatura ci avviamo per la strada che porta a Vedana. Ci pare di essere davvero ben disposti: anima e corpo in forma, per la veglia Pasquale. Mancano dieci minuti alle 23 quando ci presentiamo al portone della Certosa. Il fratello ci ha sentito e, dalla finestrella aperta in alto a sinistra, manda una voce: – Vengo, vengo subito! -Se non fu necessario attendere a bussare, vuol dire che siamo ospiti graditi. Bene, bene!Il portone fu, questa volta, completamente spalancato perché potessimo entrare con l’automobile. Prese le nostre cose sotto il braccio, ci dirigiamo alla cella del padre Procuratore. Silenzio, pace! La rara illuminazione crea ombre gigantesche.

Uno dopo l’altro si odono i lenti rintocchi delle ore ventitré e sembrano animare ed infondere respiro alle maestose mura del Convento. Dal giardino pensile di fronte alla Chiesa, ad ondate sempre più intense, sale e si diffonde per i corridoi e per i chiostri, quasi incenso di primavera un delicatissimo profumo di viole. “Profumo di viole nella Certosa!”. L’esclamazione mi viene spontanea.- Quale soave preparazione alla preghiera!… – soggiunse don Luciano. Rimaniamo alquanto in silenzio a contemplare. I mistici racconti delle cento emozioni sono di gran lunga superati.

Passano così quasi venti minuti…Ecco i monaci! Escono da tutti gli angoli, vestiti di bianco, gravi nell’incedere. Uno alla volta si dispongono nei loro stalli del Coro. Ci disponiamo anche noi, con la cotta tutta sgualcita., sui posti già indicati al mattino: sono quelli che si incontrano, subito a sinistra, dopo aver superato la porta del coro dei fratelli laici. Al primo posto, verso il centro della Chiesa, si mette don Luciano; al secondo il padre dell’ordine di S. Domenico. Il terzo stallo del coro è per me. Non si sbaglia. Osservo il domenicano: è un uomo imponente, dall’andatura solenne; ha la faccia larga, capigliatura ondulata e candida come il vestito. Sembra un vecchio leone; a stento sta nella sua tana. Il colore del volto è caratteristico di chi dovrà andare in paradiso per infarto cardiaco.

Alle 23 e 30, con precisione cronometrica, inizia il rito. Quattro lunghe letture, tratte dai libri del Vecchio Testamento, introducono la meditazione sulla storia della nostra salvezza; alla fine di ognuna viene eseguito, in canto gregoriano, il responsorio. I monaci sviluppano la melodia nel gregoriano antico, piuttosto semplice e primitivo. Davvero cantano con un filo di voce; troppo piano. Seguono le Litanie dei Santi. A volte ci sono invocazioni speciali, proprie dell’ordine certosino. La supplicazione – “Sancte Bruno, ora pro nobis” -, l’ho cantata volentieri e quel nome mi ha richiamato il volto di alcuni amici dei quali, da tempo, non so nulla.

La benedizione del fuoco, dell’incenso, del Cereo, dell’acqua, non ci fu: la liturgia dei monaci esclude, o meglio non ha mai conosciuto tutto questo. È solo elevazione mistica pura e semplice senza eccessivi simbolismi. È comunque delicata, come il profumo di viole che si diffonde dal giardino e penetra anche in Chiesa. Viene cantata la S. Messa. Un vecchio monaco rivestito di ampio manto bianco, con lunghissima stola pendente da un lato, serve il sacerdote celebrante fungendo da Diacono; canta anche il Vangelo.

Mi fece impressione il momento centrale della Messa…All’elevazione dell’Ostia, tutti, in ginocchio, dimostravano visibilmente al “Signore Dio dell’Universo” la loro fede e la loro adorazione. Alla elevazione del Calice, mentre il diacono con un cereo acceso nella mano destra, sollevava con la sinistra la ricca pianeta del celebrante e con forte battito del piede dava un segnale convenuto, i monaci si prostravano a terra. Sembravano quasi annientati sotto la potenza del Signore. Forse qui s’addiceva la vecchia traduzione, “Signore, Dio degli eserciti”!…

Nuovo battito di piede del Diacono e tutti sono ritti ed a mani giunte. A questo rituale, altamente espressivo, don Luciano ed io non ci siamo perfettamente associati. Ci siamo accontentati di raccoglierci con umiltà per adorare il Signore presente sotto i due elementi così bene rappresentativi dell’attività e della letizia umana: il pane ed il vino. Abbiamo ricordato tutti, parenti, superiori, amici. Alla comunione, un monaco esce dal Coro, si distende sul gradino del presbiterio, sotto il grande candelabro di destra, e sembra invocare la misericordia di Dio, con maggiore umiltà di quella usata, a suo tempo, dal centurione.

