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  • Memini, volat irreparabile tempus

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La presa di corrente

Risultati immagini per Solo dinanzi all'unico

Oggi vi propongo un estratto dal libro “Solo dinanzi all’unico”, di cui vi ho già parlato da questo blog.

Dom Jacques Dupont, priore della Certosa di Serra San Bruno dal 1993 al 2014, e procuratore generale dell’Ordine dal 1999, si esprime con una eloquente metafora.

“In questo grande edificio che è la Chiesa, la vita contemplativa ha il compito – o il posto – di una presa di corrente. Intendo proprio il dispositivo sistemato nel basso della parete dove infiliamo la spina, munita di una corda che la collega a una lampada. È essa – la presa – che assicura il contatto permanente con la fonte di luce, di calore e di forza, la Fonte eterna. [«Non è un ruolo esagerato, eccessivo?»] No, anzi è un ruolo umile e nascosto. Il contemplativo permette alla corrente di passare, ma egli a volte neanche vede la luce. Proprio come la presa, può trovarsi in una zona buia, dietro a un mobile o a una tenda. Non aspira a vedere o ad essere visto. Rimane nella pura fede. Veglia mentre è notte.

Da “Solo dinanzi all’Unico”, Luigi Accattoli a colloquio con il priore della Certosa di Serra San Bruno (Jacques Dupont), p. 30.

“Meditationes”

copertina

296. Il sole rimedio per tutti i dolori e le sofferenze di questo genere è il disprezzo di ciò che è stato ferito, mediante la conversione dello spirito di Dio.

297. Quando togli a qualcuno ciò che possiede a torto,non gli sei veramente utile, ma lo sarai se, con una parola di esortazione o con il tuo esempio, ottieni che egli lo abbandoni spontaneamente. Il merito, in effetti, non è di essere privati di quel male, ma di privarsene.

298. L’uomo si coinvolge da se stesso nell’amore dei corpi e della vanità, ma, che lo voglia o no, è tormentato dal timore e dal dolore per la loro perdita, sia che gli si tolgano quelle cose, sia che le si critichi, poichè l’amore dei beni corruttibili è come una sorgente di timore inutile, di dolori e di ogni sorta di preoccupazioni. ” Il Signore libera, dunque, il povero dal potente”(Sal 71, 12), sciogliendo i legami dell’amore di questo mondo. In effetti, colui che non ama nulla di corruttibile, non offre alcun motivo per cui i potenti lo possano ferire. Colui che ama i soli beni inviolabili, come questi devono essere amati, diventa egli stesso del tutto inviolabile.

299. Se qualcuno taglia tutti i tuoi capelli, non ti potrà ferire, a meno che non te li strappi dalla radice. Allo stesso modo, nessuno ti potrà ferire se non tocca le radici degli attaccamenti fissate in te dalla concupiscenza: quanto più esse saranno numerose e amate, tanto più numerosi e violenti saranno i dolori generati da esse.

300. Nulla è sicuro per l’orgoglio, nulla è sublime davanti a Dio. Anche quando Dio ti tormenta per qualche cosa, non devi ricorrere ad alcun rimedio al di fuori di lui. Quanto spesso agisci come i giganti che costruirono la loro torre ( Gn 6, 4; 11, 4 ) per peccare in modo più sicuro! Gli uomini, in effetti, non si lamentano che per questo solo fatto: di non poter fare ciò che vogliono. Non si lamentano, infatti, di non volere ciò che è doveroso, nè di volere ciò che è dannoso. La loro sola pena e di non poter realizzare la loro volontà. Se questa volontà sia per loro un bene, non vi riflettono: come se in essa non si possa trovare nessun errore, nessun danno, mentre al contrario, solo in essa si trovano tutti i mali degli uomini.

Un ricordo per la giornata della memoria

Cattura

Cari amici lettori, domani ricorre il “Giorno della Memoria”, è una commemorazione internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per ricordare le vittime dell’Olocausto.

