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La Nube della non-conoscenza 66

NUBE

CAPITOLO 66

L’altra facoltà secondaria è la sensibilità; il suo operato e la sua obbedienza alla volontà, prima e dopo il peccato.

La sensibilità è la facoltà dell’anima che concerne e governa i sensi, attraverso i quali conosciamo e sentiamo materialmente tutte le creature corporee, piacevoli o fastidiose che siano. Essa ha due funzioni: una si occupa delle esigenze del corpo, e l’altra soddisfa le bramosie dei sensi. È questa stessa facoltà che si lamenta quando il nostro corpo viene a mancare del necessario, e che ci spinge, nel rispondere ai nostri bisogni, a prendere più del necessario per alimentare e incoraggiare le nostre voglie. Si lamenta della mancanza di cose o creature piacevoli, ed è tutta felice e appagata della loro presenza. Si lamenta della presenza di cose o creature fastidiose, e si compiace vivamente della loro assenza: Sia questa facoltà che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo peccasse, la sensibilità era così obbediente alla volontà, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai piaceri o dispiaceri disordinati verso creature materiali, né contraffazioni spirituali di piaceri o dispiaceri, prodotti nei sensi da qualche nemico spirituale. Ma ora non è così. Se non è ricondotta dalla grazia a obbedire alla volontà, così da soffrire con umiltà e moderazione la pena del peccato originale — avvertita nell’assenza dei piaceri necessari e nella presenza dei dispiaceri così salutari per lei —; se non è quindi in grado di dominare le sue voglie alla presenza dei piaceri, e il suo avido godimento in assenza dei dispiaceri, allora la sensibilità andrà ad avvoltolarsi, misera e lasciva, come un porco nel fango, nelle ricchezze di questo mondo e nella corruzione della carne, tanto che tutta la nostra vita sarà bestiale e carnale, piuttosto che umana o spirituale.

Dom Adamo de Stefano

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L’articolo odierno, è volto a farvi conoscere un monaco certosino di cui vi ho già accennato tempo fà. Lo citai poichè si deve a lui la più antica acquisizione di testi di varia natura di cui abbiamo notizia, risalente ai primordi della certosa di San Martino a Napoli, ciò avvenne allorquando essa era retta dal priore Adamo de Stefano di Aversa.

Adamo de Stefano nacque ad Aversa in una data ignota ma da collocarsi tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, da una nobile famiglia. Dopo aver conseguito diversi studi, decise di abbracciare la vita religiosa entrando giovanissimo nella certosa napoletana che vi ricordo era stata fondata da Carlo d’Angiò duca di Calabria, primogenito di re Roberto nel 1325. Come avveniva di consuetudine, al momento dell’ingresso in certosa la famiglia del futuro monaco donava come dote alla comunità monastica alcuni beni. Nel caso di Adamo, furono donati tutti i suoi beni costituiti da diverse proprietà immobiliari ad Aversa oltre a diversi poderi a Casacelle, ma soprattutto come vi dicevo tantissimi manoscritti, codici e libri che andarono ad integrare corposamente la biblioteca della nascente certosa napoletana. Sappiamo che a distanza di pochi anni dal suo ingresso in certosa, a causa delle sue doti e virtù fu eletto nel 1339 priore. Si evince da antichi testi, che egli continuò ad arricchire la biblioteca con ulteriori acquisizioni di tomi importanti, a tal proposito bisogna ricordare come Dom Severo Tarfaglioni scrisse:”… et pulchris emit et fieri fecit” ossia “… [e altri libri] meritevolmente fece acquistare”.

Purtroppo, agli inizi dell’Ottocento, quando dopo la rivoluzione del 1799, con le successive soppressioni monastiche, la biblioteca fu incorporata nella costituenda Biblioteca Reale, oggi Biblioteca Nazionale, già le dispersioni dei decenni precedenti l’avevano depauperata di un gran numero di codici pregevolissimi. Probabilmente i volumi superstiti potrebbero essere ancora conservati alla Biblioteca Nazionale di Napoli o in altre raccolte.

Si conosce inoltre, che Dom Adamo de Stefano contribuì assieme alla duchessa Agnese di Durazzo a far costruire la certosa di San Giovanni Battista, nota come la “Porta del Paradiso”, a Guglionesi in Molise. Questa certosa nel 1420, fu poi soppressa ed inglobata alla certosa di San Martino, la quale per ricordarne la memoria eresse, per espressa volontà di papa Martino V, una cappella dedicata al Battista.