Usciamo tutti e ci disponiamo genuflessi, in semicerchio, intorno all’altare. Ricevo l’ostia consacrata dalle mani del celebrante; poi, mentre sto per abbassare la testa, don Luciano mi offre un grande calice. Ho compreso all’ultimo momento; è la santa comunione anche sotto le specie del vino. Il rito è solenne e suggestivo; il silenzio della notte lo rende penetrante di commozione. Il padre domenicano sembra estasiato: è in ginocchio con le braccia aperte ed alzate: non si muove. Lo diresti una statua di Michelangelo scolpita nel marmo di Carrara.

Ritornati sugli stalli del Coro diciamo grazie al Signore. È una stupenda visione di pace: – “Beata pacis visio”! -La Messa è subito finita: s’avvia quindi l’Ufficio divino. Spente quasi tutte le luci; dalla grande lampada che scende dall’arco del presbiterio si diffonde una luce tremolante. Sulla predella dell’altare è collocato un candeliere a cinque braccia, sulle quali ardono altrettante candele. Don Luciano, il magnifico padre dell’ordine di S. Domenico ed io leggiamo i testi su un unico antifonario di proporzioni notevoli. Ogni tanto, secondo il bisogno, vi collochiamo sopra, il Salterio o il libro degli Inni.

Anche i monaci sono a gruppi di tre. Solo è invece il padre Priore (Dom Thomas Marie). A turno i padri intonano i canti ed eseguono le letture. Il primo notturno comprende sei lunghi salmi, quattro lezioni e quattro grandi e solenni responsori. Qui nessuno ha fretta di terminare la liturgia: non l’abbiamo neppure noi… Aveva proprio ragione il padre Priore: “… Non abbiamo mai, mai fretta di terminare la preghiera…”! Il “Gloria Patri” è scandito con ostentata lentezza mentre ci si inchina assai profondamente; il palmo delle mani deve toccare le ginocchia.

Una cosa richiamò la nostra attenzione: di tanto in tanto, ora qua ora là, un monaco chinava la testa sulla pagina del Salterio, apriva le mani, e dava un bacio al testo. Era una riparazione pubblica ad una distrazione accolta durante il canto. Per ben due volte la causa del gesto tanto significativo siamo stati noi! Forse questa era la ragione principale per cui il padre Priore non voleva metterci in Coro. Le ore passano. Fuori, nel mondo, la gente dorme. Nessuno pensa che anime innamorate di Dio, ogni notte siano vigilanti in preghiera anche per quelli che non pregano mai. Questa è davvero un’azione altamente benefica e largamente sociale!

Il latino dei testi è alquanto diverso da quello usato sia nel vecchio, come nel nuovo salterio del Breviario romano. Alcuni responsori sono da noi completamente sconosciuti. Davanti al grande leggio collocato nel mezzo del Coro s’avvicendano i monaci per il canto delle lezioni. Al termine, il grosso volume è ricoperto, in segno di rispetto, da un velo di seta bianca. Il secondo notturno si sviluppa con schema simile al primo. I frati sono quasi sempre ricoperti il capo dal cappuccio, la cui ombra conica proiettata sotto il soffitto crea strani ed enormi fantasmi. Una lezione è cantata dal monaco che al mattino s’era ferito alla testa mentre attendeva al lavoro. Portava una medicazione. Lo guardo bene, forse ha la febbre; certamente soffre per il dolore, ma è sereno.

Il più serafico fra tutti, veramente in estasi celestiale, appare il piccolo olandese(Dom Tarcisio Jan Geijer). Per lui la preghiera è tutto, è gioia, è paradiso; non ha alcuna fretta di terminarla. Il terzo notturno è più breve: comprende tre cantici, quattro lezioni e quattro responsori. Lettore al leggio centrale è, questa volta, il Rev.mo Superiore. Segue il Te Deum con melodia abbastanza nota; quindi il canto del Vangelo con l’orazione. Come previsto, la preghiera liturgica continua con le Lodi. Al posto del solito cantico ve ne sono tre. L’inno è quindi eseguito sulla melodia del Veni Creator Spiritus. Al Bendictus avviene l’incensazione dell’altare da parte del padre Priore. Indossa un ampio manto bianco e porta una lunga e ricca stola.