Da questo blog, spesso vi ho parlato della strage di Farneta, che coinvolse la comunità monastica certosina vittima della violenza nazista. Già nel 2010, provai ad evitare l’oblio di questa triste storia con uno specifico articolo, che ha avuto nel 2014 una nuova eco. Ciò avvenne grazie alla pubblicazione di un libro, che ha ricevuto un notevole successo, del giornalista e vaticanista Luigi Accattoli. Oggi vi propongo un video nel quale proprio Accattoli ci spiega con parole semplici, quanto avvenne in quei tristi giorni che insanguinarono le bianche vesti dei martiri certosini.

MARTIRI

Per non dimenticare, riviviamo insieme e facciamoci carico di divulgare e tramandare quei tragici fatti, affinchè non accadano mai più.

A voi il gradevole video.

 

Certosini al voto

25 voto 0

Per l’articolo di oggi ho scelto una curiosità. Come sappiamo una delle certose attive è quella di Pleterije, situata nel comune di Šentjernej nella Slovenia sud-orientale. Ebbene undici membri della comunità monastica certosina hanno partecipato alle recenti elezioni amministrative svoltesi lo scorso 18 novembre. Nelle foto possiamo scorgere alcuni certosini intenti a votare, che hanno destato la curiosità degli scrutatori presenti. Da notare che sono anziani ed uno ha anche un bastone, apprezziamo quindi la buona volontà.

Uno di loro ha detto: “la nostra comunità è composta interamente da stranieri, ma ciononostante intendiamo partecipare alle elezioni esprimendoci con il voto per dare il nostro contributo”.

Vi lascio alle immagini….

25 voto 1

25 voto 2

25certosino che vota

Non è la prima volta che vengono scorti monaci certosini ad espletare la funzione del voto politico. Nel 2007, a Valencia il 27 mayo, come ci mostrano le immagini di un video della EFE TV, I monaci certosini si recarono al voto, tra la curiosità degli astanti!

Si può comprendere Dio?

dom-dysmas-ed-il-cardinale-sarah

Ancora un passo tratto dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Una domanda posta a Dom Dysmas de Lassus, il quale risponde con estrema semplicità e con la solita profondità che lo contarddistingue.

Mentre preparavamo questa intervista, dice Nicolas Diat, lei Dom Dysmas mi ha detto… “come succede con qualsiasi argomento importante, quanto più riflettiamo sul silenzio meno capiamo. Chi ha mai capito l’amore?” Si sente di confermare, questa dura osservazione piena di speranza, Eminenza?

Durante il mio noviziato, il Padre maestro mi disse di leggere ” I misteri del cristianesimo” di Matthias Joseph Scheeben. Alla fine di ogni capitolo, il teologo si curava di sottolineare che era poco quello che avevamo compreso, e che la maggior parte era fuori dalla nostra portata. Aveva ragione: quanto più studiamo un mistero, più comprendiamo che non capiamo, ciò accresce la nostra ammirazione. E’ una fortuna che ci scappano tante cose, ci resta un infinito per scoprirle. Le realtà meno conosciute sono piene di mistero. Quanto più la scienza avanza, progredisce, per esempio meno intende la amteria. Soltanto chi non ha riflettuto sul tempo, crede di sapere di cosa si tratta. “Chi può pensare di essere capace di scoprire il significato dell’azione di Dio in questo mondo?”

La contemplazione si alimenta soprattutto di ciò che non capiamo. Nella meditazione prova a comprendere qulcosa del mistero, nella contemplazione si meraviglia e ci si abbandona all’amore di Dio che ci supera. ” Se lo comprendi, non è Dio” scrive s. Agostino (sermone 117), nella fede la mancanza di comprensione è fondamentale; lontano da essere una frustrazione ci permette di sognare. Si apre uno spazio abissale ed il nostro silenzio scivola in quell’attesa.