Nell’elenco dei priori della certosa napoletana Dom Adamo de Stefano risulta essere il secondo dell’intera lista, ovvero il successore del primo Dom Roberto da Siena ed il predecessore del terzo Dom Pedro de Villa Mayra.

La data della morte è indicata nel 1350, e venne accompagnata dalla seguente dicitura: «morì dopo che avea governato con lode di gran bontà di vita, e di prudenza non ordinaria».

Alla sua memoria vadano le nostre lodi e preci.

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 16)

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Capitolo 16

La priora

1 La priora, sull’esempio di Cristo, è tra le sue sorelle colei che serve; li guida secondo lo spirito del Vangelo e secondo la tradizione dell’Ordine che lei stessa ha ricevuto. Si sforza di essere utile a tutti con la sua parola e con la sua vita. In particolare, sarà esempio di pace contemplativa, stabilità, solitudine e fedeltà alle osservanze della nostra vocazione. (St 23,5)
2 In ogni luogo, i paramenti della priora, come il suo seggio, non sono distinti da alcun segno di dignità o di lusso; non indossa nulla da cui sembri essere la priora. (St 23.6)

L’elezione della priora

3 Può eleggere la sua priora qualsiasi casa dell’Ordine in cui vi siano almeno sei professe abilitate ad eleggere. L’elezione deve essere fatta entro quaranta giorni; trascorso tale termine, il Reverendo Padre o il Capitolo generale nomina la nuova priora. Hanno voce attiva per l’elezione tutti i professi di voti solenni che risiedono nella casa, a norma del capitolo 34 n° 2. (St 23,1)

La priora al servizio delle sorelle

7 La priora dovrebbe mostrare la sollecitudine di una madre per tutti. Le visiterà, di tanto in tanto, nella cella e nelle loro obbedienze. Se qualcuno verrà a trovarla, la sua accoglienza sarà piena di carità; tutti la troveranno sempre disposta ad ascoltare. Sarà tale che le sue monache, specie nei momenti di prova, possano ricorrere a lei, come a una madre di cuore buonissimo, e, se lo desiderano, aprirle l’anima spontaneamente e in piena libertà. Non si arrenderà alle visioni umane, ma si sforzerà con le sue monache di ascoltare lo Spirito in una comune ricerca della volontà di Dio, di cui ha ricevuto la missione di essere interprete per le sue sorelle. (St 23.8)
8 La priora non deve permettere, per farsi amare, un allentamento della disciplina regolare: ciò non sarebbe costruire la casa di Dio, ma distruggerla. Al contrario, governi le sue monache come figlie di Dio, cercando di sviluppare in loro un atteggiamento di libera e amorosa sottomissione che le renda più pienamente conformi, nella loro solitudine, al Cristo obbediente. (St 23.9)
9 Le monache, a loro volta, ameranno la loro priora in Cristo e la rispetteranno, mostrando sempre la sua umile e deferente obbedienza. Avranno fede in colei che, nel Signore, ha ricevuto la custodia delle loro anime; e poiché dobbiamo credere che ella tiene per noi il posto di Cristo, lasceranno ogni preoccupazione nelle sue mani. Lungi dall’essere sagge ai propri occhi e fare affidamento sul proprio giudizio, volgeranno il loro cuore alla verità e ascolteranno gli avvertimenti della madre. (St 23.10)

10 Le giovani monache di clausura, all’inizio del loro soggiorno tra i professi di voti solenni, le converse subito dopo la professione perpetua, e le donate che hanno appena lasciato la direzione della padrona, non devono essere lasciati a se stessi e a i capricci della propria volontà; ci penserà la priora, perché secondo l’esperienza questi anni sono decisivi per una vocazione e da essa dipende tutto il futuro. Durante colloqui molto semplici, potrà aiutare queste suore come una madre, e anche come una sorella. Infine, avrà cura, per quanto possibile, di non incaricare nessuno troppo presto, soprattutto se si tratta di farne una economa. (St 23.11)