Il rito è solennissimo. Penso che il gran sacerdote dell’antico testamento non dovesse impressionare di più nei suoi gesti ieratici! Le volute di fumo odorante si susseguono rapide; il turibolo è letteralmente lanciato in alto con arte finissima e con notevole frequenza. Gli occhi di tutti sono rivolti là: all’altare di Dio. Avviene poi l’incensazione di ciascun monaco; quindi anche di noi. Questa non fu però eseguita dal padre Priore. Ancora qualche minuto e la preghiera è, questa volta, terminata…

Sono le tre e dieci del mattino di pasqua dell’anno del Signore 1965.- Regina Coeli laetare. Alleluja. -Lenti, uno dopo l’altro, i monaci fanno profondo inchino al Santissimo e per vie diverse se ne vanno alle celle. A dire il vero tutti ci hanno salutato con un sorriso. Non credo abbiano riportato, di noi, cattiva impressione .Il padre Priore ci accompagna alla porta della Chiesa”.

Ci augura: “Buona Pasqua, con tutto il cuore!”.È soddisfatto; in fondo ci siamo comportati bene, quasi come due monaci. Noi ringraziamo con le espressioni più belle e più giuste. Al padre procuratore, che gentilmente ci scorta fino al cortile sottostante, diciamo la nostra sincera letizia per aver passato alcune ore in paradiso. Anche noi abbiamo pregato senza alcuna fretta, proprio come i monaci della Certosa!- Me ne sono accorto, me ne sono accorto! – Fu la sua conferma.- Sfido io, ad un certo punto, la mia lentezza gli costò il bacio del Salterio. Ci saluta dicendo:- Arrivederci! -Il portone è aperto; un fratello laico che dice di essere nativo di San Donà di Piave (dunque un italiano e per di più un veneto!), aspetta la nostra partenza per chiudere…

Certosa di Vedana, Sabato 17 aprile 1965

Un documentario su Vedana

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Nello scorso mese di luglio l’emittente televisiva regionale Telebelluno ha mandato in onda uno splendido documentario sulla Certosa di Vedana.

Immagini inedite dal passato in un’ideale excursus storico fino ad oggi. Ripercorrendo la storia della certosa e la sua ultima destinazione con affidamento alle suore “Adoratrici Perpetue del SS Sacramento“, una di queste ci accompagna in questo breve documento video con la sua dolcissima espressione e voce.

Tra le varie immagini del passato, che ci mostrano la presenza certosina, scorgiamo un giovane Dom Elia Catellani scomparso lo scorso anno

Ringrazio l ‘emittente Telebelluno per questa interessantissima produzione che sarà di sicuro molto apprezzata dagli amici di Cartusialover.

Buona visione

link alternativo

La certosa di Vedana rivive!

Vedana rivive

Cari amici di Cartusialover, vi parlerò in questo articolo ancora una volta  della certosa di Vedana, stavolta per una lieta notizia. Dopo la chiusura, avvenuta tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, a causa della veneranda età delle ultime monache certosine rimaste, il complesso monastico è rimasto in attesa di una sistemazione definitiva. Ebbene, finalmente lo scorso sabato 9 giugno, in una giornata che si può definire storica, si è svolta una cerimonia che ha visto l’insediamento delle suore dell’ordine delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento. La solenne celebrazione ha avuto inizio con una processione che è partita dalla vicina chiesa di San Gottardo, e si è diretta verso la certosa. Dietro alla croce, si apriva una numerosa schiera di persone, tra queste una nutrito gruppo di monache, una trentina di sacerdoti, Dom Jacques Dupont il procuratore generale dell’ordine certosino, ed i due vescovi:mons. José Carballo, segretario della Congregazione dei religiosi, e il vescovo Renato. Dietro di loro una folla proveniente da Sospirolo e dai paesi limitrofi. Il corteo al canto delle litanie dei santi, è giunto in certosa dove nella chiesa, si è svolta la funzione religiosa. In questa occasione era anche prevista l’accettazione della professione monastica di due novizie: Anna e Marina.

Sono gioiose, tenere e visibilmente emozionate: Anna viene dal Messico, Marina dalla Croazia. Da oggi, si chiameranno con nuovi nomi: Maria Cecilia del preziosissimo sangue, la prima; Maria Noemi Cristo Re la seconda.