“Meditationes”

copertina

291. Chi gode perfettamente di una cosa, dimentico di sè, quasi abbandonandosi a essa e disprezzando se stesso, tende a quel bene e non fa attenzione a ciò che avviene in sè, ma a ciò che accade in essa è. Gli angeli disprezzano se stessi, più di quanto facciamo noi. Infatti, tendendo con tutta la forza a Dio, abbandonano dietro di sè, con tutta la volontà, se stessi e le altre creature, non si degnano neppure di guardarsi, tanto si stimano spregevoli, Senza dubbio, disprezzandosi completamente, dimentichi di sè, si gettano interamente in Dio e non si curano di sapere che cosa sono o chi sono, ma ciò che lui è. Quanto più si disprezzano, distogliendo da sè lo sguardo e dimenticando se stessi, tanto più simili a lui, e quindi migliori, diventano.

292. “In pace, in lui, mi addormenterò e mi riposerò” (Sal 4,9). In colui che immerge nel sonno l’armonia dei cieli (Gb 38, 37), al punto che svanisce ogni movimento, il cuore non conosce turbamento nè timore (Gn 14, 27). Questo è il vero sabato.

293. O il medico non ama il suo malato, oppure lo cura senza dolore, se può e se è certo che ciò gli farà bene.

294. A chi può essere detto in tutta verità. ” Che cos’hai che tu non abbia ricevuto?” (cior 4, 7), per cui si debba vantare in se stesso e non nel Signore( Cor 1,31; Cor 10, 17)? Come dice san Gregorio, egli deve essere tanto più umile nel suo servizio per il fatto che deve renderne conto. A chi è stato dato molto, molto sarà richiesto ( Lc 12, 48).

295. Quando si amano i corpi e ciò che conosce a essi, l’amore che è vita, luce, libertà e una certa immensità, muore, si ottenebra, è legato e oppresso. Come l’oro non si liquefa se non mischiato con l’argentino vivo, allo stesso modo il nostro spirito dimora inviolabile e invulnerabile sinchè non è mescolato con l’amore dei beni corruttibili e deperibili, che non possono non mutare: una volta che il nostro amore è mischiato con loro, esso diviene corruttibile alla stessa maniera, se non di più. Una piccola ferita del corpo, per esempio il morso di una pulce, causa nell’anima un forte dolore. Per il morso di una pulce sia la tua anima sia il tuo corpo sono feriti, l’una per il dolore, l’altro per la ferita. E tu credi che, una volta guarita la ferita del corpo, anche la tua anima sia tornata sana,; tuttavia, ancora dimora in essa quella debolezza che l’ha resa vittima del corpo ferito. Senza dubbio, in questa vita, la fragilità del corpo è irreversibile, e tende, anzi, a peggiorare. La sanità dell’anima, però, se non comincia su questa terra, non sarà acquisita nel mondo a venire.

La Grangia di Vigano certosino

Grangia Vigano

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie fattorie, in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un magister grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Quella di cui vi parlerò in questo articolo è quella situata nell’attuale comune lombardo di Gaggiano, ma più precisamente nella frazione denominata Vigano certosino proprio per l’insediamento monastico.

Va premesso che la notizia più antica relativa al borgo di Vigano è del 1118, anno in cui un certo Leopertus de Vigano vende dei beni di quel luogo. Luogo abitato fin da tempi remoti, in pieno Medioevo diviene quindi sede di un piccolo castello. Il 30 giugno del 1400 Gian Galeazzo Visconti, dona alla certosa di Pavia questo insediamento. I monaci lo adibirono a comunità agricola, detta grangia, curando la bonifica di queste fertili terre. La trasformazione da fortilizio in locale casa certosina, dette origine ad un complesso agricolo di notevole razionalità e fascino, organizzato attorno ad un cortile a portici.I certosini, fornirono il villaggio di un muro di cinta, di un’osteria e di una locanda oltre a far costruire la chiesa parrocchiale dei S.S. Eugenio e Maria, a fine XV secolo, con i suoi antichi affreschi.