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11 La priora assicurerà che le monache ricevano una solida formazione dottrinale, spirituale, biblica e liturgica adeguata alle loro necessità spirituali. Ella farà anche in modo che ciascuno sappia trovare nella lettura dei nostri Statuti lo spirito che deve permeare tutta la loro vita.
12 Poiché i libri sono il nutrimento perpetuo delle nostre anime, la priora volentieri li fornirà alle sue monache. Il cibo che fa per loro è soprattutto la Sacra Scrittura, i Padri della Chiesa, i provati autori monastici. La priora fornirà anche altre opere solide, scelte con cura e adattate alle esigenze di ciascuna. Nella solitudine, non leggiamo per aggiornarci con tutte le nuove idee, ma per nutrire la nostra fede nella pace, e mantenere la preghiera. La priora potrebbe anche, se necessario, vietare un’opera alle sue monache. (St 23.15)
13 La sua sollecitudine sarà particolarmente attenta verso le malate, e verso coloro che soffrono tentazioni o altri dolori: perché sa per esperienza come talvolta la nostra solitudine possa essere gravata di prove. (St 23.13)
18 La priora, prima di affrontare una questione importante concernente l’obbedienza di un’officiante ascolterà quest’ultimo e si sforzerà di prendere una decisione di comune accordo con lei. Le officianti accetteranno sempre le sue disposizioni con filiale deferenza. Avrà l’affetto di una madre per conoscerli con le loro difficoltà, per aiutarli, per sostenere la loro autorità davanti a tutti e, se necessario, per correggerli con carità. Eviterà di apparire preoccupata solo del buon ordine esterno, ma obbedendo lei stessa allo Spirito, manifesterà a tutti l’amore di Cristo. Perché la pace e l’armonia nella casa dipendono in larga misura dall’unità di vedute e dalla comunione esistente tra le officianti e la priora. (St 23.19)
21 Quando la vecchiaia o la malattia impediscono ad una priora di vegliare sul suo gregge e di dargli l’esempio di una vita regolare, lo riconoscerà umilmente e, senza attendere il Capitolo generale, chiederà pietà al Reverendo Padre. Esortiamo i definitori a non mantenere le priore sopraffatte dall’età o dalle infermità. (St 23.23)
22 L’ufficio di priora richiede un sacrificio di sé non comune: ella applicherà a sé le parole di Guigo: Dio ti ha fatto serva dei tuoi figli. Quindi non cercare di fargli fare ciò che ti piace, ma ciò che è bene per loro. Tuo dovere è prestarti ai loro bisogni e non piegarli alla tua volontà, perché ti sono stati affidati per metterti, non al di sopra di loro, ma al loro servizio. (St 23.25)

La Nube della non-conoscenza 65

NUBE

CAPITOLO 65

La prima facoltà secondaria è l’immaginazione; il suo operato e la sua obbedienza alla ragione, prima e dopo il peccato.

L’immaginazione è la facoltà con la quale raffiguriamo tutte le immagini delle cose presenti o assenti. Sia l’immaginazione che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo peccasse, l’immaginazione era così obbediente alla ragione, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai immagini contraffatte di creature materiali, né immagini fantastiche di creature spirituali. Ma ora non è così. Se non è ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, essa non cesserà mai, sia nel sonno che nella veglia, di rappresentare diverse immagini contraffatte delle creature materiali, oppure qualche allucinazione, che non è altro che la rappresentazione materiale di una cosa spirituale, ovvero la rappresentazione spirituale di una cosa materiale. E tutto ciò è sempre fittizio e falso, e parente prossimo dell’errore. La disobbedienza dell’immaginazione si può chiaramente rilevare nelle preghiere di coloro che solo da poco hanno lasciato il mondo per volgersi alla vita di devozione. Verrà senza dubbio il tempo in cui l’immaginazione sarà in gran parte ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, dopo la costante meditazione sulle cose spirituali, come la propria miseria, la passione e la bontà di nostro Signore, e così via. Ma finché non si perverrà a questo stadio, non sarà possibile in alcun modo rigettare la sorprendente varietà di pensieri, fantasticherie e immagini che vengono suscitate e impresse nella mente dalla sola luce e curiosità dell’immaginazione. Questa disobbedienza è la pena connessa al peccato originale.

La Nube della non-conoscenza 64

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CAPITOLO 64

Le altre due facoltà principali sono la ragione e la volontà; il loro operato prima e dopo il peccato.