L’ aspetto comunitario e, insieme, solitario della comunità, sono questi i tratti comuni con lo spirito dei certosini, che hanno abitato Vedana in precedenza. Questo concetto è stato affermato da Dom Jacques Dupont, il quale dopo aver con un gesto simbolico effettuato un passaggio di consegne del complesso monastico, donando alle suore le chiavi della certosa, si è così espresso:

«Oggi, per grande gioia dell’ordine, la certosa rimette alle Adoratrici l’eredità di molti monaci, che sarà da loro raccolta ed arricchita», ha affermato il procuratore, prima di parlare di «carisma differente, ma con comune spirito di vocazione continua, due facce dello stesso diamante».

Dopo l’omelia, anche papa Francesco, attraverso il segretario generale Pietro Parolin, ha espresso gioia e partecipazione alla comunità, parlando di «vivo compiacimento per la felice circostanza» e augurando un «fecondo cammino ecclesiale».

Le novizie hanno ricevuto lo scapolare rosso e il velo, a seguire il canto ed il battimani da parte della folla dei fedeli che ha seguito tutta la celebrazione, prima snodandosi nella processione, poi riempiendo ogni angolo davanti alla cappella. Una cerimonia molto suggestiva, che ha visto una nutrita partecipazione di fedeli, come potrete vedere dal video e dalle immagini che seguiranno. Grazie a queste monache la certosa di Vedana rivive!

Si ringrazia Telebelluno per il video ed il Corriere delle Alpi per le foto

La certosa

 

La processione

Dupont consegna le chiavi

Dom Jacques Dupont consegna le chiavi della certosa

Gli ambienti monastici (interni)

La Diocesi, rende noto che la chiesa esterna della Certosa, sarà aperta ai fedeli che desiderano partecipare ai momenti di preghiera, nei giorni feriali per le lodi (alle 6.50), per la messa seguita dall’Ora Terza (alle 7.30), per l’ora Sesta (alle 12.45), per l’ora Nona (alle 15.45), per i vespri al tramonto.

Cartusiae vintage: Vedana

Cartusiae vintage

Vedana

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Oggi per la rubrica Cartusiae vintage vi propongo immagini antiche della certosa di Vedana. Essa di recente, e dopo varie peripezie, è stata affidata  ad una comunità monastica femminile appartenenti all’ordine delle Adoratrici Perpetue del SS Sacramento.  Ha dunque fatto ritorno la vita monastica. Godiamoci insieme queste suggestive cartoline e foto scolorite che ci riportano ai tempi in cui i monaci certosini la abitavano.

Dai diari di un priore ad un film: “Bianco come il nero”

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Alla fine di settembre del 2015 vi annunciavo da questo blog la riapertura della certosa di Vedana seppur per girarvi un film. Ebbene la scorsa estate al termine delle riprese, il lungometraggio è stato presentato al pubblico. Il suo titolo “Bianco come il nero”, sintetizza la storia che si svolge nello scenario della Grande Guerra, nel 1917, “l’anno della fame”, tra l’assedio dei soldati e lo spettro della carestia, la popolazione di montagna cerca di resistere alla tragedia in atto vivendo in semplicità, con l’aiuto dei monaci della vicina Certosa.

Il giovanissimo regista Lorenzo Cassol spiega la genesi del suo lavoro in un’intervista : «Siamo venuti a conoscenza dell’esistenza di quattro diari, datati 1917, scritti a mano e in francese dall’allora priore della Certosa di Vedana, Dom Boniface Pennet. Da questi abbiamo trovato numerosi spunti per la storia». Protagonisti di “Bianco come il nero” (titolo che sta a indicare la presenza, in ogni anima, di una parte più pura e di un’altra più oscura) una giovane donna con la sua bambina e uno strano personaggio, coinvolti in vicende in cui vita, dolore e passione si intrecciano, con un epilogo del tutto inaspettato. Ringrazio la Fare Cinema Production, ed il regista Lorenzo Cassol che hanno voluto omaggiare la certosa di Vedana ed i suoi monaci, che in quel cupo anno vollero essere vicini alla popolazione donando loro conforto ed assistenza.

A seguire il trailer del film, ed immagine tratte dal set.

Buona visione.

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Riapre la certosa di Vedana, ma per girare un film

Riapre la certosa di Vedana, ma per girare un film

Certosa Vedana.