La grangia di Vigano fu ultimata nell’aprile del 1511 dal pittore Bernardino de Rossi (doc. 1484-1514), commissionata dai monaci della Certosa di Pavia, fu composta da elementi iconografici che risentono dell’estetica certosina. Il ciclo, non sempre di facile ricostruzione, prevedeva in alto, al centro, sopra la grande finestra circolare, il Padre Eterno benedicente, circondato da angeli in volo; più in basso, in cornici coronate dalle sigle “GRA CAR” (Gratiarum Cartusia o Certosa delle Grazie), l’Arcangelo Gabriele e la Vergine annunciata, inseriti in nicchie marmorizzate che simulavano uno sfondamento prospettico. Al di sotto, alla sinistra del portale, comparivano forse Sant’Ugo di Grenoble e a destra Sant’Eugenio vescovo. Sulle paraste, in alto, a sinistra del Padre Eterno, era visibile San Bernardo di Chiaravalle mentre a destra era dipinto, munito di una coscia di mula, il beato Guglielmo Fenoglio. Sopra il portale appariva il medaglione con il profilo del donatore Gian Galeazzo Visconti, infine, ai lati delle paraste, due Santi di ampie proporzioni, identificati anche con San Cristoforo e San Rocco. Oltre a fungere da grangia fu anche adibito a ospizio, trasformando l’antica fortificazione in una dimora per i religiosi vecchi e malati con annesso oratorio. Più precisamente questa trasformazione deve essere avvenuta tra il 1557 e il 1565 quando invece si fa menzione dell’Ospizio adibito dai religiosi a propria residenza e al quale è annessa un’osteria aperta sulla piazza. A questi anni deve risalire anche l’Oratorio dedicato a Sant’Ippolito e i cui affreschi furono eseguiti da Aurelio e Giovan Pietro Luini (due dei quattro figli del più celebre Bernardino, probabilmente ricavato con la ristrutturazione della cappella del Castello menzionata alla fine del ‘400 e nei primi decenni del ‘500. Nel 1769 Maria Teresa d’Austria soppresse tutti gli ordini religiosi e i relativi monasteri compreso la grangia di Viganò. In quell’anno i religiosi presenti erano 29. Nel corso del 1785 e del 1786 i beni del monastero vennero dapprima inventariati e poi messi all’asta pubblica. L’ospizio, le case, l’osteria, le cascine e le terre vennero disperse tra diversi acquirenti. Divenuta proprietà privata, è abitato da un gruppo di famiglie ed è sede di un’associazione (Mambre) , recentemente è stata completamente restaurata. Oggi, se ne ammira l’ingresso dalla attuale Piazza san Brunone. Si scorge sulla facciata esterna, più precisamente nella parte superiore del portone centrale, un affresco che risale al 1700 raffigurante l’apparizione della Vergine col Bambino e due monaci certosini. Nel centro si intravede la certosa di Pavia. L’affresco è sormontato da una targa in cui è inserita l’arma dell’antico ducato di Milano. All’interno dell’edificio v’è un piccolo cortile su cui si affaccia un interessante porticato. Apprezzabili sono un bel locale con due colonne in granito e volte a crociera adibito un tempo a sala capitolare e la cappella (Oratorio di Sant’Ippolito), restaurata nel 2008.
Sulla facciata posteriore della grangia è possibile vedere incise a graffito sul muro le date dei vari rifacimenti. Sopra il portone prospiciente il fossato si vede la data 1692 sovrastante la meridiana  con la scritta GRA CAR.

Le foto ed il breve video che seguono, ci mostrano alcuni scorci interessanti.

 

 

Fratello Garcia Gonzalez

converso al lavoro

Nell’articolo di oggi ancora la testimonianza di una vita esemplare di un fratello converso certosino.