La ragione è la facoltà con la quale distinguiamo il male dal bene, il male dal peggio, il bene dal meglio, il peggio dal pessimo, il meglio dall’ottimo. Prima che l’uomo peccasse, la ragione era in grado di fare tutto questo per natura. Ma ora è così accecata dal peccato originale, che non può farlo se non è illuminata dalla grazia. E sia la ragione stessa che l’oggetto su cui opera, sono entrambi compresi e contenuti nella memoria. La volontà è la facoltà con la quale scegliamo il bene (una volta che è stato stabilito dalla ragione) e con la quale amiamo Dio, desideriamo Dio, e infine, con piena adesione e immensa gioia, riposiamo in Dio. Prima che l’uomo peccasse, la volontà non poteva sbagliare nel scegliere o nell’amare o nel fare qualsiasi altra cosa di sua competenza, perché allora era in grado per natura di gustare ogni cosa nella sua vera realtà. Ma ora non può più farlo, se non con l’unzione della grazia. Spesso, infatti, a causa della corruzione del peccato originale, la volontà gusta come buona una cosa assolutamente cattiva che ha solo l’apparenza del bene. E sia la volontà che quanto ne costituisce l’oggetto, sono contenuti e compresi nella memoria.

Dom Bruno d’Affringues

L’articolo di oggi realizzato per conoscere un altro dei Priori Generali dell’Ordine certosino susseguitisi nei secoli. Oggi vi farò conoscere Dom Bruno d’Affringues, ministro generale dei certosini dal 1600 al 1631.

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Carlo d’Affringues nacque a Saint-Onier, il 20 aprile 1549, da nobile e pia famiglia. Dopo aver completato con successo gli studi, recandosi anche in Italia, prima a Torino e poi a Padova, ottenne il dottorato in giurisprudenza, poi studiando teologia intraprese la carriera ecclesiastica. Ben presto ottenne un canonicato nella Chiesa di Carpentras e si narra che pronunciò il panegirico per la morte di papa Gregorio XIII. Un brillante futuro gli si prospettava; il Vescovo di Carpentras lo aveva infatti nominato suo Vicario generale, per il suo notevole talento, aveva il diritto di aspirare agli onori ed alla fama, quando, per rispondere alla chiamata di Dio, invece abbandonò tutte le sue dignità e andò a cercare riposo e felicità nel terribile deserto della Chartreuse. Il suo Vescovo, Jacques Sacrati che aveva per lui la più grande stima, lo presentò lui stesso al reverendo padre Dom Jérôme Marchand. In un colloquio privato con questo pio Generale, il Vescovo di Carpentras gli disse: “Padre mio, il Postulante che ti porto sarà un giorno tuo successore“. Questa previsione ben presto si avverò. Nel 1591, fece Professione Dom Bruno d’Affringues; in questa solenne occasione mutò il suo nome da Carlo a quello di Bruno, in memoria dell’illustre capostipite della famiglia monastica nella quale era appena entrato. Due anni dopo lo vediamo partecipare al Capitolo Generale come Scriba del Reverendo Padre. Nel 1594 fu nominato Priore della Certosa di Avignone. Sotto la sua saggia direzione, la disciplina rifioriva in questo grande monastero, ed i monaci furono felici di avere un superiore così eminente per la sua santità e la sua scienza, ma non ebbero la consolazione di trattenerlo a lungo. I pochi anni trascorsi da Dom Bruno alla Grande Certosa avevano permesso ai religiosi di questo monastero di apprezzarne i meriti; alla morte di Jean Michel de Vesly, lo elessero Priore Generale il 4 febbraio 1600. Interamente dedito agli interessi delle Case dell’Ordine, il nuovo Generale si occupò di tutto, realizzava tutto ed entrava nei minimi dettagli. Accogliente con tutti, indulgente e fermo allo stesso tempo, sapeva come far amare e rispettare la sua autorità. “Sebbene fosse molto rigido con se stesso”, dice un autore contemporaneo, “era meraviglioso quanto fosse indulgente verso i suoi confratelli: aveva per sé un cuore di giudice, e di madre per loro, trattandoli come suoi carissimi figli e i suoi amatissimi fratelli, con una clemenza davvero unica che si manifestava in tutte le sue azioni e brillava particolarmente nei suoi occhi e nel suo volto”. Dom Bruno d’Affringues in tutto dava l’esempio ai suoi fratelli e si obbligava alle minime osservanze imposte dagli Statuti, ma non autorizzava nessuno dei suoi Religiosi ad andare oltre la Regola, e li fermava nel loro smodato fervore.

Durante il suo generalato furono fondate le seguenti certose:

Tolosa (1600), Molsheim (1600), Bordeaux (1605), La Boutillerie (1618), L’Argentière (1620), Orléans ( 1621), Moulins (1623), Ripaille (1623), Aix en Provence (1625), Anversa (1625), Nieuport (1626), Valdice (1627) e Xanten (1628).