Riapre la certosa di San Marco, situata nel comune di Sospirolo a Vedana, che recentemente era stata chiusa. La comunità monastica femminile certosina difatti dalla fine del 2014 ha interrotto la vita monastica a causa della veneranda età delle ultime consorelle rimaste. La notizia della riapertura è da ricondursi all’utilizzo temporaneo degli ambienti monastici come set cinematografico. Dopo una lunga trattativa tra l’Ordine certosino, ancora proprietario del monastero ora inattivo, e la casa cinematografica bellunese Dual Frame Production che ne ha  richiesto l’uso per la realizzazione di un lungometraggio, il permesso è stato accordato Le riprese avverranno tra quest’estate e quest’autunno, e porteranno alla realizzazione di un film, ambientato nel periodo della Grande Guerra. La cornice della certosa di Vedana sarà utile per raccontare molto probabilmente i fatti storici accaduti in quel periodo all’interno della certosa. La gente del posto dovette subire l’invasione austroungarica dei propri territori, e affrontò con enormi difficoltà questa intrusione nemica, dal novembre 1917 al novembre del 1918. Un anno intero, meglio noto come ”an de la fan”, ovvero l’anno della fame poichè la penuria di cibo fu drastica e mietè molte vittime.

La gente si trovò di fronte ad emergenze inaspettate: fame, freddo, violenza delle truppe nemiche, morte, distruzione, spesso abbandono forzato delle case.

 Nella zona del Sospirolese, lo spettro della carestia venne lenito dal caritatevole aiuto dei monaci certosini di Vedana, i quali per attenuare le sofferenze della popolazione somministravano la  rinomata “minestra dei frati”. I certosini di Vedana , pur essendo chiusi nel convento come ordine contemplativo obbligato alla clausura, si impegnarono fin dall’inizio della loro presenza in quei territori, nell’assistenza  di poveri e pellegrini. Dal 1882 i certosini avevano ripreso possesso della certosa, distinguendosi, specialmente agli inizi del secolo, per l’opera a favore dei più bisognosi.

Ci sono ancora oggi, quelli che ricordano il piatto di minestra dato ai poveri che salivano alla certosa e ai viandanti che scendevano dalla valle del Mis, e quei monaci dall’aspetto angelico.

certosini a Vedana

Anche nel dopoguerra molti poveri sostavano a mezzogiorno fuori le mura del convento in attesa di ricevere l’agognato piatto della famigerata minestra. I frati, poi, mettevano a disposizione una carrozza per il trasporto degli ammalati e dei morti. Dentro le mura la vita pullulava di attività. Tra il convento e l’esterno vi era uno scambio continuo di prodotti e di conoscenze; furono i monaci i primi a dotarsi di un’incubatrice per la nascita dei pulcini. Ben diciassette specie di uva crescevano entro il convento e un numero cospicuo di mucche, fino a venti, veniva allevato assieme ad una grande quantità e varietà di animali da cortile. Dieci lavoratori erano poi occupati nel disbrigo delle faccende agricole.

La proverbiale saggezza dei frati sollecitava molti a rivolgersi a loro nei momenti di difficoltà per riceverne un consiglio.

Verrà nel film quindi sottolineato l’impegno monastico in quel momento di difficoltà, ma anche l’importanza dei rapporti della popolazione con i monaci, i quali divennero  il tessuto connettivo di quel territorio.

Risulta evidente che l’aiuto dei monaci e la certosa faranno da sfondo ad una storia che tratterà la tragicità degli uomini di montagna durante l’evento bellico ed alla realtà migratoria dei primi decenni del Novecento.

Riparleremo di questa pellicola, dopo la sua uscita nelle sale cinematografiche prevista per l’inizio del 2016, quando avremo l’opportunità di ammirare gli ambienti monastici certosini, nelle scene del film. Grazie alla Dual Frame Production, che solleverà, anche se per poco tempo, il complesso monastico dall’oblio.

cartolina

Quando a Vedana c’erano i monaci

Quando a Vedana c’erano i monaci

Vedana vintage

Tutti noi conosciamo la certosa di Vedana in provincia di Belluno, una delle due comunità certosine femminili in Italia. Ma va ricordato, ed il documento filmato seguente ce ne da lo spunto, che essa nasce per ospitare una comunità certosina maschile, che dimorerà in essa fino al 1977. Il documentario che vedrete, fu realizzato nel 1974 dalla RAI, – Radio Televisione Italiana -, in esso possiamo notare la presenza come priore di un giovane Dom Elia Catellani, di cui spesso vi ho parlato, che sbalordì tutti facendo entrare per la prima volta in assoluto delle telecamere all’interno della clausura certosina per riprenderne le principali attività monastiche. Egli fa da guida al reporter che riprende gli ambienti monastici ed esplica ai telespettatori il senso della spiritualità certosina. Il fascino delle immagini in bianco e nero contribuisce a far si che questo video rappresenti una testimonianza preziosa.