Fratello Garcia Gonzalez

Professo della certosa di Paular

Garcia González è nato a Colmenar de Orcia, villaggio del regno di Toledo. Era una di quelle anime generose che entrano con impeto nelle pratiche della vita cristiana, che poi proseguono senza rilassamento e tendono alle più alte vette del sacrificio Considerando le massime del mondo alla luce della fede, si sentì sopraffatto da un disgusto insormontabile per le cose del tempo e sospirava solo per Dio Insensibilmente la sua pietà diventa più illuminata, la lotta contro il carattere più deciso; l’anima in una parola inizia a vivere una vita soprannaturale. Ecco perché non ha sorpreso nessuno, quando ha scelto di recarsi alla certosa di Paular per indossare l’abito di converso. Eravamo nel 1558. Aveva un concetto troppo alto della sua vocazione per non garantire o trascurare il suo successo. Alla base del suo edificio pose, come pietra angolare, la povertà evangelica. In realtà, quali sono tutti gli imperi del mondo, tutte le ricchezze della terra? È solo in questa condizione che può costruire in modo solido e duraturo, definirsi figlio di San Bruno e discepolo di Gesù Cristo, il povero per eccellenza. Di per sé, non c’era nulla di superfluo; mancava ciò che era necessario. Non voleva cambiare la sua cella proprio perché non trovava tutto ciò di cui aveva bisogno in lei. Mobili più completi, più vestiti, più utensili sarebbero legati alla professione di un uomo che, in effetti, è più infelice, l’ultimo dei mendicanti? Può fare ciò che gli sembra buono del boccone di pane che gli dà; il religioso non è libero di distoglierlo dal suo uso. I suoi vestiti, per quanto consumati, sembravano sempre troppo buoni. “Hai mai incontrato un povero uomo ben vestito?” Queste prelibatezze saranno forse paragonate a rigaglie, inezie ed esagerazioni. Coloro che sanno che cos’è la santità non la penseranno così. In queste piccole cose, l’anima testimonia allo stesso tempo un grande amore per Dio e uno zelo riflesso dalla perfezione. Per quanto riguarda l’obbedienza, continuava a dire che non aveva mai provato la minima difficoltà nell’eseguire gli ordini di un superiore. Un segno sarebbe stato sufficiente per farlo andare a piedi e senza viaggiare fino alla fine del mondo. Raccomandò ai suoi fratelli di abbandonarsi interamente ai disegni della Provvidenza, affermando che avrebbero trovato in questo abbandono di se stessi le forze prive di natura. “Non cercare, credi in me, per sottrarti da questo benedetto giogo. Ho sottoposto per primo il tuo giudizio; obbedire con la gioia dello spirito e la prontezza della volontà. È l’unico modo per non perderti. “La sua condotta non era altro che un commento a questa teoria. Un fatto dimostrerà come ha capito la santa indifferenza. Il Priorato di Paular ricevette un giorno l’ordine di mettere in risalto alcuni religiosi della sua comunità e di inviarli a Granada dove erano disposti ad inaugurare la vita comunitaria della nuova certosa.