Le nuove e numerose occupazioni del suo ufficio non impedirono a Dom Bruno di trovare il tempo per lo studio; nelle ore di libertà amava occuparsi di letteratura e di scienza: poiché aggiungeva alle virtù del vero religioso, la più grande erudizione. «Fu studioso di giurisprudenza civile e canonica, di belles-lettres, di storia ecclesiastica e di lingue». La biblioteca di Grenoble ha conservato, in quattro volumi manoscritti in quarto, le “Lettere e discorsi latini e francesi di Dom Bruno d’Affringues”, dal 1599 al 1626. Questo studioso di religione era un grande ammiratore dei capolavori dell’antichità, e le sue opere sono come un repertorio di testi greci e latini molto ingegnosamente adattati a tutti i tipi di argomenti. Dom Bruno incoraggiò anche i suoi monaci a coltivare la letteratura e la scienza. La raccolta delle sue lettere ci dà prova delle sue conoscenze di astronomia, piuttosto che di entomologia o di botanica

Nulla gli è estraneo, è a conoscenza delle scoperte di ogni genere che furono così numerose all’inizio del XVII secolo. I discorsi e le lettere di Dom d’Affringues sono scritti indifferentemente in latino o in francese, ma sempre in uno stile puro ed elegante. Viene osservato che egli «maneggia ugualmente bene sia il latino che il francese. Nel 1615, il Reverendo Padre Bruno aveva formulato il progetto di far fare un lavoro su una storia generale dell’Ordine, ma le difficoltà di questa vasta impresa lo obbligarono indubbiamente a rimandare la realizzazione di questo progetto che non fu ripreso solo, intorno al 1680, da Dom Innocent Le Masson. La sua eminente virtù e la sua grande scienza misero in contatto Dom Bruno d’Affringues con le figure principali e più potenti del suo tempo. I papi Gregorio XV e Urbano VIII gli diedero spesso segni della loro stima; l’agente de Lesdiguières aveva per lui la massima considerazione. Anche il re di Francia Enrico IV, trovandosi a Grenoble, volle conoscere questo santo e studioso di religione; venne a visitare la Grande Certosa e fu estremamente edificato dall’erudizione, saggezza e umiltà del Venerabile Solitario. L’illustre Bellarmino fece, in poche parole, un magnifico elogio di Dom Bruno d’Affringues. «È accettato ora», disse, «di prendere il Sommo Pontefice tra i cardinali italiani; se il generale de’ Certosini era italiano e cardinale, è lui senza esitazione che dovrebbe essere nominato papa. Carlo Emanuele I, duca di Savoia, aveva un affetto speciale per Dom d’Affringues, ma i suoi amici più intimi erano il famoso presidente Favre e il santo vescovo di Ginevra Francesco di Sales. Antoine Favre intrattenne un assiduo scambio di lettere con il generale dei certosini nelle quali chiedeva sempre consiglio sugli affari importanti di cui era responsabile. Tutti erano ansiosi di conoscere il pensiero o di ricevere l’approvazione dell’illustre studioso. San Francesco di Sales ebbe frequenti contatti con Dom Bruno, strinsero una leale amicizia culminata con la visita del santo in certosa nel 1618, a cui fece seguito un intenso rapporto epistolare. Dopo la morte di san Francesco di Sales, dom Bruno scrisse, riportano alcuni autori, la vita dell’illustre Vescovo di Ginevra, per far assaporare al mondo i meravigliosi insegnamenti che aveva raccolto da questa bocca d’oro. Quest’opera, se è stata compiuta, non è giunta a noi.

Sotto il governo di questo Generale, la Grande Chartreuse fu, nel 1611, in parte distrutta da un nuovo incendio. Era la settima volta, dal 1320, che questo famoso monastero cadde preda delle fiamme. Ma come la leggendaria fenice, sembrava sempre risorgere dalle sue ceneri. Dio ha voluto preservare per la Chiesa e per la società questa potente fonte di penitenza, sacrificio e riparazione. Don Bruno d’Affringues, con il pretesto della sua grande età, insistette perché il Capitolo Generale gli mostrasse misericordia; ma i membri del Capitolo rifiutavano ogni anno di assecondare il suo desiderio. Il 4 febbraio 1631, un attacco di apoplessia lo privò dell’uso delle sue membra, paralizzandolo, il Capitolo Generale si trovò obbligato a dargli un successore. Dom Bruno d’Affringues morì l’anno successivo, il 6 marzo 1632, all’età di ottantadue anni; dopo aver governato l’Ordine per trentuno anni.