Dom Giovanni Battista Simoni e la spiritualità sacerdotale

Dom Giovanni Battista Simoni e la spiritualità sacerdotale

(Rovigo α1887- Firenze Ω1942)

Oggi, ricorre il settantesimo anniversario della morte di questo monaco certosino del quale vorrei rispolverarne la memoria, ricordando il suo impegno come fautore di una spiritualità sacerdotale  profusa profondamente nei suoi testi.

Luigi Simoni nacque a Rovigo l’8 dicembre 1887, crebbe studiando a Padova e ricevette un educazione cattolica, che lo portò ad essere ordinato sacerdote il 27 luglio del 1911. Poco tempo dopo, trascorso qualche mese, decise di abbracciare la vita monastica, scegliendo di diventare certosino. Scelse di entrare nella certosa di San Marco di Vedana presso Belluno, laddove fece la professione semplice l’8 settembre del 1913. Purtroppo gli eventi bellici di quegli anni, condizionarono e turbarono un po’ l’inizio della sua vita monastica. Luigi fu chiamato alle armi il 9 novembre 1911, prestò servizio di leva fino al 7 settembre 1912, data in cui tornò in noviziato. Mobilitato nuovamente il 6 ottobre 1915, tornò in certosa al termine della guerra, il 19 aprile 1919. Tutto ciò portò a fargli fare la professione solenne solo il 19 marzo del 1921, momento dal quale sarà meglio noto con il nuovo nome Giovanni Battista. Nella certosa di Vedana egli fu a lungo coadiutore per poi diventare priore della certosa di Calci nel 1933, dove vi rimase fino al 1938. Nello stesso anno Dom Simoni, passò alla vicina certosa di san Lorenzo al Galluzzo, presso Firenze dove però visse altri pochi anni, poiché in seguito ad una malattia morì il 14 novembre del 1942. Egli svolse una notevole attività letteraria rivolta ai sacerdoti, e volta a promuoverne la santificazione attraverso la pratica della devozione al Sacro Cuore. «Il mio più vivo desiderio, la mia unica ambizione, il grande ideale della mia povera vita, (fu) condurre i sacerdoti al S. Cuore» La propaganda di questa devozione avvenne inizialmente attraverso la diffusione di vari opuscoli anonimi, ma in seguito G. B. Simoni, scrisse e pubblicò nel 1924 un libro, che rimane quello maggiormente conosciuto e diffuso: “Manete in dilectione mea”.

Nel giro di dieci anni, nell’epoca dei due conflitti mondiali questo testo permeò in 56 nazioni, forte di essere stato tradotto in una trentina di lingue!!!

Sulla scia di questo primo testo Dom Simoni pubblicò altri scritti, che consolidarono la relazione tra l’attività sacerdotale ed il Cuore di Gesù Cristo, tra questi : Oportet illum regnare, nel 1928, Monita Salutis del 1929, Resurget frater tuus anch’esso del 1929, Non praevalebunt, del 1931 e Si scires donum Dei del 1935.

Nei suoi scritti si evince l’identificazione di una spiritualità sacerdotale, una visione di prete come vicarius Amoris (espressione di Sant’Ambrogio) nel quale possa identificarsi con Gesù, ed individuando come strumento perraggiungere tale fineun totale abbandono alla devozione del Cuore di Cristo.

“Viviamo in Lui come il tralcio nella vite, ed amarlo senza misura sia la misura del nostro amore, fondere progressivamente la nostra volontà con la sua sia la ragione e la forma della nostra santità (….) allora la nostra vita sarà una messa continua, fatto ciascuno di noi (…) sacerdote e vittima insieme con lui, che è Vittima per eccellenza e Pontefice eterno (…) la nostra vita identificata con la sua vita, diverrà un amen perpetuo ed un perenne alleluja

Attraverso la riproposizione di alcune sue affermazioni, ho voluto rinverdirne l’efficacia che esse hanno avuto per intere generazioni di sacerdoti, con la speranza che ritornino ad essere un monito da seguire, o semplicemente uno stimolo per tutti coloro che vorranno approfondire questi sublimi concetti. Vi lascio con queste sue splendide parole:

È necessario lasciarci condurre da Gesù, lasciarlo lavorare in noi – tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno, tutti gli anni della vita -, lasciarci inebriare dalla follia della Croce.