Il fratello Garcia dovette far parte di questa piccola carovana. Aspettando l’ora della separazione, – un dettaglio di cui non ha nulla di cui preoccuparsi, – persegue il suo ritmo normale, pregando e lavorando con una calma sorprendente. Al segnale dato, i viaggiatori si riunirono all’ingresso della casa, dove il priore li benedirà un’ultima volta. Manca solo la chiamata, ed è proprio fratello Gonzalez. Lo cercano e non lo trovano né nella cappella di famiglia né nella sua cella. Dove può essere? Uno di loro ricorda di andare alla sua obbedienza e lo trova con il fatto di lavorare. “Cosa ne pensi,” disse lui? I confratelli stanno per perdere la calma. Vai nella tua cella e vieni il prima possibile. “E il buon Fratello rispose senza sentirsi commosso:” Ecco la chiave della cella. Sono pronto Dove è impostato per me? “E si lascia in questa strana veste. Il lavoro manuale può essere paragonato a un anello solido che fissa la leggerezza dello spirito, lasciandolo libero di ascendere a Dio. Il converso ardente, a cui ci consacriamo questa notizia, era sempre al primo posto nella loro stima la conoscenza dei loro doveri religiosi, ha studiato con umiltà e senza sosta nella condotta degli altri, senza alcun caso delle proprie virtù, anche se erano più che volgare. Una cosa rara tra gli uomini, vedeva in se stesso non più di difetti, in altri di buone qualità, e questo non per un motivo di invidia, ma per un motivo puro ed encomiabile. L’intera vita di Garcia González era stata solo una preparazione per la morte. I suoi quarantasette anni di professione erano una lezione per tutti. Una volta fortificato dai sacramenti della Chiesa, non distolse gli occhi dal cielo. Alla fine, dopo aver gettato i desideri più ardenti del suo cuore, mandò la sua anima ad unirsi eternamente con Dio, il suo unico amore e la sua fine suprema (18 settembre 1606).

“Meditationes”

copertina

286. Quando desideri l’ammirazione degli uomini, tu sei accecato dall’orgoglio. Vedi a quale miseria sei giunto. Considera, dunque la giustizia di Dio. Tu, infatti, ti sei proposto come dio, per essere ammirato, alla parte più eccellente delle creature, ma egli ti ha assoggettato alla parte più intima. Hai desiderato e hai fatto tutto quello che potevi per essere conosciuto, visto, lodato, ammirato, venerato, amato, e temuto da tutti. Ora, tutto questo la parte più eccellente di tutte le creature, le sole anime razionali, non lo deve che a Dio solo. Ciò che è accaduto, dunque, è giusto: tu che ti presentavi come dio alle più nobili tra le creature, hai considerato come dio ciò che in esse è più vile. E tu che hai voluto, con la tua perversa usurpazione, estorcere alle più elevate tra le creature l’omaggio dovuto da te a Dio solo, hai offerto la tua venerazione alle più vili di tutte, alla corruzione della carne e ai cadaveri. Infatti, ciò che hai pensato come dovuto a Dio solo, l’amore e il resto, tu lo hai prodigato alle creature con tutto il cuore. Quando, dunque, usurpi i beni di Dio, cioè la lode e il resto, hai perduto tutto ciò che appartiene all’uomo: lodare Dio ( è per questo, infatti, che sei stato creato) e il resto. E come non c’è nulla al di sopra di ciò che è supremo, nè al di sotto di ciò che è infimo, quando pretendi di elevarti più in alto del Bene supremo, sei respinto al di sotto di ciò che è più vile. Infatti, colui che gioisce di un bene, gli è necessariamente sottomesso per amore. Ora, tu gioisci delle cose più basse. Eccoti, dunque, ricacciato al di sotto degli esseri più vili, là dove non c’è più nulla. “Sarà gettato via come il tralcio” (Gv 15, 6) dice il Signore.

287. Se si desidera un bene che dipende da un altro bene, l’infelicità non è per questo evitata; al contrario,l’inquietudine e il bisogno aumentano e si intensificano. Occorre, dunque che desideri un bene che non dipende da un altro. Ora, tutti i beni sono tali in virtù della Bontà. Tutti hanno, dunque, bisogno della Bontà per essere buoni; la Bontà però, da parte sua, non ha bisogno di alcun altro bene. Essa è buona per se stessa. Amala, dunque, e sarai felice.

288. Tu non sei stato creato per essere visto, conosciuto, amato, ammirato, o lodato, ma per vedere, conoscere, amare, ammirare e lodare il Signore. Questo dunque ti è utile, non altro.