Il Capitolo Generale, nell’annunciare la grande perdita che l’Ordine aveva appena vissuto, disse: “Avremo sempre davanti agli occhi i grandi meriti del Reverendo Padre Dom Bruno e tutto il bene che ci ha dato e fatto: i dolori, le preoccupazioni, le fatiche incommensurabili e tutto ciò che ha sofferto per più di trent’anni. Non dimenticheremo mai il modo di governare di quest’uomo ammirevole, che seppe così bene unire la mansuetudine allo zelo dell’osservanza, che i suoi rimproveri non scoraggiarono mai, né la sua gentilezza incoraggiò a commettere il male; profondamente istruito, non c’è materia che non avrebbe voluto imparare; aveva un’esperienza di lavoro così perfetta che sapeva prevedere tutto e superare tutte le difficoltà; la saggezza era “la sua virtù principale, o la prima di tutte quelle che possedeva in così gran numero. È più facile per noi indicarle in generale che contarle e stimarne il vero e giusto valore“.

La Cartuja de Granada: “Un viaje a través del tiempo”

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La Cartuja de Granada: “Un viaje a través del tiempo”

Video integrale

Carissimi amici lettori, in un precedente articolo vi avevo annunciato l’uscita di un interessante video sulla meravigliosa certosa di Granada, per il quale condividevo con voi il trailer. In quella circostanza vi comunicavo che per poter vedere il film in versione integrale bisognava contribuire con un prezzo di riproduzione simbolico, che sarebbe servito raccogliere fondi per l’installazione di un ascensore per accedere al portone principale del monastero, a beneficio soprattutto degli anziani e di chi usa la sedia a rotelle. Ebbene, da qualche settimana ho ricevuto la notizia, che la produzione ha deciso di rendere la visione libera, in cambio della possibilità di fare una donazione volontaria al termine di averlo ammirato.

Da questo blog, vi offro la possibilità di apprezzare questo splendido documento video che descrive la preziosa certosa di Granada, ma faccio appello al vostro buon senso e buon cuore, e vi chiedo di effettuare una donazione da fare alla seguente pagina https://www.granadacristiana.com/

Sicuri che vogliate offrire il vostro contributo, vi auguro una buona visione!

La Cartuja de Granada: “Un viaje a través del tiempo”

Gioia cosmica

risurrezione

Il giorno dopo Pasqua è chiamato Lunedì di Pasqua oppure Lunedì dell’Angelo perché si ricorda l’apparizione dell’Angelo alle donne che erano venute a visitare Gesù nel sepolcro, alle quali questi annuncia con gioia l’avvenuta Resurrezione.

Per gioire di ciò, per voi un altro testo estratto da “Vita Christi” di Dom Ludolfo dal titolo eloquente.

GIOIA COSMICA

Cessiamo perciò ogni mestizia, dissipiamo le nubi della tristezza, e respiriamo nell’atmosfera tersa di una santa letizia, e se fino ad ora abbiamo seguito nella tristezza la Passione e morte del nostro Redentore che morendo «ha vinto la morte» (2Tm 1, 10), ora invece rallegriamoci ed esultiamo per la risurrezione e la gloria di colui che risorgendo riparò la vita. Infatti: «Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui»(Rut 6, 9), perché il Padre lo ha vestito d’immortalità e di gloria, lo ha arricchito della gioia e felicità del cielo. Tutto perciò fu in lui colmo di gaudio, tutto pieno di letizia, tutto sovrabbondante di esultanza. Infatti la carne di Cristo, quel fiore bellissimo della radice di Jesse, che sbocciò nel suo grande splendore, quando nella nascita uscì senza alcuna macchia dal seno verginale della Madre sua immacolata, e poi sfiori e parve spegnersi nella Passione, perché non restò in lui né bellezza né forma, rifiori nella risurrezione, e, ripreso il sangue che aveva sparso sulla croce, riapparve cinta di nuova luce immortale, vestita di tanta gloria e splendore da oscurare il sole! Egli forse non disse che: si giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre (Mt 13, 43), cioè nella beatitudine eterna? E se ogni giusto risplenderà come il sole, chissà quale deve essere la luce e lo splendore di colui che è il sole di giustizia! Allora la gioventù di Cristo fu veramente rinnovata come quella dell’aquila; allora rotti i vasi antichi, il vasaio fece con la stessa pasta un altro vaso come più gli piacque; allora Giona usci illeso dal ventre del pesce; allora il candelabro fu ricoperto d’oro, Allora fu rialzato il tabernacolo di Davide che era caduto; allora risplendette il sole, prima avvolto nelle nubi; allora torno in vita il grano di frumento, che cadendo in terra era morto. Allora Giuseppe uscito di prigione fu posto a capo dell’Egitto; allora «hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia» (Sal 29, 12).