Dossier certose attive: Vedana ( chiusa dal 2015)

Dossier certose attive: Vedana

In questo mese di settembre, inizierò a trattare le certose italiane, cominciando con quelle femminili. La prima del nostro approfondimento è la certosa di San Marco, situata in località Vedana nel comune di Sospirolo in provincia di Belluno. Fin dal 1155 esisteva l’Ospizio di San Marco di Vedana, trasformato in certosa nel 1456, ed ampliata negli anni per le esigenze della comunità. La vita monastica scorse via nei secoli senza grossi problemi, eccezion fatta per un incendio scoppiato fortuitamente, nella cella del procuratore, nel febbraio del 1695 che danneggiò parzialmente le strutture in legno. Poi nel 1768, con i decreti della Serenissima che prevedevano la chiusura dei conventi poco popolati, la certosa venne dismessa, dall’ l’8 settembre del 1769, cessò a Vedana l’attività monastica certosina  ed i monaci si spostarono nella certosa del Montello. Gli edifici  i beni terrieri vennero venduti ai privati, che trasformarono il convento in fattoria, affidandolo alla famiglia Segato. Non posso non riferirvi un singolare episodio accaduto nel periodo in cui non vi erano i monaci, ovvero che nella ex cella del procuratore, già teatro dell’incendio citato, il 13 giugno 1792, nacque Girolamo Segato, divenuto poi cartografo naturalista ed insigne egittologo. Dal 1882, la certosa fu quindi recuperata dall’Ordine e nel 1886 la chiesa venne nuovamente consacrata e venne istituito un importante noviziato. Nonostante la posizione geograficamente strategica, e le insidie derivanti dalle due guerre mondiali del novecento, la Provvidenza  salvaguardò la quiete monastica da eventi tragici pur non risparmiando i monaci da apprensioni e minacce continue.

L’architettura della struttura risulta essenziale ed in linea alla severa regola certosina, eccezion fatta per la monumentale scala d’onore e la soprastante galleria realizzata in pietra di Trento, ed il cui disegno è stato attribuito al Palladio. Dal punto di vista artistico, va segnalata la presenza di due tele di Sebastiano Ricci, “Il battesimo di Gesù” e “Madonna col Bambino tra San Bruno e San Ugo”, opere di notevole valore e armoniosa composizione, poste sugli altari nella chiesa.

Mi piace inoltre ricordare, in occasione della ricorrenza del centesimo anniversario della nascita del pontefice Giovanni Paolo I, ovvero Albino Luciani, il suo forte legame con i certosini di Vedana tra i quali aveva scelto il suo confessore. Si narra che da vescovo spesso vi si recava per trascorrere alcune ore nella quiete del chiostro, per ritemprarsi l’animo.

Va precisato che dalla sua fondazione e fino al 1977 la certosa di Vedana ha ospitato una comunità di monaci certosini, allontanatisi per consentire al convento lavori di ristrutturazione. Nell’ottobre del 1977, alcune monache della certosa di San Francesco presso Giaveno in provincia di Torino, nell’attesa che fosse costruita a Dego una nuova certosa si insediarono a Vedana rimanendovi fino al marzo del 1994, dando avvio alla presenza femminile nel complesso monastico. Successivamente il 7 maggio del 1998, dodici monache certosine provenienti da Riva di Pinerolo trovarono in questa affascinante certosa bellunese la loro collocazione definitiva. Tuttora in questo luogo caratterizzato da un paesaggio incantevole, tra vette altissime, asperità rocciose e natura incontaminata, che si confà all’austera vita eremitica si eleva il soave canto liturgico delle dodici monache certosine, che sembra superare le cime dolomitiche alla ricerca dell’infinito. Alle immagini che seguono la facoltà di sedurci. Tra la fine del 2014 e l’nizio del 2015, a causa della veneranda età delle ultime consorelle rimaste, è stata purtroppo decisa la chiusura di questa certosa.

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BUONA VISIONE