289. Il potere, in questo mondo, non è utile per noi stessi, ma per gli altri, sia per assisterli in ordine ai beni terreni, sia per esortarli a non commettere il male, per timore del castigo. Lo stesso si dica per l’eloquenza.

290. Colui che si rallegra di una forma corporea attribuisce il bene che gli sembra di ricevere non a se stesso, ma a quella stessa forma. Così la loda e la ama nel suo spirito. Non considera se stesso buono, ma pensa che quella forma lo sia, e si ritiene felice grazie a lei. Non dimora in se stesso, ma tende verso di lei, si trasfonde in lei con un’applicazione dello spirito e un assenso della volontà tanto più grandi quanto il suo godimento accresce ala sua ammirazione e il suo amore. Così se qualcuno danneggia quella forma o la rapisce, egli attribuisce a quello l’ingiuria subita, ma non alla forma stessa. Come aderire a lei è stato per lui il paradiso e la felicità, così esserne separato è l’inferno e la miseria. Comportati allo stesso modo nei confronti di Dio.

Lo spirito nuovo

a

Eccoci giunti ad un altro brano, tratto dal libro ” Intimidade com Deus” dall’originale francese “Parole de Dieu et vie divine”

Il sermone che vi offro oggi si intitola “Lo spirito nuovo”

Quando siamo incorporati nel Figlio, una perfetta intimità con Lui è l’oggetto legittimo della nostra speranza, lo scopo dei nostri desideri e dei nostri sforzi. Cresce in noi e dilata il nostro essere, in modo da renderci sempre più capaci del divino.

L’uomo rinnovato per grazia toglie tutte le sue facoltà dalle abbondanti ricchezze della Parola, mentre si spoglia di se stesso per rivestirsi della santità di Cristo. L’incorporazione ci inonda di sempre nuovi doni: il potere dello Spirito Santo, il potere divinizzante della grazia, la gloria che questa vita di unione è già segretamente riempita. “Perciò, come il prescelto da Dio, santo e amato, mettiti nelle viscere della misericordia, della bontà, dell’umiltà, della modestia e della pazienza” (Col., III, 12). “Sebbene l’uomo esteriore sia distrutto in noi, tuttavia l’interno viene rinnovato di giorno in giorno” (II Cor., IV, 16).

La fusione dell’anima con Cristo opera alla radice stessa dell’essere e all’inizio dei tempi: i simboli tratti dall’unione di sostanze create non richiedono di tradurre questa unità incomparabile e sempre nuova forgiata dall’amore. “Che tutti possano essere uno, come tu, Padre, sei arte in me e io in te, affinché anch’essi siano uno in noi” (Giovanni, XXII, 21).

Dio non mette da parte ciò che ha iniziato; al contrario, non cessa mai di perfezionarlo nell’anima: vuole che Cristo cresca in noi fino alla piena armonia dell’età adulta. Il suo Spirito si avvicina costantemente al Padre per unirci più intimamente con Lui. “Per tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Perché non hai ricevuto lo spirito di schiavitù di temere di nuovo, ma di ricevere lo spirito di adozione dei bambini, mediante il quale siamo chiamati, dicendo: Abba (Padre) “(Rom 8: 14-15).

Man mano che la conoscenza di Dio cresce in noi, la nostra fede nel Padre diventa più viva: più chiaro è per noi l’evidenza che Dio è carità, più pronta è la nostra anima a perdersi nel profondo di questo amore. Prendiamo l’amore del Padre attraverso il Figlio, ed è con Cristo che riposiamo nel seno del Padre: “Ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferito nel regno del Figlio del suo amore” (Col. I, 13). In questo modo, la vita condivisa con Cristo ci introduce nella patria della sua gloria eterna.

“Padre giusto, il mondo non ti conosceva, ma io ti conoscevo; e hanno saputo che tu mi hai mandato. Li ho fatti e li renderò noti a voi, così che l’amore con cui mi avete amato possa essere in loro, e io in loro “(Giovanni, XXVI, 25-26).