Pasqua 2022

Auguri di buona Pasqua
Nell’augurarci che lo spirito della Pasqua aiuti tutti noi a trovare la gioia e la speranza, e ravvivi la nostra fede nel Signore che ha dato la vita per la nostra salvezza vi offro una meditazione di Dom Ludolfo di Sassonia estratto dalla sua opera “Vita Christi”.
Vi invito a riflettere e meditare su questo sublime testo a cui fa seguito una dolce preghiera.

Buona Pasqua a tutti voi!!!

Molte cose che il Signore soffrì, possono essere raccolte nelle seguenti parole di sant’Agostino: “Osserva e comprendi, o anima mia, il tempo della santissima Passione. Il mio Gesù, il mio amore, la mia dolcezza, speranza, felicità e consolazione, ha sofferto in ogni momento, in tutto il suo corpo e in tutte le sue azioni: nell’infanzia, la ristrettezza del seno, la povertà, l’austerità, l’umiltà dal presepe, la ricerca del nemico, la fuga in Egitto. In gioventù si affretteranno. In maturità la sua passione più amara e ignominiosa. “Ha sofferto su tutto il corpo. Negli occhi, lo spargimento di lacrime; nelle orecchie, sentendo rimproveri e bestemmie; in faccia, gli schiaffi; nel naso puzza di sputi; in bocca l’amarezza dell’aceto e del fiele; nelle mani, le corde e la sofferenza delle ferite, la stessa cosa nei piedi; su tutto il corpo, la flagellazione. Con le loro azioni calunniavano la sua predicazione, il suo modo di vivere, la sua opera di miracoli. Fu tradito, l’innocente legato, come un agnello al sacrificio, come un ladro inchiodato; tuttavia, non ha cercato vendetta, non ha mostrato impazienza, – ma comunque – rimprovera Pietro che gli ha tagliato l’orecchio; e poté ottenere dal Padre dodici legioni di angeli. “Sei stato legato come un ladro, accusato come un ladro, respinto come un ladro, colpito tra i ladri, capo dei ladri. Signore, sei stato arato per liberarci dalla schiavitù della malvagità e dalle corde dell’umiliazione. Sei stato ferito, buon Gesù, con spine, chiodi e lance perché in noi l’intenzione sia giusta, l’azione discreta, l’amore manifesto. Sei stato flagellato per scagliare lontano da me le frustate della tua indignazione. Sei stato trafitto, Signore Gesù, a causa dei nostri peccati, schiacciato dai nostri delitti, affinché le tue piaghe siano una medicina efficace per le nostre piaghe. “Anche il tempo, dolce Gesù, ha aggravato la tua passione. Hai sofferto notte e giorno, con freddo e caldo. Punito a Matina, accusato all’alba, acclamato all’ora di Terza, condannato venerdì, sei spirato con un grido e lacrime a Nona. “O anima mia, piangi, dunque, abbi pietà, affannati e i tuoi occhi versano lacrime, e non chiudere le pupille dei tuoi occhi su tuo fratello così bello, più amabile dell’amore delle donne, che ti vestirono di porpora e ornamenti. Ti farà male se consideri le lacrime delle donne, le lacrime dei pescatori, le lacrime delle cose insensibili; se vedete che il sole si oscura per nascondere le membra del Signore sofferente, il terremoto, lo schianto delle pietre, la risurrezione dei morti, l’apertura delle tombe e il velo squarciato; le lacrime di colui che soffre la Passione e le lacrime di sua Madre. La Santa Vergine Maria è anche addolorata per il tradimento, la cattura, la condanna, la crocifissione, soprattutto quando il Figlio ne commissionò lo spirito e discese dalla croce”.