Tutti gli uomini possono vivere di questa inebriante verità se si lasciano liberare da essa, se, cessando di renderli gli oggetti del loro desiderio, li attraversano come passi fragili, come mezzi interamente ordinati per fini divini. “Conosciamo e crediamo nella carità che Dio ha per noi: Dio è carità” (I Giovanni, IV, 16).

Dio cerca di strapparci sempre più a fondo in modo che non viviamo più per noi stessi, ma per Lui e per Lui. La mia volontà, il mio cuore, il mio spirito sono stati sostituiti dalla volontà, dal cuore, dal spirito di Cristo; Io e io siamo uno nello spirito, e io sono identificato con Lui dall’amore: questa è l’esperienza e la gioia dei santi. “Non vivo più, è Gesù che vive in me!” (Galati II, 20).

Nulla incoraggia e rafforza il cuore come questa verità: “Tutte le cose sono tue, il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro; tutto è tuo; ma tu sei di Cristo e il Cristo di Dio “(I Cor., III, 22-23).

È questa, infatti, l’eredità di Cristo, l’opera che ha liberamente compiuto morendo per noi. “Ecco, voi siete purificati, santificati e giustificati nel nome di Gesù Cristo mediante lo Spirito di Dio” (I Cor. VI, 11).

Dobbiamo tutto alla grazia e siamo solo ciò che ci permette di essere, ma possiamo renderlo inefficace con le nostre infedeltà. Sorvegliare la sua crescita dentro di noi è l’oggetto degno del nostro sforzo. “La tua fatica non è vana nel Signore” (I Cor. Xv, 58). “Guardate, state saldi nella fede, e sii forte e forte” (I Cor., Xvi, 13).

Le debolezze terrene peseranno sempre su di noi finché vivremo in questo mondo. Gli eroi e i giganti della santità hanno sempre sospirato sotto la legge del peccato, che, come noi, non ha mai cessato di provare. “Insoddisfatto di me! Chi mi libererà da questo corpo di morte? “(Rom., VII, 24). Il rimedio per la nostra debolezza è il realismo della fede: uno sguardo franco alla nostra stessa miseria e alle ricchezze di Dio. Cristo ha operato in noi un’opera sublime, l’infusione di un’altra vita.

La fede ci illumina di una luce infinitamente più luminosa del giorno, la carità apre un orizzonte che la natura non può nemmeno sospettare. Il cristiano è un uomo nuovo e l’aria che respira interiormente non è di questo mondo; la sua esistenza fu riavviata secondo un piano divino. Sebbene continui a trascinare il peso del corpo e le sue inclinazioni inferiori, esso sei già diventato un membro di un’altra persona. “Metti via il vecchio con tutte le sue opere, e indossa il nuovo, colui che si rinnova continuamente nell’immagine di colui che lo ha creato, raggiunge la perfetta conoscenza. In questo rinnovamento non distingue tra schiavo e uomo libero, è Cristo che “è tutto in tutti” (Col., III, 9-11). “L’uomo che è in Cristo è una nuova creazione; le vecchie cose passarono; ecco, tutte le cose sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio “(II Cor., V, 17). Il cuore è nuovo, lo spirito e la volontà sono nuovi; sì, l’uomo è nuovo dal momento in cui si è aperto completamente alla grazia. E ciò che Dio gli dà, la vita divina, non può essere sradicato da tutto ciò che è stato creato, se non acconsente ad esso. “Chi ci separa poi dall’amore di Cristo? La tribolazione? L’angoscia? La fame? La nudità? Il pericolo? L’inseguimento? La spada? Ma tra tutte queste cose siamo conquistatori per lui che ci ha amati. Perché sono persuaso che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né le cose presenti, né le cose future, né la forza, né l’altezza, né la profondità, né qualsiasi altra una creatura può separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore “(Rom. 8: 35-39).