(Vita Christi Libro 2, cap. 67, n.2.)
Preghiera
Dolcissimo Signore Gesù! Ti prego, infondi in me, peccatore, la moltitudine della tua carità, affinché non desideri nulla di terreno o di carnale, ma che ti amo solo sopra ogni cosa; che la mia anima rifiuta assolutamente di essere consolata, se non in te, mio dolcissimo Dio. Scrivi con il dito sulle tavole del mio cuore il ricordo delle cose che hai sofferto per me, perché le abbia sempre davanti agli occhi, e rendimi dolce non solo a pensarle, ma anche, se necessario, secondo la mia misura, sopportali. E che non solo io ti serva con tutte le mie forze, ma che sia afflitto da rimproveri per te, o condannato a una morte infame.

Amen.

Mistero Pasquale, Mistero Trinitario (2)

crocifissione

Oggi, venerdì santo, il giorno in cui i cristiani commemorano la passione e la crocifissione di Gesù Cristo, ecco per voi la seconda parte del testo “Mistero Pasquale, Mistero Trinitario”.

Il mistero di Cristo, che è il mistero di Dio che si dona a noi, è nascosto ai nostri occhi superficiali. Solo Dio può farsi capire. Quante volte nel Vangelo (Lc 18,32; Mc 8,17; ecc) sta scritto: “E non capivano quello che diceva…”; i suoi occhi erano chiusi ed anche le sue orecchie, soprattutto quando si trattava di predizioni della passione e morte.

Solo nella preghiera profonda possiamo capire, perché la preghiera è amore, l’amore è comprensione dall’interno. C’è, per così dire, un’incapacità di percepire il disegno misterioso di Dio, ancor più particolarmente riguardo alla vulnerabilità di Dio in Cristo e in se stesso (perché è amore), Dio senza difesa, come Dio nella sua passione. Dio in Gesù diventa vulnerabilità, perché è amore.

Posso dire che mi ci sono voluti 50 anni di vita religiosa per raggiungere la soglia del mistero e capirne un po’, molto poco la sua profondità. La passione e la morte di Gesù rivelano l’amore del Padre per Gesù, l’amore del Padre per noi, l’amore di Gesù per il Padre e l’amore divino del Redentore per noi.

Ecco, io vengo a fare la tua volontà, o Dio”.

Gesù rivela lo Spirito Santo, rivela il suo amore per il Padre, il Padre rivela la sua fiducia in Gesù. E resterà per sempre che l’ultima e decisiva espressione di questo amore divino e tenero è l’esaurimento di un povero uomo svuotato del suo sangue: rivelazione della vulnerabilità di Dio. In quel momento della morte di Gesù, si rivela ciò che è vissuto eternamente in Dio.

È difficile capirlo senza amore; se l’amore è assente dal nostro cuore, non c’è possibilità di comprensione. È lì che possiamo vivere la nostra partecipazione al mistero pasquale, il nostro ‘passaggio’ nella notte dei sensi, nel buio della tomba, dove dobbiamo lasciare le nostre forze (immaginazione, intelligenza, memoria, volontà), nella tomba da cui possiamo uscire luminosi con Gesù. Solo la Parola di Dio può illuminarci, trasformarci e rivelarci ciò che è superiore alla nostra intelligenza.

Il mistero pasquale ci supera e non penetra nella conoscenza umana, come dice l’Apostolo (Ef 3,19), è la rivelazione definitiva della Santissima Trinità.

San Tommaso d’Aquino definisce “Conoscenza per connaturalità”. È l’amore che fa conoscere Dio, la conoscenza conduce all’amore. Non si può conoscere Dio senza amarlo. Chi non lo ama è perché non lo conosce.

Ciò che si rivela nel mistero pasquale è un mistero che esiste in Dio, prima della creazione del mondo. L’esaurimento di Dio nell’incarnazione. Esaurimento totale del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre. Il ruolo del Crocifisso Risorto consiste proprio nel rivelare in modo drammatico e definitivo la Passione del Padre.

Gesù soffre, perché già nella Santissima Trinità c’è una passione d’amore che ha condotto il Verbo al seno a Maria e l’uomo Gesù alla morte di croce.

Si nota la difficoltà di spiegare l’incomprensibile, l’inspiegabile (al di sopra della conoscenza umana). Le parole si moltiplicano per cercare di concepire l’inconcepibile. Dio soffre o non soffre? Risposta: Dio ama.

Il mistero pasquale può essere compreso solo nell’amore e attraverso l’amore.